Una vela trentina nel Pacifico/ 7 – Di Erio Volpi

Dopo le isole Tonga, prua verso le Fiji – E sulla rotta abbiamo assistito a un naufragio

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Proseguendo la rotta che ci porta a visitare la grande barriera australiana nel Queensland, lato nord est dell'Australia, siamo salpati da Bora Bora, una delle ultime isole della Società nella Polinesia francese e, con rotta ovest abbiamo incrociato le isole Tonga, per poi arrivare alle Fiji.
 

 
 LE ISOLE FIJI
Solo circa trecento miglia, due giorni di navigazione, ci separano dalla isole Fiji, dove andiamo ad incontrare la burocrazia più pazza del mondo (parlo sempre di barche, naturalmente).
Prima cosa, non si può arrivare senza essere stati preannunciati da una mail o da un fax, cosa non sempre facile, come si può immaginare, per chi naviga in oceano.
Quando si arriva si è sottoposti a controlli sanitari alquanto stravaganti per accertare che in paese non entri una lista di generi alimentari talmente lunga che non posso descrivere.
Naturalmente é proibitissimo portare qualunque animale o pianta o semente o qualcosa che assomigli a ciò.
Tuttavia i figiani per combattere gli insetti della canna da zucchero hanno introdotto la mangusta, che per prima cosa ha mandato in estinzione rane e ranocchie indigene, preferendo la saporita carne locale e disdegnando il compito che le era stato affidato.
Poi hanno introdotto l'iguana americana che ha preso il posto della più delicata iguana locale e ora è caccia aperta alla povera iguana americana che non ha certo chiesto si soggiornare alle Fuji.
Come si vede predicare bene e razzolare male é una pratica diffusa.
 
Una volta «entrati» nel paese si può girare liberamente per l'arcipelago ma bisogna fare un piano settimanale preventivo degli spostamenti ed un rendiconto settimanale a consuntivo: cose mai viste in nessuna parte del mondo.
Una cosa curiosa è che fra gli adempimenti d'ingresso è prevista un lista-elenco con l'indicazione di tutte le bevande alcoliche presenti in barca (vino e birra compresi). Una identica lista è prevista nell'uscita dal paese.
Se il saldo finale è negativo, cioè si sono consumate più bevande di quante si sono acquistate, bisogna pagare l'IVA figiana su quanto consumato.
Se vi piacciono i grattacapi finanziari, capire il perché é un bell'esercizio.
Tralascio altre amenità.
 

 
I fijani, come mi spiegava la direttrice portoghese di un resort dove ci eravamo fermati per cena, sono molto diversi sia dai tonghiani che dagli abitanti delle Vanuatu.
La capacità organizzativa e lavorativa non è il loro punto di forza, talché gli inglesi, che volevano coltivare la canna da zucchero in queste terre, dovettero importare alcune decine di migliaia di lavoratori indiani.
Indiani e fijiani non solo non si sono mescolati, ma oggi le due comunità vivono separate in casa.
Gli indiani con la loro intraprendenza hanno assunto il controllo di quasi tutte le attività economiche dell'isola e sono il vero motore della nazione, ma dopo duecento e cinquanta anni non hanno ancora ottenuto la piena cittadinanza.
Ci sono i cittadini fijani e i cittadini indo-fijani, con diritti diversi.
 
Anche la democrazia non è un punto di forza delle isole Fiji. Un colpo di stato militare ha deposto alcuni anni or sono tutti i poteri del paese, magistratura compresa, tranne il presidente delle repubblica lasciato come garante.
Il Presidente della repubblica ha subito nominato il capo delle forze militari primo ministro con pieni poteri.
Come conseguenza di ciò le isole Fiji sono state espulse da tutti gli organismi internazionali per carenza di democrazia.
Detto questo, girando per le isole e per le città non si ha alcuna percezione di questi problemi, e gli stessi fijani con i quali ho parlato, hanno preso la cosa con grande filosofia.
 
 

 
L'arcipelago delle Fiji è costituito da circa trecento isole sparse su una superficie di diverse centinaia di miglia in latitudine e longitudine.
Sono isole vulaniche, belle e rigogliose con interessanti reef circostanti.
In questo arcipelago si possono trovare isole dimenticate dai percorsi turistici, nelle quali esistono piccoli poveri villaggi fijani che vivono con una modesta agricoltura di sussistenza.
Questi villaggi si possono visitare solo se invitati dal capo tribù e con un rituale ben preciso.
Una volta sbarcati ci si presenta con la radice di «kava» in mano quale segno di amicizia (kawa è la radice di un arbusto, si compera nei mercati e serve per preparare un infuso inebriante).
 
Bisogna presentarsi vestiti di tutto punto, senza cappelli o occhiali da sole, considerati sconvenienti.
Si partecipa al rito collettivo della bevanda kava, servita in mezza noce di cocco.
Questa va bevuta in un solo sorso, altrimenti è considerata non gradita. Non è facile: a mio giudizio è una bibita dal sapore sgradevole e legnoso e per nulla inebriante.
 
A cinquanta miglia di navigazione da questi villaggi si trovano le isole «sviluppate».
Sono ampie estensioni di territorio lottizzate dalle multinazionali del turismo con resort, ville private, campi da golf, piscine, bar e ristoranti di lusso, boutique etc., dove si può trovare, profumatamente pagando, tutto quello che un occidentale può immaginare.
Queste zone, off limits per i fijiani, sono frequentate da un turismo ricco prevalentemente americano e australiano.
Ci sono i porti privati nei quali stazionano yacht dalle dimensioni e dal prezzo non immaginabili, tenuti lucidi splendenti da nugoli di marinai, che attendono le rare visite dei proprietari.
Quando si esce da queste zone «protette» dove le strade sono un percorso fra fiori e giardini, dove il traffico è costituito dalla macchinette elettriche che trasportano anziani giocatori di golf e si impatta nel primo villaggio fijiano con i bambini scalzi e le case costruite di lamiere, paglia e qualche raro mattone non si può evitare qualche riflessione.
 
 
 

Stavamo navigando a vele spiegate verso Naviti, un’isola all'estremità ovest dell'arcipelago quando un idrovolante della capitaneria ci passò appena sopra l'albero: è il segnale che usano gli aerei (lo rifaranno in Caledonia e in Australia) per segnalare che vogliono comunicare con la barca.
Inserimmo il canale 16 del VHF – è il sistema di trasmissioni in mare – e l'idrovolante ci segnala che una imbarcazione a rischio di affondamento ha lanciato il mayday.
Ci comunica le coordinate dell'imbarcazione, si assicura che abbiamo capito bene e se ne va.
Inseriamo le coordinate nel sistema di navigazione della barca e partiamo verso la direzione indicataci.
 
Dopo circa quindici minuti di navigazione appare all'orizzonte uno yacht fijano a motore, piuttosto vecchiotto che stimo sui 10-12 metri di lunghezza (foto seguente).
È semiaffondato e tre persone con i giubbotti di salvataggio sono arrampicate sulla prua, la parte della barca che emerge meglio dall'acqua.
Nessuna traccia di zattera autogonfiabile, il mare attorno e pieno di oggetti galleggianti usciti dallo yacht (cuscini, parabordi, contenitori, frigo portatili etc).
Stiamo preparando la cima con unito il salvagente da lanciare, quando per radio ci viene detto di attendere l'arrivo del mezzo di soccorso della capitaneria, tenendo d'occhio che le cose non precipitino.
In effetti in lontananza si vedono già i baffi di schiuma di un grosso motoscafo. 
Arriva dopo pochi minuti e noi lasciamo il compito ai soccorritori ufficiali.
 
Se ne va il motoscafo di soccorso con i naufraghi e noi restiamo a guardare lo yacht, ma non per molto: dopo pochi minuti con un'ultima sbuffata di aria lo yacht si inabissa per sempre.
Un'altra barca ha finito la sua vita di superficie al servizio degli uomini per iniziare la vita di relitto, sarà casa e rifugio di pesci e di organismi marini.
Perché è affondato?
Non é dato a sapere Eravamo lontani da reef e il mare era abbastanza calmo.
Si può immaginare un cedimento strutturale della scassa del timone o della baderna dell'albero motore, gli unici punti dai quali si possono avere entrata di acqua non più controllabili.
 
 
 
 
Riprendiamo la rotta per l'isola di Naviti.
Ci é stato detto che nel canale fra quest'isola e un'isoletta vicina si possono vedere le mante giganti.
Arriviamo verso sera e ancoriamo in una baia vicina, pronti per la spedizione del giorno dopo.
Di buon mattino con il gommone della barca (il termine esatto è «dinghy») ci spostiamo sul canale e ci immergiamo.
La corrente fra le due isole è una specie di fiume, con una velocità che stimo attorno ai tre-quattro nodi.
È impossibile nuotare controcorrente o anche fermarsi per cui usiamo il sistema detto «drifting».
 
Ci si tuffa dal dinghy all'inizio del canale e ci si lascia trascinare dalla corrente fino alla fine dello stesso, dove la corrente cala di intensità.
Si risale quindi sul gommone che ci ha seguito, trascinato anche lui dalla corrente.
Non è una cosa per principianti, ma è meno difficile di quanto sembri.
Il fondale, spazzato dalla corrente, è un incredibile giardino di coralli duri, con una quantità enorme di pesciolini colorati, che sanno nuotare, e bene, controcorrente.
Riesco a scattare qualche fotografia, a fatica, perché la corrente mi sposta la macchina fotografica dalla mano. 
 
 
 
 
Dopo diversi passaggi vedo finalmente un ombra nera che si avvicina (foto in basso).
Mi immergo e aspetto, aggrappato a una roccia.
Una grossa manta con una apertura alare che stimo sui tre-quattro metri, mi passa abbastanza vicina per permettermi di scattare un paio di foto.
È un animale stupendo che nuota con grande armonia e leggerezza, nonostante la mole, una vera regina dei fondali.
Per chi avesse paura dei mostri marini dico subito che la manta é un pesce timido e innocuo, si nutre prevalentemente di plancton e di piccoli organismi che ingoia nuotando con la bocca/imbuto.
In realtà non é la prima manta che vedo : nell'arcipelago San Blas e nelle isole Los Roques nel mar dei Caraibi ne ho visto diverse, ma mai così grandi.
 
Testi e foto di Erio Volpi
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(Continua con le isole Vanuatu)