Uri Caine e Mario Brunello hanno chiuso i «Suoni sulle Dolomiti»

La ventesima edizione dei Suoni si è conclusa con uno straordinario concerto unico e irripetibile come tutte le opere di Arte Sella che «qui nascono e qui restano»

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Nelle suggestive architetture della Cattedrale vegetale di Arte Sella è andato in scena l'ultimo appuntamento de I Suoni delle Dolomiti che ha visto come protagonisti il pianista e jazzista statunitense Uri Caine e il violoncellista Mario Brunello.
Un concerto che ha richiamato oltre cinquecento persone che hanno assiepato ordinatamente le navate "naturali" della cattedrale.
Lì in oltre un'ora e mezza di musica si è potuto assistere a un concerto in più parti, il tutto ruotato attorno a un continuo dialogo tra antico e moderno, tra classico e contemporaneo, tra strumentisti e ambiente circostante.
Allo stesso tempo si è potuta toccare con mano la sintesi di quello che sono i Suoni delle Dolomiti, con il loro dialogo diretto con la natura, la performance musicale che assume valore unico anche per come si rapporta con l'ambiente e il pubblico che decide di vivere un'esperienza particolare e a suo modo unica, sapendo che troverà qualcosa che propone la giusta quadra tra suoni essenziali, ricerca, silenzio della natura, ascolto e silenzio interiore.
 

 
Tutto questo lo si è respirato anche oggi ed ha rappresentato simbolicamente la perfetta chiusura di vent'anni di Suoni delle Dolomiti.
A ribadire poi l'eccezionalità del tutto le parole di Mario Brunello che ha ricordato come questo concerto avrebbe rispettato il filo rosso che segna tutte le opere di Arte Sella: creazioni delle quali l'uomo non può impossessarsi.
Che nascono qui e qui rimangono e qui si consumano.
Qualcosa che potrebbe sembrar parlare di momentaneo, ma che in realtà ci rimanda di più al sublime. A quei momenti in cui guardiamo al di là della nostra quotidianità.
A segnare il concerto la «Ciaccona», che Brunello ha definito «blues del passato», con un basso sul quale sono state inventate un bel po' di cose.
Ed è infatti cominciato proprio da qui, da questo basso, il live alla Cattedrale vegetale con Brunello che ha giocato col suono usando anche l'ausilio dell'elettronica e lanciandosi in loop sonori che poi sono diventati la base per successive escursioni nella musica di Bach.



Il tutto fino a quando è entrato in scena Uri Caine che come un fiume ha scavato la terra sotto di sé, ha macinato pietre, alberi, foglie per trasformarle in qualcos'altro.
Sì perché Uri Caine fa questo: scioglie e crea, crea nuovi territori fertili partendo dal già sentito. 
E così dopo un altro intervento di Brunello, abile a trasportare i suoni là dove il pensiero si interroga sul mondo, Caine ha avuto spazio per dedicarsi all'improvvisazione.
Vi si sono riconosciute maree di suoni, dal jazz al ragtime, dalla classica alla contemporaneità e anche altro. Perché Caine è colto, classico e pop insieme e a ribadirlo è arrivato anche lo spunto finale dedicato alla musica da cinema degli anni Trenta.
Tanti, tantissimi gli applausi che hanno convinto i due musicisti a ritornare sul palco per riproporre Bach e una chiusura dalle atmosfere misticheggianti in cui i suoni eterei e malinconici di un tradizionale canto armeno hanno visto il violoncellista italiano cedere il passo al pianista di Filadelfia, ormai newyorkese di adozione, che ha reinterpretato con grande poesia il tema musicale.