Sgominata in Trentino banda affiliata alla Sacra Corona Unita

«Operazione Bellavista»: Arrestate dai carabinieri 34 persone per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti

I carabinieri hanno eseguito questa mattina un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Trento su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 34 persone per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e violazione della normativa sulle armi.
Agli indagati, localizzati nelle province di Venezia, Verona, Treviso, Torino, Brindisi, Cosenza e Trento, è stata anche contestata l'aggravante di aver agito con metodologie mafiose.
I provvedimenti restrittivi scaturiscono da un'indagine del ROS, nei confronti di una diramazione trentina della criminalità brindisina, dedita al traffico di cocaina, eroina ed ecstasy, destinate prevalentemente ai mercati lombardi e veneti.

Le indagini hanno delineato la struttura del sodalizio, documentando il ruolo di vertice di Giulio Andrisano, già arrestato nel 2004 a Torbole in esecuzione di un provvedimento emesso dal GIP di Brindisi per associazione mafiosa.
Originariamente affiliato al clan Pasimeni, appartenente alla frangia mesagnese della Sacra Corona Unita agli inizi del 2000, l'Andrisano era transitato nel clan Campana-Gagliardi acquisendone rapidamente la guida, sia per la sua capacità di rifornire il gruppo di cocaina attraverso un consolidato canale albanese, sia per lo spessore criminale che gli veniva riconosciuto all'interno del sodalizio, ma grazie anche ai suoi legami di parentela con esponenti della criminalità organizzata pugliese, quali Giuseppe Rogoli, storico fondatore della Sacra Corona Unita.

Qualificate presenze della criminalità mafiosa brindisina in territorio trentino erano peraltro state accertate fin dal 2001, con la cattura a Riva del Garda del latitante Francesco Campana, capo del citato clan salentino.
Dopo la sua scarcerazione, avvenuta nell'ottobre 2006, Andrisano era riuscito a catalizzare gli interessi dei compaesani presenti nel nord Italia, approvvigionando il narcotico da una componente albanese capeggiata dai fratelli Pashaj, oltre che da gruppi magrebini operanti nel capoluogo lombardo.
In una seconda fase le indagini hanno accertato il coinvolgimento del gruppo Andrisano in un traffico internazionale di cocaina attraverso la rotta balcanica. Anche in questo caso, il sodalizio si approvvigionava da gruppi albanesi per distribuire poi il narcotico sul mercato emiliano-romagnolo e in particolare nella città di Bologna. Il controllo della rete distributiva era stato invece affidato al figlio Alessandro.

Oltre a riscontrare gli interessi del sodalizio nel traffico di stupefacenti, le indagini hanno accertato la disponibilità di armi da parte del gruppo Andrisano, utilizzate in particolare dal figlio Alessandro, incaricato insieme ad altri affiliati del recupero delle somme relative alle forniture.
La mafiosità del sodalizio è stata confermata non solo dal sistematico ricorso all'intimidazione nei confronti degli acquirenti insolventi, ma anche di potenziali testimoni, come nel caso del titolare di una tabaccheria di Riva del Garda che, dopo essere stato arrestato dai carabinieri con un quantitativo di cocaina acquistata dal sodalizio indagato, è stato minacciato di morte per scongiurarne eventuali delazioni.

Dalle attività tecniche è inoltre emerso come Il gruppo stesse programmando una rapina a un furgone portavalori nella zona di Rovereto, presumibilmente per finanziare il narcotraffico.
Nel documentare l'ascesa del gruppo Andrisano nel panorama della criminalità trentina, l'indagine ha evidenziato la capacità delle organizzazioni pugliesi di coagulare intorno al narcotraffico gli interessi criminali di realtà geograficamente lontane, dando vita a gruppi fortemente organizzati e in grado di riprodurre il modello mafioso diffuso nella regione d'origine.
È stata infine confermata la tendenza delle bande pugliesi a stabilire rapporti funzionali al narcotraffico con qualificate componenti albanesi, in grado di approvvigionare ogni tipo di narcotico.

Nel corso della conferenza stampa di stamattina, il Procuratore della Repubblica Stefano Dragone ha ironizzato dicendo che «a forza di parlare di un Trentino Isola Felice, siamo riusciti ad attirare la malavita organizzata».
Ma Dragone è stato solo ironico e pungente.
Anche se non c'è nulla da fare sull'immagine di una presunta «ricchezza» trentina, va esposta un'altra versione dei fatti. Secondo chi ha condotto l'indagine, infatti, il tutto è accaduto perché il personaggio principale aveva dei parenti in Trentino. Venuto come esule dopo la sua scarcerazione (non al confino), si è poi organizzato dandosi da fare come abbiamo visto dall'«Operazione Bellavista».
I Carabinieri di Trento, e in particolare i ROS, non hanno mai perso di vista il pregiudicato, attenti a qualsiasi cosa potesse far pensare che intendeva riprendere la sua tradizionale attività.
È così che a un certo punto, avendo individuato l'intera rete malavitosa messa in piedi dal pregiudicato, i Ros hanno deciso di far scattare l'«Operazione Bellavista», con la piena collaborazione della Procura Antimafia. Risultato: 34 arresti, 24 dei quali in Trentino.