Alchimie della ceramica: segno, colore, forma e materia

Mostra personale di Gianni Anderle a Trento, Cantine di Torre Mirana, dal 7 al 16 aprile

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In ogni pratica artistica si può rintracciare ancor oggi il residuo di un antichissimo fondamento alchemico, la discendenza dall’esoterica operazione di trasformazione della materia attraverso la materia con la quale l’alchimista diventa «artefice», creatore dell’opera.
La ceramica, più di ogni altra tecnica artistica, rivela subito una stretta parentela con l’alchimia: le diverse fasi della creazione dell’opera a partire dal grumo informe di argilla, la sua manipolazione con l’impressione della forma, il passaggio dall’impasto con acqua alla struttura rigida attraverso la cottura a fuoco intenso in un forno, una seconda cottura per fissare i colori, la riuscita o il fallimento finale dell’opera, il continuo perfezionamento attraverso ripetizioni e variazioni.
Simile è poi un livello più sottile e segreto: l’inseparabilità delle esperienze esistenziali ed intellettuali dell’artista dalle manifestazioni «espressive» delle opere, l’acquisizione di conoscenze pratiche e formali attraverso un lungo e complesso esercizio tecnico e stilistico che rimanda alle «botteghe» d’arte rinascimentali, l’incompiutezza delle realizzazioni che spinge continuamente a nuovi esperimenti in un continuo accrescimento creativo.
Secondo un’altra fondamentale prospettiva il ceramista evoca il Dio biblico che da vita ad Adamo plasmandolo da un mucchio di argilla, affermando così la sacralità dell’arte del vasaio nella preistoria e agli albori della storia dell’umanità.
 
Dopo i vertici raggiunti con il Rinascimento, la ceramica si riafferma con l’Art nouveau come forma d’arte autonoma, e nel corso del Novecento grandi artisti tra cui Matisse, Chagall, Gaudì, Picasso, Fontana, Manzù, Melotti, ne creano i capolavori più noti.
Ma la volontà plastica di un artista contemporaneo che prediliga la tecnica della ceramica e che vi si dedichi in maniera esclusiva lo colloca, nella nostra epoca del dominio della tecnica, la cui potenza distruttiva scaturisce dal macchinismo totalizzante, in una particolare condizione di inattualità, di invisibilità e di marginalità.
Il duro lavoro sulla materia condotto con operazioni che, nonostante alcuni moderni dispositivi, sono ancora quelle di una tradizione millenaria, legata alla forte concezione dell’artista-artigiano, entra in collisione, nell’ambito dell’arte contemporanea stessa, con le tendenze sempre più diffuse – e costruite per il mercato – alla inessenzialità delle abilità manuali dell’artista, alla «smaterializzazione» dell’opera e alla sua concettualizzazione sempre più marcata.
Dopo queste necessarie osservazioni generali, risulterà ancora più interessante conoscere l’arte ceramica di Gianni Anderle e vederne la manifestazione nelle opere che ha realizzato nel corso di quasi vent’anni.
 

 
Si nota subito una varietà di ricerca nelle direzioni della figurazione stilizzata, del fantastico, del geometrico, e, nell’ultimo periodo, dell’informale; le opere sono per lo più tridimensionali e di diversa grandezza, ma non mancano i pannelli, le tavolette, e gli assemblaggi con altri materiali.
Una costante disposizione per il fantastico, il surreale e il giocoso, si manifesta nei motivi di un personale bestiario e nei frequenti elementi mitologici e fiabeschi, questi ultimi riecheggianti le pitture di Mirò.
Le figure stilizzate sono realizzate in forme attente agli equilibri compositivi, alla simmetria e alla ripetizione seriale per transitare in semplici elementi geometrici, in accumuli volumetrici di cubi, coni, cilindri, sfere e semisfere.
Anderle mette alla prova le possibilità della ceramica confrontandosi con forme elementari: colonne, stele, obelischi in un personale attraversamento degli archetipi più ostensivi della scultura.
 
Questo lungo lavoro di sperimentazione artistica con la ceramica si caratterizza per percorsi individuali che pur assimilando temi e motivi dell’arte del Novecento, non appartengono a una corrente ben definita, non si subordinano a un modello o una precisa linea artistica.
Nelle opere degli ultimi anni Gianni Anderle sembra aver trovato la sua cifra distintiva, o almeno è arrivato a una fase del suo percorso di ceramista d’arte che presenta una forte originalità.
Si tratta di lavori in cui gli elementi plastici si riducono fino a sfiorare la bidimensionalità della superficie piana.
Eppure si tratta di fragili fogli sottili di materia, realizzati con virtuosismo tecnico, visto il rischio di rotture e distruzioni nelle fasi di cottura e di manipolazione per la coloritura; quadrati e rettangoli che somigliano a pergamene accartocciate, a preziose stoffe piegate e ripiegate, a cortecce grinzose, a grandi foglie con bizzarre nervature, a croste corrugate e fratturate di misteriosi elementi, a corazze di bestie mitiche, ad armature istoriate di esotici guerrieri, a lamine ondulate e screziate di rilucenti metalli, a pezzi di epidermide tatuata...
 
Ogni opera è quindi volutamente un frammento, un «estratto» incompiuto e provvisorio dall’esplorazione sperimentale dell’artista; appare ancor più tale per il trattamento dei bordi che consistono in frastagliature, in strappi, in scuciture irregolari, in lacerazioni, in tagli slabbrati a cui corrispondono nell’interno incrinature, fessure, buchi, brecce, spaccature, crepe.
La sequenza di queste opere sembra quasi allineare i frammenti delle pagine strappate di un grande libro della natura che esibisca le mescolanze e le continue metamorfosi tra elementi minerali, vegetali, animali, ai quali vengano aggiunti, creando ulteriori ambiguità e spaesamenti, segni propriamenti umani.
La varietà di questi «segni» spazia dal quasi naturale, cioè da uno studiato mimetismo di strutture, impronte, tracce, vegetali e animali (le rutilanti striature di un fiore, le labirintiche gallerie di un tarlo), all’artificiale: scarabocchi, grafismi, scritture segrete, alfabeti inventati, simbolismi, calligrammi.
Tutte queste operazioni sul frammento – bordature, modulazioni e movimenti delle superfici, ricchezza di segni, - impongono che le opere di Gianni Anderle siano viste con uno sguardo «sprofondante» che superi l’apprezzamento per gli aspetti puramente decorativi e formali di solito riservato alla ceramica.

Alessandro Fontanari Nerofonte
(Dal catalogo La mano e il Fuoco, 2014)