«M. Il figlio del secolo» – La realtà in un romanzo di A. Scurati

Un libro che ricostruisce – come se accadesse oggi – le fasi iniziali che portarono Mussolini al potere

Lo avevamo presentato quando era uscito (vedi), ma abbiamo pensato di tenere per oggi la recensione del libro «M. Il figlio del secolo» perché ci sembrava giusto che la gente conoscesse le origini di ciò che finì il 25 aprile 1945.
Il libro, editato da Giunti e Bompiani nel 2018, è scritto da Antonio Scurati, uno studioso di storia che ha vinto vari premi di letteratura. E non stupisce dunque che anche «M» sia candidato al premio Strega 2019.
 
Alcune avvertenze per i lettori.
La prima riguarda il contenuto. Secondo noi è bene che lo legga qualcuno che ama la storia e abbia una conoscenza, sia pure superficiale, dei fatti che accaddero in Italia nel '900.
La seconda riguarda la sovracopertina e la copertina. La prima è bianca con la «M» filettata nera centrale, la seconda è l’opposto: grigia scura con la M filettata bianca. Quella «M», per vent’anni simbolo del potere del Duce che «ha sempre regione», può trarre in inganno: il libro non è assolutamente aopolgetico.
La terza riguarda la dimensione del libro. Le pagine sono 848 e possono sembrare troppe. Ma non è così, scorrono velocemente come un romanzo di facile lettura.
La quarta riguarda proprio la narrazione. È scritto come un romanzo di facile lettura e di grande interesse narrativo: non si vede l’ora di leggere il capitolo successivo per vedere come va avanti.
La quinta, infine, riguarda la verità storica, proprio perché la narrazione può far pensare che l’autore ci abbia messo del suo. Quindi attenzione a ciò che scrive in premessa:

Fatti e personaggi di questo romanzo documentario non sono frutto della fantasia dell’autore. Al contrario, ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso qui narrato è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. Detto ciò, resta pur vero che la storia è un’invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria, però.

Come abbiamo detto, sembra di leggere un romanzo. Anzi, comincia con Mussolini che parla in prima persona in occasione della fondazione dei Fasci di combattimento del 23 marzo 1019.
La Grande guerra è finita da poco e le istanze popolari sono numerose anche se confuse. In Russia la rivoluzione bolscevica ha alimentato speranze rivoluzionarie e anche in Italia sono sorti vari comitati eversivi spontanei e organizzati. D’altronde, si provi a pensare alla massa di oltre un milione di uomini che fino a pochi mesi prima combattevano per uccidere e, se non per vincere, almeno per sopravvivere.
Tutta questa gente, una volta tornata a casa, si aspettava una giusta ricompensa. Una vita migliore. Quantomeno una vita vivibile. Ma i medagliati e gli «arditi», quelli che più avevano dato durante il vittorioso conflitto, si sentivano nel diritto di dettare legge.
Da una parte vediamo dunque le masse socialiste che vogliono la rivoluzione proletaria, dall’altra le bande dei reduci che vogliono usare la forza per la gestione dello Stato. Lo Stato, terzo personaggio della vicenda, è praticamente inesistente.
La narrazione si articola dunque sulla vita di Mussolini (non più povero, ma non ancora potente) che si snoda in un paese dove l’unica cosa certa è l’incertezza per il futuro.
 
Nel 1919 inizia la vicenda di Fiume, guidata da D’Annunzio. Viene descritta in pochi capitoli, ma con una chiarezza dei concetti da divenire una sorta di Bignami dell’avventura del Vate. Come tale, pertanto, non si può perder neppure una parola.
Spiega con l’analisi di uno statista le ragioni che hanno spinto il Vate a compere il grande passo, illustra come un giornalista le regioni per cui Mussolini non è intervenuto per aiutare D’Annunzio in difficoltà a Fiume.
In realtà, Mussolini aveva sempre chiara la situazione del Paese. Sapeva sempre se e come intervenire. E in quel momento non poteva fare nulla.
 
Nel 1919 e nel 1920, sono i rossi a mettere a ferro e fuoco il Paese. Sindacati, associazioni di lavoratori, contadini, socialisti e comunisti iniziano a compiere scorribande. Stragi ai danni degli industriali, degli agrari e degli stessi fascisti, macchiano di sangue la storia di quegli anni.
È un argomento che pochi hanno sollevato. Il fascismo era già nato, ma è cresciuto e si è radicato per far fronte alle violenze di sinistra mai contrastate dallo Stato.
Anche il parlamento della XXV legislatura (1 dicembre 1919 - 7 aprile 1921) è stato conquistato da parlamentari socialisti e Mussolini nel 2019 non era riuscito neppure a essere eletto. Ma da quel momento i prefetti lasciano che siano gli squadristi a compiere le rappresaglie. Solo il prefetto di Bologna Cesare Mori agì controcorrente per tutelare la sovranità dello Stato, quel prefetto che poi lo stesso Mussolini assumerà per sconfiggere la mafia.
Poi improvvisamente le cose cambiano. Il paese non ne può più dei disordini, delle violenze, delle stragi e si lascia fare strada la violenza fascista.
 
Quando si torna a votare l’11 giugno 1921, gli equilibri in parlamento sono totalmente cambiati.
Però i governi Giolitti, Bonomi e Facta non cambiano la situazione, anzi, è sempre più caotica.
È in quel momento che nasce l’idea della Marcia su Roma, intesa dapprima come un atto simbolico e poi un dato di fatto.
Stavolta Mussolini ha le idee chiare sul Paese. Se lo Stato non reagisce, conquista Roma senza colpo ferire e il Re, giocoforza, deve dargli il potere.
L’occasione si presenta proprio per il 28 ottobre, quando il Presidente del Consiglio Facta si dimette.
Mussolini non perde il colpo: difficilmente Facta farà mobilitare l’Esercito, contro il quale nessuna organizzazione eversiva avrebbe potuto farcela.
La vigilia, infatti, il Re ordina al dimissionario Facta di mettere Roma in Stato d’assedio per impedire la presa di capitale da parte dei fascisti. Facta obbedisce, ma viene raggiunto poco dopo dal contro ordine: togliere lo stato d’assedio.
Per Benito Mussolini la strada è spianata.
Ma cosa aveva fatto cambiare idea al sovrano? Probabilmente quei deputati socialisti della legislatura precedente i quali, quando il re si presentò alla Camera, si alzarono e lasciarono l’emiciclo.
 
Poi accadde il delitto Matteotti e qui l’autore fa cadere tutti i più stretti collaboratori di Mussolini, quelli più scatenati, i sanguinari, quelli che non hanno capito che, una volta preso il potere, non servivano più.
E qui finisce il libro, che probabilmente vedrà altre edizioni per descrivere gli anni del ventennio.
Scritti così, si leggono con una facilità estrema, appassionando come se fosse un romanzo di Grisham. Purtroppo però, come dice l’autore, tutti i personaggi e i fatti narrati sono assolutamente veri. E questo non va mai dimenticato nel corso della lettura: quella era la povera Italia dei nostri nonni.
 
GdM