Bob Dylan a Trento in stato di grazia – Di Marco Pontoni
Pubblichiamo un secondo articolo sullo spettacolo di Bob Dylan di ieri, del collega Marco Pontoni per il suo blog «My space»
Bob Dylan in stato di grazia, ieri a
Trento, di nero vestito, come il resto della band, sei corvi del
rock blues per un concerto tirato ed energico, lontano da
qualsivoglia tentazione autocele-brativa.
E come potrebbe autocelebrarsi un autore che in fondo ha sempre
coltivato - assieme all'ispirazione poetica (che gli è valsa il
Pulitzer) - un animo «dark», molto lontano dall'ottimismo hippy a
cui ancora la leggenda del «menestrello pacifista», vorrebbe
ricondurlo? Dylan non è - non è mai stato - consolatorio: e anche
quando si chiedeva quando le palle di cannone avrebbero smesso di
volare fra un fronte e l'altro sapeva benissimo che la risposta è
fatta di vento.
Lo show è iniziato con «Tweedle dum, Tweedle dee», dal penultimo,
splendido «Love and theft» («amore e ruberia»), per proseguire con
un evergreen, «Lay lady lay»; quiindi, macinando rock blues (Dylan
era alla tastiera, come accade ormai da anni) ha inanellato brani
recenti (su tutti una strepitosa «Summer night») e classici come
«Ballad of a thin man» (forse la migliore della serata), «Higway
61», «Dont think twice, it's all right», una «It's all right, ma'»
molto rock (un po' simile alla versione del live «At Budokan»).
Nel bis è arrivata persino «Blowin' in the wind», giustamente
stravolta.
Ma un concerto è anche l'occasione per osservare il comportamento
della gente, a volte davvero sorprendente. Fino a un secondo prima
dell'inizio del concerto l'organizzazione era stata impeccabile:
appena Dylan è comparso, una parte del pubblico si è scaraventata
sotto il palco, come un branco di vergini in calore venute a vedere
uno spettacolo di Lenny Kravitz. Ovviamente, che la gente si alzi
per ballare ad un concerto rock è cosa normale, ma un'invasione del
genere non se l'era aspettata nessuno, anche perché Dylan è un
cantante «da ascolto». A quel punto, tanto valeva alzarsi tutti e
guardare lo spettacolo in piedi: ma la gente che aveva pagato 55
euro per le poltrone sotto il palco non si rassegnava: è iniziata
così una gazzarra a colpi di palle di carta (il giornale L'Adige,
regalato a tutti gli spettatori) che ha distratto non poco chi era
interessato alla musica e non al tirassegno. Ma tant'è: molti
probabilmente erano venuti al concerto attirati dal mito, o
dall'evento. Altri (come i capetti del centro sociale Bruno)
plaudivano alla gioiosa anarchica sovversione, che «sembrava di
essere a un concerto punk degli anni sessanta» (sic! qualcuno
spieghi a Donatello Baldo che il punk è nato nel 1976, per
favore).
Dylan, implacabile sfinge - la voce di carta vetrata, il sorriso
beffardo, «l'occhio che vede tutto e si sposta su una nuvola nera»,
avrebbe detto Ginsberg - non ha fatto una piega. Del resto, perché
avrebbe dovuto? L'artista naviga alto sopra alle cose del mondo,
canta nel cuore del ciclone e prende al laccio le comete. Tuttavia,
alla fine, si è sciolto un «grazie amici».
Marco Pontoni