In ottobre il Trentino eleggerà Governatore e Consiglio provinciale

La nuova leadership sarà della formazione politica che più si dimostrerà compatta nella salvaguardia dell'Autonomia

Dalle elezioni regionali che sono seguite alle votazioni politiche del 4 marzo scorso ci sono molti insegnamenti da ricavare.
In Molise prima e in Friuli Venezia Giulia poi, gli elettori si sono espressi in maniera difforme rispetto alle votazioni nazionali sia in termini di affluenza che di scelta politica.
Anzitutto, il calo di affluenza sta a indicare la disaffezione della gente non al voto, ma nei confronti del proprio partito. È capitato in passato anche al Centrodestra, quando i sostenitori di Berlusconi che non avevano voluto sostenerlo si erano semplicemente rifiutati di andare a votare. Cioè non avevano cambiato idee politiche, avevano solo espresso la propria dissidenza con quanto stava accadendo nel paese.
Il secondo aspetto riguarda la dicotomia che è andata a crearsi tra i partiti per così dire «vincenti», Movimento 5 Stelle e Centrodestra.
In questi casi accade un fenomeno comportamentale di massa, per cui gli elettori si trovano portati a esprimersi a favore di una parte o dell’altra, dimenticando totalmente gli altri contendenti.
Forse i lettori trentini non più giovani ricorderanno quando all’interno della Democrazia Cristiana vi furono due candidati di punta, Mario Malossini e Pierluigi Angeli. La concorrenza tra i due aveva portato la gente a scegliere per una parte o per l’altra votando in massa per la DC, dimenticando gli altri partiti. E anche l’affluenza al voto fu eccezionale.
I Friulani si sono trovati a dover scegliere tra Salvini e Di Maio e hanno dimenticato il PD. E chi non ha voluto tradire il PD semplicemente non è andato a votare.
 
Ora vediamo di trasportare il fenomeno all’eventualità di elezioni anticipate in Italia.
Di fronte a Salvini e Di Maio che fanno le prime donne, ognuno dei due convinto di meritarsi Palazzo Chigi, la gente si troverà (più o meno inconsciamente) portata a scegliere per l’uno o per l’altro, o magari a votare l’uno per impedire all’altro di farcela. A rimetterci le penne, tutti gli altri partiti.
Questo sta a significare anche che le elezioni anticipate porterebbero certamente risultati diversi da quelli emersi lo scorso 4 marzo. E ce la farà il candidato che diventerà meno antipatico alla gente, perché li voteranno anche elettori che non si riconoscono né in un partito né nell’altro.
A ben leggere i risultati del Friuli, dunque, Salvini è piaciuto di più. Oppure Di Maio ha sbagliato.
 
E adesso vediamo cosa potrebbe accadere in Trentino, dove a ottobre i cittadini saranno chiamati a votare per le provinciali.
I risultati dello scorso 4 marzo hanno rappresentato quella che noi abbiamo definito « Rivoluzione di marzo», perché l’elettorato ha spazzato via politici che erano ritenuti incrollabili.
Trasferendo tali risultanze a livello locale, la rivoluzione risulterebbe ancora più clamorosa. Ma in realtà non sarà così.
Il voto espresso per le politiche del 4 marzo ha rappresentato perfettamente la situazione parlamentare romana. Come abbiamo scritto più volte, ci è parsa la legislatura più brutta della Repubblica Italiana. La campagna elettorale che l’ha conclusa è stata ancora peggio. Cosa potevano attendersi allora i parlamentari, se non un cambio totale?
 
Ma quanto accadrà a ottobre in Trentino, secondo il nostro parere, non avrà nulla a che spartire con le elezioni nazionali né con quelle regionali del Friuli.
Ammesso – come probabile – che in autunno non si vada a elezioni anticipate, i Trentini si troveranno a scegliere per casa loro, per la propria Autonomia.
Non ci è sfuggito che i candidati della regione Friuli VG non abbiano mai parlato di «Autonomia». In Trentino invece la parola «Autonomia» è sulle labbra di tutti i cittadini.
La gente trentina ha capito che cosa significhi poter decidere cosa fare e cosa non fare. Non solo perché ha potuto toccare con mano la differenza con il resto del paese (che continua a farci sapere che siamo «privilegiati»), ma perché la gente sente la responsabilità dettata da uno statuto così vicino alla propria sensibilità amministrativa. L’Autonomia è nel DNA dei Trentino.
 
Va ricordato forse che il Pacchetto Trentino Alto Adige è stato costruito dallo Stato con le province di Trento e Bolzano al termine dei lavori della Commissione del 19 i cui componenti erano animati dalla volontà reale di trovare una soluzione alla questione.
I quasi 50 anni di assunzione progressiva delle competenze che il Secondo Statuto ci ha dato hanno ingenerato l’amore per la propria terra, gestita esclusivamente in proprio.
Non è un caso che la Lega, uscita vincitrice in Trentino con le elezioni politiche del 4 marzo, abbia inserito nella dizione della propria formazione politica la parola «Autonomia». Non più appartenenza alla Padania, che poco cambia dall’appartenenza allo Stato, ma piuttosto «Centrodestra autonomista».
 
Non pare invece che la coalizione di Centrosinistra attualmente maggioritaria in consiglio provinciale abbia compreso la situazione. Il pericolo non viene dalle risultanze delle elezioni nazionali del 4 marzo, ma da chi meglio riuscirà a interpretare l’Autonomia così come viene vissuta dalla gente.
Se il «Centrodestra Autonomista» scenderà in campo per ottenere la leadership alle elezioni di ottobre, il Centrosinistra dovrà solo fare quadrato e giocare sulla maggiore esperienza nella Pubblica Amministrazione, quella che ha portato il Trentino a questo livello di civiltà e benessere.
L’idea che qualcuno del Centrosinistra voglia mettere in discussione la candidatura di Ugo Rossi ci fa pensare che non stia guardando la realtà con realismo.
In Trentino i risultati non saranno influenzati dalle votazioni nazionali, ma dalla credibilità che le formazioni politiche riusciranno a nutrire presso l’elettorato in termini di autonomia. Se a dubitarne dovessero essere gli stessi componenti della attuale maggioranza, si aprirebbero le porte al sedicente Centrodestra Autonomista.
 
GdM