A Villa Lagarina «L’opera libera» di Carlo Colli
La mostra è allestita a palazzo Libera e sarà aperta fino al 2 marzo

L'Amministrazione comunale di Villa Lagarina, in collaborazione con la Galleria PoliArt Contemporary, ha organizzato la mostra personale di Carlo Colli «L'opera libera»: venti opere in cui emerge l’originalissima ricerca «su» carta dell’artista siciliano.
La mostra, a cura di Leonardo Conti e Claudio Tovazzi, è allestita a palazzo Libera e sarà aperta fino al 2 marzo.
«In queste opere – spiegano i curatori - si può senz’altro dire che la carta non sia neppure più un supporto ma, in un’inedita fusione con la pittura, si mostra nella sua valenza oggettuale. Ogni carta è completamente ricoperta, fronte e retro, dalle percepibili pennellate di pittura monocroma, preparando così il paradosso di una superficie spessa, pronta a misurarsi con ogni azione dell’artista. Forse è proprio questo il primo dato poetico di questa ricerca: l’unione di pittura e carta per trascendere l’intramontabile dualismo di tecnica e supporto, creando una forma coesa che sia completamente immersa nell’ambiente in cui si mostra.»
Carlo Colli nasce in Sicilia nel 1968. Dopo aver conseguito il diploma all'Istituto statale d'arte di Sciacca, si diploma nel 1991 all'Accademia delle belle arti di Firenze dove attualmente vive e lavora.
L’allestimento che lo vede protagonista a Villa Lagarina è visitabile mercoledì, giovedì e venerdì dalle 14 alle 18; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 18.
L'ingresso è libero e gratuito. Spiegano ancora i curatori: «Nel ciclo “Skin” gli strappi, che per Colli sono ancora pittura, misurano lo scarto tra l’intenzione dell’artista e la resistenza del suo nuovo “corpo” pittorico. L’artista tenta una retta, due parallele, un cerchio, ma nello strapparsi ecco che la retta s’incurva, le parallele convergono, il cerchio si deforma: è l’imperfezione creativa, in cui l’immagine si mostra nella propria purezza fenomenica, infinita approssimazione tra ideale e realtà.»
Nel ciclo «Recompose», poi, Colli approfondisce la diretta corrispondenza, non solo tra opera e spazio, ma anche tra opera e interprete.
L’artista strappa ancora la carta-pittura, d’istinto questa volta (pars destruens), senza preoccuparsi dell'estetica dello strappo come avveniva in Skin, poi ricompone, come in un restauro, i vari pezzi utilizzando un largo nastro adesivo, che, di nuovo, per Colli è pittura, una pittura che compone e salva.
Ne risulta un’architettura di strisce nere in rilievo che ricopre interamente gli strappi.
«Recompose» sorge così, in una sovrapposizione di negazione e affermazione, distruzione e costruzione, istinto e razionalità.
L’opera è ora pronta per espandersi, è una potenza trattenuta che l’artista vuole indipendente da lui stesso: per questo «Recompose» è sempre affidata all’altro che verrà, a colui che l’allestirà sulla prima parete e in quelle che il tempo prepara.
Le larghe strisce di nastro si possono prolungare indefinitamente al di fuori dei confini dell’opera, sia essa singola o multipla, interagendo con lo spazio e con un’interpretazione sempre imprevista.
«Recompose» in questo modo, non sarà mai satura (forse metafora per l’arte tout court) ma «opera libera» sempre in divenire, come l'idea che accompagna la ricerca di Carlo Colli.