Berlanda e Dolzan: artisti in dialogo a Palazzo Trentini
Ancora pochi giorni per visitare la doppia antologica, che resterà aperta fino al 9 gennaio 2016

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E’ visitabile ancora per pochi giorni la mostra d’arte «Marco Berlanda-Paolo Dolzan» presso gli spazi espositivi di Palazzo Trentini in via Manci a Trento.
Curata da Tommaso Decarli, l’esposizione mette in dialogo l’opera pittorica e grafica di due artisti anagraficamente distanti (classe 1932 Berlanda, classe 1974 Dolzan) ma che sono legati da un’affine tensione verso la deformazione espressionista del soggetto rappresentato.
All’ingresso della sala al piano seminterrato lo spettatore è introdotto da un videostill (Artista guarda artista) realizzato da Osvaldo Cibils (uruguayano naturalizzato trentino) il quale giustappone l’ars laborandi di Berlanda (giugno 2015), che nel suo antro delle Androne, pur nel «riempimento» assoluto dello spazio di lavoro, sceglie con movimenti lenti e misurati i colori e gli strumenti per dipingere con delicatezza i suoi cartoni (misurati), all’azione irruenta e performativa di Dolzan (performance del settembre 2015 presso la Galleria nera di Piedicastello) il quale, aiutato da altri giovani collaboratori, aggredisce - in semi trance creativa - i materiali e i supporti con gesti scattosi ed espressivi su superfici ampie e dilatate.
Azione privata e azione pubblica, dunque, in dialogo dialettico; rito intimista e rito socio-politico che scacciano i demoni personali e quelli della comunità.
Diversità dialettica che trapela anche nelle due significative foto in bianco e nero (di Fulvio de Pellegrin) che affiancano i video, mostrandoci un Berlanda (del 2013) intento a proiettare delle diapositive (altra sua grande passione è infatti la fotografia, dalla quale spesso egli trae ispirazione) e un Dolzan «rituale» che trattiene sorridente una testa di caprone imbalsamata.
Di Berlanda il curatore ha selezionato (presso i famigliari e i collezionisti) alcune tra le migliori opere di quarant’anni di attività: dai disegni a carboncino o tecniche miste degli anni ’70 (con una certa propensione della scomposizione delle forme geometriche) tra i quali alcuni splendidi crocifissi e il trittico «La risata» (nel quale si esprime in realtà l’aggressività, attraverso la dentatura); ad alcune tecniche miste degli anni ’80, dai colori fauves, soprattutto nei ritratti. Negli anni ’90 la tavolozza torna a scurirsi nelle tonalità: è il caso di alcune delle più significative opere esposte, tra le quali «San Romedio», «Castello di Lauro», «Monumento a Dante», «Capitello a Luzzara».
Dal 2000 i colori si fanno più gioiosi e brillanti, Berlanda esprime la sua gioia di vivere con maggior compostezza nelle strutture dei volti e dei paesaggi urbani, il dinamismo inquieto degli anni precedenti sembra ricomporsi in una sintesi di emozioni più pacate e distese: ciò trova il suo compimento, negli anni recenti, nell’uso degli smalti, che consente al pittore di dare alle sue opere quel tocco di lucidità di cui egli sente il bisogno.
Rimane, tuttavia, nelle opere di un quarantennio, una grande coerenza, con caratteristiche della propria poetica creativa che ritroviamo fin negli ultimi lavori: in particolare la tendenza all’arabesco, alla quadrettatura, alla ripresa delle decorazioni geometriche (dei vasi neolitici, minoici, greci) nei paesaggi, nei monumenti, nella ritrattistica (da ammirare, in tal senso, il ritratto «Mia madre Rosa», del 2012); oppure nelle formidabili mani, vere e proprie impugnature che rinviano, da chiuse, a dei carciofi, o a delle «pinze prendi peluche».
Tra i ritratti esposti prevalgono i famigliari, gli amici, i conoscenti. Ma in casa e in studio il pittore tiene anche dei ritratti –commissionati o meno – di persone o di loro coniugi scomparsi, che non sono piaciuti ai destinatari, «perché non abbastanza somiglianti».
Immaginiamo quanti Kirchner, Picasso o Bacon - solo per citare tre autori - sarebbero oggi nei musei o nelle collezioni private di tutto il mondo se la logica – narcisistica - della somiglianza fosse rimasto il dogma dell’arte del ritratto.
Gente che «non capisce» o definisce semplicemente «naif» l’opera di Berlanda ce n’è in Trentino: per fortuna il suo lavoro ha ottenuto l’apprezzamento di critici, collezionisti e musei, a partire dal filosofo critico d’arte Dino Formaggio che nel suo Museo di Teolo (Pd) ha voluto alcune opere di Berlanda inserite nella collezione permanente, e dal critico scrittore Renzo Francescotti che gli ha dedicato la fortunata monografia «Marco Berlanda. Pittore selvaggio» (Temi editrice, 2005).
Marco Berlanda
Nato a Trento, dove tuttora risiede, nel 1932. Fin da bambino manifesta un notevole interesse per la pittura e il disegno. Autodidatta può dedicarsi con assiduità all’arte solo in età matura, dal 1975, quando comincia ad entrare in contatto con diverse Associazioni come il Gruppo Studio Arti Visuali di Trento, il Gruppo La Cerchia - Artisti Trentini ed il Gruppo U.C.A.I., sempre di Trento.
Tra le numerose sue partecipazioni a Mostre personali e collettive merita segnalare quella alla Internationale Künstlerborse di Francoforte nel 1984, la presenza alla rassegna El encuentro de dos mundo dell'Estado de Sonora in Messico nel 1992 e la mostra personale tenuta a Parigi nel 2012. Per due volte gli viene conferito il Premio Nazionale Naïf di Luzzara, fondato da Cesare Zavattini.
Di Paolo Dolzan il curatore Tommaso De Carli ha invece selezionato una trentina di opere, tra oli, tecniche miste, incisioni (monotipi) e sculture. Sono opere dal 2000 ad oggi, in prevalenza ritratti (o teste) e qualche paesaggio.
Sono opere dalla potente carica deformante, volti in via di sfaldamento, identità perdute nello sgocciolamento del «dripping». Linee grosse di contorno (come in Berlanda) che devono contenere la liquefazione del colore e trattenerla dalla disgregazione totale della forma. Teste, figure, paesaggi; soggetti profani ma anche sacri: uno splendido San Livino (evangelizzatore inglese in Frisia, Olanda, al quale i pagani strapparono la lingua dandola in pasto ai cani) e una «Madonna con bambino» sui generis, in cui Dolzan, seguendo un’impostazione delle figure da «scuola veneta», propone un Gesù «rettiliano» inquietante, poco ortodosso.
D’altronde nell’opera di Dolzan, per molti «aggressiva» e «provocatoria» c’è da anni una costante tensione al sacro, nelle sue varie accezioni, che lo hanno portato a confrontarsi con altri autori (ricordiamo l’importante esposizione «Confronto sulla crocifissione: Bruno Bordoli e Paolo Dolzan» tenutasi nel 2010 presso il Museo della Carale Accattino di Ivrea).
In mostra anche due sculture o, meglio «Skulputren», oggetti feticci (teste in putrefazione) realizzate dall’artista trentino nel suo mulino-laboratorio alchemico di Stenico, utilizzando materiale vario di riciclo (gesso, legno, colore, stracci, spatole, fibra di canapa, denti umani e quant’altro).
Oggetti da Wunderkammer, ibridi di una ierogamia in decomposizione che non lascia spazio per l’elemento lirico, preparando materialisticamente il terreno ad una rinascita biologica che passa dalla distruzione dell’umano.
Oltre la scomposizione del volto del cubismo, oltre la distorsione del volto di Francis Bacon, Dolzan arriva alla lebbra che consuma gli orifizi umani, tranne la bocca (con i suoi denti che sono l’unico superstite del volto) e metamorficamente trasforma il luogo sacro del possibile incontro con l’anima e l’Alterità, in un brodo primordiale di putrefazione e rinascita.
Paolo Dolzan
Nasce a Mezzolombardo nel 1974. Intraprende gli studi artistici frequentando l'Istituto Statale d'Arte A. Vittoria di Trento.
Nel 1998 si diploma in pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia, allievo di Carlo Di Raco.
Nel marzo 2004 fonda l'associazione Spazio27 a Trento, nell'ottica di promuovere il confronto e l'interscambio culturale tra gli artisti.
Nel corso di questa esperienza, ha modo di intrecciare numerosi rapporti di collaborazione con intellettuali e artisti, in Italia e all'estero.
Dolzan è insegnante di Storia dell'Arte e Disegno presso l'Istituto di Istruzione Superiore di Tione.
Ha tenuto mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero (Germania, Cina, Stati Uniti).
Nel 2015 ha acquisito una proprietà presso Wölkisch in Germania, col fine di realizzare un centro d’arte volto alla promozione e diffusione di eventi artistici che spaziano dall’arte al teatro.
Il curatore della mostra
Tommaso Decarli, è attivo da tempo nell’organizzazione di eventi culturali, sia a livello locale che nazionale ed internazionale.
Laureato in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli Studi di Trento, ha curato mostre per enti pubblici e privati. Tra le esposizioni da ricordare: Wiener Aktionismus, Galleria Argo, Trento (I), 2003; MMIII, Parlamento Europeo, Sala Spinelli, Bruxelles (B), 2003; DDT – Der grosse Parasit, Kunsthalle Faust, Hannover (D), 2005; Dalla storia alla strada, Foyer Santa Chiara, Trento (I), 2012; Soundart10giorniLive – Osvaldo Cibils, Torre Mirana, Trento (I), 2014 e MAG3, Vienna (A), 2015.
Dal 2004 segue con particolare attenzione il lavoro di Paolo Dolzan, del quale ha curato le seguenti mostre: Walhalla: Dolzan opere 2004 – 2006, Castello Costa del Carretto, Garlenda (I), 2006; La predica all’uccello, Galleria Argo, Trento (I), 2011; Dolzan – Esperienze (2009 – 2011), mostra itinerante, Italia, Germania, Stati Uniti, 2011; The Big Black, Istituto Italiano di Cultura, Shanghai (Cina), 2012; Il vecchio mulino e il pittore pazzo, progetto itinerante, Italia – Spagna, 2014; Skulputren, Galleria Argo, Trento (I), 2014
«Marco Berlanda – Paolo Dolzan» a cura di Tommaso Decarli.
Dal 27 novembre 2015 al 9 gennaio 2016 -tutti i giorni dalle 10 alle 18 (eccetto il sabato pomeriggio e la domenica).
Massimo Parolini