«Cara vecchia Trento» – Di Gian Pacher, 1978

Curcu & Genovese ripropone lo storico volume in una fedele stampa anastatica

Titolo: Cara vecchia Trento
Autore: Gian Pacher
 
Editore: Curcu & Genovese 2016
Stampa: anastatica da Casa editrice Panorama 1978
 
Pagine: 200, 17x24, brossura con alette
Prezzo di copertina: Euro 16,00
 
 Il libro 
«Cara vecchia Trento» è lo storico libro di Gian Pacher edito nel 1978 dalla casa editrice Panorama di Trento e stampato dalle allora Arti Grafiche Manfrini di Calliano, qui riproposto in una fedele copia anastatica.
Partendo dai nomi delle strade e delle piazze, Gian Pacher narra della Trento dal Primo Novecento fino agli Anni Cinquanta, Sessanta, ricostruendo un po’ tutto di quel periodo: dai personaggi, ai locali pubblici, alla gente di tutti giorni.
Una preziosa testimonianza che la nostra Casa Editrice ha ritenuto utile e doveroso tramandare ai posteri.
Eccezionale la documentazione fotografica proposta in appendice nel volume.
 
 Descrizione dell’opera 
A volte ci si sorprende in compagnia dei pensieri più improvvisi. Così, al tempo dei social network, dove la memoria, i ricordi, le foto d’epoca, una certa nostalgia e una sorta di estetica vintage sono spesso protagonisti, uno si chiede come avrebbe percorso questi anni Gian Pacher.
Scrittore, giornalista, narratore delicato, imprescindibile protagonista della scena culturale di Trento per tutti gli anni Sessanta e Settanta, prima della scomparsa, prematura, nel 1987.
Ricordarlo, qui, non è però solo nostalgia o vintage. E’ doveroso tributo ad una delle voci più importanti che il Trentino abbia coltivato nel secondo dopoguerra e, forse, frettolosamente dimenticata da troppi.
Così va salutata come merita la decisione delle edizioni Curcu & Genovese di riproporre, in anastatica, quel «Cara vecchia Trento», lo storico libro di Gian Pacher edito nel 1978 dalla casa editrice Panorama di Trento e stampato dalle allora Arti Grafiche Manfrini di Calliano.
La fedele copia anastatica ripropone un viaggio che è più che mai di attualità. Partendo dai nomi delle strade e delle piazze, Gian Pacher narra della Trento dal Primo Novecento fino agli Anni Cinquanta, Sessanta, ricostruendo tutto di quel periodo: dai personaggi, ai locali pubblici, alla gente di tutti giorni.
Una preziosa testimonianza che Curcu & Genovese ha doverosamente e saggiamente ritenuto utile e doveroso tramandare ai posteri. Le sessanta foto in bianco e  nero che chiudono il volume rappresentano la ciliegina sulla torta di un volume imperdibile per chi ama Trento e la sua storia (e le sue cronache).
 
Franco de Battaglia ha conosciuto bene Gian Pacher negli anni in cui è stato il responsabile della redazione trentina dell’Alto Adige, il quotidiano che annoverò l’autore di Cara vecchia Trento tra i suoi collaboratori a partire dal 1958.
Qualche anno fa la Biblioteca comunale di Trento lo invitò ad indicare dieci libri che potessero raccontare la vita nella città.
Al secondo posto collocò proprio il volume di Gian Pacher. De Battaglia, oggi editorialista de l’Adige, lo ricorda così: «Aveva  una penna felice soprattutto nel racconto. I suoi libri sono tesoro per scoprire una città che non si vede più, ma resiste ancora, sotterranea, nei ricordi, nei rapporti interpersonali, nelle nostalgie e nelle resistenze alle volgarità.
«Quel libro è forse il suo titolo più indovinato, più aderente alla poetica che gli era cara del piccolo mondo trentino che la globalizzazione cerca di spazzare via, ma che un antico orgoglio urbano difende. Al tempo qualcuno irrideva il fatto che Gian Pacher si occupasse tanto di calcio quanto di arte e di costume. Io trovo che quei suoi filoni di vocazione fossero invece lo specchio dei tempi.
«Per lui la partita al Briamasco, la vernice di una mostra o il ritratto della venditrice di castagne avevano significato al di là del momento, diventavano occasione di incontro, pezzi diversi di città che stavano assieme, antitesi e alternativa allo shopping vuoto e compulsivo.
«Questa sua presenza aiutava così anche il giornale in un ruolo che oggi appare forse demodé: diventare momento di incontro, anche fisico. Il raccontare come dimensione del vivere, questa l’eredità che ci ha lasciato. E che merita di essere riscoperta.»
 
Nel monumentale e mai abbastanza conosciuto «Dizionario Trentino» - guardacaso, stesso editore - è Mauro Lando a tracciare un breve quanto centrato ritratto di Giancarlo (Gian) Pacher, nato a Trento il 30 luglio del 1935 e scomparso - nella città che ha abitato, raccontato e amato con immutata passione - il 24 febbraio 1987.
«Giornalista e scrittore, Gian Pacher è stato uno degli autori più letti e una delle voci più ascoltate di Trento. Lo è stato perché nella sua multiforme attività e nei suoi diversi interessi ha sempre usato il garbo che invita all'attenzione, la nostalgia che sollecita il ripensamento, la curiosità che offre stimoli.
«Lo ha fatto quando ha scritto di sport, e di calcio in particolare, con cronache mai gridate, ma mirate piuttosto sui protagonisti.
«Lo ha fatto quando si è dedicato alla critica d'arte offrendo testi in cui le intuizioni e le interpretazioni degli artisti apparivano chiare. Lo ha fatto quando ha recensito i lavori teatrali non dedicandosi solo a quelli delle compagnie più importati che raggiungevano Trento, ma anche alla fatica di quelle locali.
«Tutto questo sulle pagine del giornale Alto Adige. Gian Pacher è stato scrittore, autore di innumerevoli libri, tutti rivolti all'orizzonte della città capoluogo: ha narrato vicende, personaggi e luoghi della prima metà del secolo scorso in cui le migliaia dei suoi lettori sapevano riconoscersi. In più è stato anche militante socialista con la presenza in Consiglio comunale e vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti. Appassionato del Festival dei film della montagna ha fatto parte del direttivo della manifestazione.»
 
«Trento più vuota senza le sue storie. Amicizia e rimpianto per un uomo che dei ricordi faceva vita e speranza» titolò l'Alto Adige del 25 febbraio 1987.
Su l'Adige del medesimo giorno Bruno Cagol, che era presidente dell'Ordine dei giornalisti, scrisse che quello di Pacher era «uno stile personale, apparentemente pignolo, ma in realtà espressione di una preparazione culturale e professionale frutto di intensi studi, di minuziose ricerche».
 
E quelle minuziose ricerche costituiscono l’anima di «Cara vecchia Trento».
Da vicolo dell’Adige a via Verdi, da piazzetta degli Agostiniani a piazza Venezia il racconto di Gian Pacher - attento, curioso, partecipe - segue un filo rosso che egli stesso, nella nota introduttiva del dicembre 1978, così indicava: «I lettori converranno che fino agli anni ’50 Trento coltivava di sé una immagine lieta e sorridente malgrado i problemi del vivere quotidiano, le ristrettezze economiche dei più, i minori incentivi nei consumi.
«Caffè e sale biliardo, balere e  giardini, campi di bocce e birrerie, trattorie sotto la pergola e prati ai limiti della città aiutavano a campare alimentando le amicizie, riscaldando gli umori, proteggendo le radici della nostra storia.
«Scrivendo questo libro e ricercando nelle cronache del passato prossimo, ho trovato accanto ai ricordi delle mie personali esperienze, decine decine di luoghi comunitari in cui i trentini, per propria scelta e non perché sospinti degli altri, potevano e sapevano vivere insieme con civiltà, oltre le differenze di classe.»
 
Ecco l’attualità estrema di queste pagine, dove la leggerezza del racconto si accompagna ad un profondo e vero amore civico.
Fatti, personaggi, aneddoti, ambienti e sensazioni sono l’ossatura di un racconto per voci, via per via, piazza per piazza, che diventa sorta di enciclopedia popolare di una città che ci ostiniamo a pensare possa (e debba) ritrovare quell’amore di sé che è l’unico antidoto per resistere alla volgarità dei tempi che stiamo attraversando. E in questo la mai dimenticata freschezza giornalistica del caro Gian ancora ci può aiutare, eccome.
 
Pino Loperfido