Quattro anni fa Girone e Latorre venivano fatti prigionieri in India
Per quattro lunghissimi anni il nostro Paese non è riuscito a fare assolutamente nulla. Un fallimento di cui dovremmo vergognarci
Sono passati esattamente quattro anni da quando i due marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono stati fatti prigionieri con l’inganno dalla polizia del Kerala con l’accusa di omicidio.
I fatti sono noti, ma forse è meglio ripeterli. I due fucilieri di marina avevano aperto il fuoco contro un’imbarcazione che era stata riconosciuta come pirata, uccidendo due persone che erano a bordo.
La nave era stata fatta rientrare con l'inganno al porto del Kerala, dove i nostri marò sono stati fatti scendere per essere arrestati. Secondo l’accusa, le due vittime non erano pirati ma pescatori della zona.
Le obiezioni fatte immediatamente dall’Italia erano due.
La prima è che i presunti fatti erano accaduti fuori delle acque territoriali indiane. Quindi la competenza giuridica era italiana, quella della bandiera della nave.
La seconda è che dei militari che commettono errori nello svolgimento del loro lavoro possono essere processati solo dalla magistratura del paese che li ha arruolati. Il senso è che la responsabilità internazionale è del Paese e non dei singoli individui, ai quali spetta semmai la responsabilità personale se un tribunale penale del loro paese li ritiene colpevoli.
Queste due condizioni rispondono ad accordi internazionali ai quali aderisce anche l’India. Ma nessuna di queste osservazioni venne presa in considerazione dagli indiani.
La polizia del Kerala ha svolto le indagini con netta superficialità, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti balistici della questione. I nostri esperti sarebbero stati in grado di stabilire i dettagli fondamentali per l’inchiesta, ma gli indiani non li hanno voluti al loro fianco nella perizia.
La circostanza non è da poco, perché in concomitanza della sparatoria che ha coinvolto i marò, un’altra sparatoria era avvenuta a poca distanza con una nave greca, la cui sicurezza era garantita da contractor che avevano fucili come quelli in dotazione dei militari italiani.
Insomma, i sospetti fondati che a commettere l’errore fosse stata la nave greca non potranno mai essere appurati.
Fatto sta che da allora a oggi nessun passo avanti è stato fatto per risolvere gli aspetti giudiziari, sia quelli di diritto internazionale che quello della legittimità di trattenere i nostri militari in India.
In quattro anni, infatti, ai due marò non è stata neppure notificata l’accusa.
Preso atto che la questione sarebbe andata per le lunghe nonostante la macroscopica cantonata delle autorità indiane, l’allora ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi era riuscito a far rientrare in Italia i due Marò per Natale e, una volta avuti in patria, dichiarò che non li avrebbe rimandati in India.
Una soluzione ampiamente condivisa dagli Italiani, ma rifiutata dall’unico italiano che poteva costringerli a tornare in India, l’allora presidente del Consiglio Mario Monti.
I due marò tornarono nelle mani del nemico per volontà di Monti. Sicché il ministro Terzi, dignitosamente, si dimise dall’incarico.
Comunque sia, questo fu l’unico atto di forza tentato dal nostro paese per la liberazione di Girone e Latorre, miseramente fallito per mano del Presidente del Consiglio italiano.
Più di un anno fa Massimiliano Latorre è stato colpito da un ictus e il ministro della Difesa riuscì a farlo rientrare in Italia per farlo curare meglio.
Salvatore Girone invece è rimasto prigioniero in India.
Nel frattempo però la farraginosa macchina della giustizia internazionale era riuscita a mettere in funzione il Tribunale del Mare di Amburgo, convocato per stabilire a quale giurisdizione spettasse il caso dei due Marò.
E il Tribunale del Mare decise di non decidere, stabilendo che l’India dovesse fermare il processo in attesa di un arbitrato internazionale. Ma, nella fretta, la sentenza stabilì anche che il tutto doveva fermarsi così come si trovava al momento della sentenza.
Ovvero, Massimiliano Latorre - che era in Italia - sarebbe rimasto in Italia, Salvatore Girone - che era in India - sarebbe rimasto in India.
L’arbitrato, dicono gli esperti, potrebbe avvenire tra due anni, nel 2018. Una velocità paragonabile a quella dell’India.
Questi i fatti. E oggi, a quattro anni di distanza, gli insegnamenti sono davvero negativi.
La prima cosa, che appare con l’evidenza di un carico in un mazzo di briscola, è che il nostro Paese non sa difendere i propri soldati. La presa in giro dell'«armiamoci e partite». Non vogliamo dire che sarebbe stato necessario un atto di forza, ma certamente l’iniziativa del Ministro Terzi doveva essere colta al balzo. Di logica il ministro si sarebbe dovuto dimettere per aver impedito ai due di tornare in India, non per non esserci riuscito.
Nessun paese dovrebbe consentire che un proprio cittadino – tanto più se è un militare – debba subire un affronto come quello cui sono stati sottoposti i due marò.
Se davvero siamo convinti che gli Indiani abbiano violato il diritto internazionale, dovevamo fare l’atto di forza e trattenerli in Italia. O organizzare la loro fuga.
Noi siamo stati nei teatri di guerra per verificare se i nostri soldati avvertono la presenza rassicurante dell’Italia mentre rischiano la vita per il Paese. La nostra impressione era positiva, finché non è accaduta la disgrazia dei due marò.
La seconda cosa che balza alla vista è l’inefficienza del sistema europeo di sicurezza. La presenza della Mogherini alla carica più importante della Commissione Europea, dopo quella del presidente, non è servita a niente.
E con lei l’intera Comunità Europea ha dimostrato di essere occupata in mille iniziative che interessano solo i tecnocrati.
Infine, da questa esperienza si ha la conferma che se dovesse capitarti qualcosa in un paese straniero, dovrai cavartela da solo.
GdM