«Et ora inghiottiti per più tornar alla luce» – Di Massimo Parolini
Quinto Antonelli ha pubblicato recentemente la «Storia intima della grande guerra»: Lettere, diari e memorie dei soldati al fronte

Titolo: Storia intima della grande guerra
Lettere, diari e memorie dei soldati dal fronte
Autore: Quinto Antonelli
Editore: Donzelli 2014
Pagine: 312, con DVD «Scemi di guerra»
Prezzo di copertina: € 32
Come ci ricorda il curatore (responsabile dell'Archivio della scrittura popolare presso il Museo storico del Trentino) il volume è un'antologia «dai tratti ben marcati: i testi selezionati sono opera di soldati subalterni, quasi mai di ufficiali»; sono «socialmente connotati» rimandando alla classe contadina, operaia e artigiana, fanno parte della scrittura popolare e spesso sono sgrammaticati e zeppi di errori ortografici.
Lettere e diari dei soldati semplici erano scritti per i famigliari, non per il lettore appassionato e rimandano all'oralità, al colloquio intimo.
Diversamente gli ufficiali istruiti, non solo nelle memorie, ma anche nelle lettere e nei diari, sembrano prevedere il lettore postumo.
L'antologia si caratterizza poi per una scelta di fondo: i testi riguardano soldati italiani che al tempo erano anche su fronti opposti, come gli italiani del Trentino- Alto Adige o del Venezia Giulia.
Non si segue un ordine alfabetico bensì tematico: l'antologia parla dell'esperienza «della guerra come viaggio iniziatico», dalla partenza alle trincee, dai bombardamenti agli assalti. Sono stati esclusi i testi scritti dalla prigionia.
Al volume è allegato il Dvd «Scemi di guerra» realizzato da Enrico Verra in collaborazione, tra gli altri, con Davide Sapienza e Francesca Zanza (produzione Vivo film in coproduzione con la Provincia Autonoma di Trento e il sostegno del Piemonte Doc Film Fund per Rti spa e Fox International Channels Italy).
Come ricorda Verra, il documentario «Scemi di guerra» ci parla dei soldati colpiti da «psiconevrosi, chiusi in manicomio e sottoposti a trattamenti spesso crudeli».
L'antologia, nell'insieme, descrive «l'esperienza soggettiva della guerra» fornendo «lo scenario da cui emerge il trauma mentale».
Si parla di quarantamila soldati italiani reclusi nei manicomi, soldati impazziti nelle trincee, vittime di una malattia nuova, lo shock da combattimento.
Verra ha scavato negli archivi visivi poiché la prima guerra mondiale «è stata la prima guerra moderna e spettacolare, anche perché è stata la prima a essere ampiamente filmata e fotografata». Ciò a fini propagandistici. Ma in realtà molte di queste immagini «svelano l'enormità e la disumanizzazione di un meccanismo capace di stritolare l'individuo».
Oltre ai filmati di propaganda, Verra a usato le fotografie (le macchine fotografiche erano diffuse tra gli ufficiali), scattate tuttavia prevalentemente per uso personale e domestico, come «una sorta di diario intimo».
Infine il regista ha usato come fonte visiva gli archivi scientifici militari, ad uso interno della sanità militare (e che perciò, a fini scientifici, dovevano «mostrare tutto»).
Da un intreccio tra la soggettività dei diari e l'oggettività delle fonti mediche nasce il racconto dell'esperienza mentale dei soldati. I matti sono coloro che si ribellano alla logica dell'obbedienza seriale e automatica, alla spersonalizzazione che priva l'uomo della sua storia, dei suoi affetti e lo rende indifferente alla vita e alla morte.
O si diserta (fuggendo o consegnandosi prigionieri al nemico) o ci si automutila o si sceglie la via della diserzione mentale.
Per Verra i matti di guerra furono «i veri eroi dimenticati e sconosciuti» della grande guerra.
Nella sua introduzione all'antologia Quinto Antonelli ricorda che all'inizio fu il ceto della medio-alta borghesia a pubblicare lettere e diari dei propri figli ufficiali caduti in guerra per corrispondenza d'amorosi sensi. Con funzione celebrativa e testamentaria.
Le lettere dovevano esprimere un'idea della morte come sacrificio consapevole e vittoria eroica su sé stessi, come espressione di alta moralità. Da tali opuscoli vengono quindi estrapolati «testi esemplari» per costruire dei monumenti di carta (esemplare a tal riguardo l'antologia di Giuseppe Prezzolini «Tutta la guerra. Antologia del popolo italiano sul fronte e nel paese» pubblicata nel 1918 e nel 1921, nel quale la guerra diviene «scuola di vita», una necessità dolorosa che permette all'uomo di «donare l'esistenza per una idealità superiore»).
I soldati italiani che si raccontano nell'antologia sono per la maggior parte appartenenti al quarto stato e considerati dagli ufficiali della piccola o medio-alta borghesia spesso come un popolo buono, ingenuo, impulsivo, infantile.
Può scattare in certi casi un certo paternalismo; sarà lo scrittore Piero Jahier a ribaltare tale minorità sociale in superiorità morale (vedi il suo capolavoro «Con me e con gli alpini») inneggiando all'etica del soldato alpino.
L'antologia si colloca nel solco di quella volontà di ridare voce ai soldati comuni che si sviluppò a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso (ricordata, tra tutte, l'esperienza di Gianni Bosio, precursore della storia sociale basata su fonti orali il quale, usando il magnetofono, cercò di rintracciare le radici storiche del movimento socialista elaborando una «storia alternativa degli oppressi»).
La trincea e le retrovie sono spesso un'occasione per alfabetizzare soldati analfabeti o semicolti da parte di giovani ufficiali o di istituzioni ad hoc come le case del soldato di Don Giovanni Minozzi, cappellano militare.
I soldati capaci di scrivere alla fine della guerra sono ben oltre il 62% (dato di alfabettizzati dell'inizio guerra). E i soldati semplici si appartano, gelosamente, a scrivere e a leggere la corrispondenza.
Il lavoro di Antonelli si situa in modo più specifico e territoriale nella scia tracciata in Trentino negli anni Ottanta del secolo scorso riguardante le «scritture popolari», a partire dal convegno «La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini» tenutosi a Rovereto nel 1985 confrontandosi con ricerche europee e con una prima riflessione da parte degli storici trentini G. Fait, D. Leoni, F. Rasera, C. Zadra sulla «Scrittura popolare della guerra».
La scrittura diventa per il soldato, estraniato e a rischio di perdita d'identità, l'atto che ricompone le tessere di tale sgretolamento della propria coscienza, della continuità dell'esistenza e della propria appartenenza famigliare e affettiva.
Di lettere e cartoline postali nel periodo bellico in Italia ne furono spedite oltre 4 miliardi.
I soldati scrivono ai genitori, ai fratelli, agli amici, al sindaco, al parroco, alle madrine di guerra.
Dalle lettere, più spontanee e genuine e senza filtri, si distinguono i diari popolari di guerra, «a metà strada tra agenda, nota diaristica e memoria».
Il diario agenda serve per misurare il tempo che passa e dare sicurezza e ordine in una situazione di dispersione di punti di riferimento.
Il diario si sviluppa dalla necessità di conservare «il tempo altro, straordinario della guerra in cui succedono eventi difficili da immaginare per chi sta a casa».
Il diario rispecchia giornalmente «l'occasionalità dell'esistenza», in modo frammentario, senza un disegno complessivo.
«Ogni annotazione è in sé compiuta». Vive in una prospettiva frantumata, «in situazione». Solo il memoriale può restituire a distanza il senso globale, pur velando i particolari, dei fatti.
E tuttavia, ricorda Antonelli, «gran parte del fascino e dell'interesse destati dai diari di guerra risiede proprio nella loro presa diretta».
Oltre a lettere e diari l'antologia comprende delle memorie vere e proprie: sono spesso scritte al termine della guerra, anche dopo vari anni oppure durante la guerra da parte di chi (ferito, prigioniero o dislocato altrove) è ormai lontano dal fronte vero e proprio.
Rispetto alla contingenza dei diari le memorie riorganizzano i ricordi cercando un ordine unitario che dia senso agli eventi frammentari.
Spesso nelle memorie si mescolano i ricordi (ricostruiti, modificati) con integrazioni di notizie e dati appresi nel frattempo, a distanza da quegli eventi vissuti. La memoria scritta spesso modifica ed espande la memoria viva orale.
I testi dell'antologia -ci ricorda infine Antonelli- chiedono al lettore una collaborazione fattiva che vada ad integrare la punteggiatura talora assente, a spezzare il flusso delle parole, a perfezionare la scorretta grafia o grammatica o sintassi che risentono, ovviamente, dell'influsso dialettale di provenienza.
I soldati, d'altronde, scrivono in condizione di precarietà estrema, non son certo degli impiegati in ufficio: la loro scrittura si colloca nell'area intermedia tra l'oralità e la scrittura colta.
Per l'appunto è una «scrittura popolare», una scrittura, che Antonelli definisce «anfibia».
Ma proprio questa sua caratteristica di ibrido permette al lettore di cogliere con più emotività e interesse il trauma che questi testi dovevano descrivere.
Un libro esemplare, quasi un romanzo a puntate scritto a più mani, che affascina, anche per la varietà degli stili e che proietta il lettore nella realtà di un evento epocale, iniziatico, reale, facendoci vivere in presa diretta, da lettori postumi, la Storia di ieri, di una madre Europa in cui i popoli si sono annullati nella loro umanità e nei valori che comunque li univano, marionette di un meccanismo che stritolò nove milioni di cittadini a cui va aggiunto, come ricorda il poeta austriaco Georg Trakl nella chiusa della poesia «Grodek» «un possente dolore,/i nipoti non nati»: uomini in età fertile, giovani, strappati alla vita e alla fecondità, «inghiottiti per più tornar alla luce» (come recita una lettera di soldato anonimo) portando con sé altre decine di milioni di figli potenziali.