La svolta tunisina: affondare nella sabbia. – Di Antonio De Felice
Un cartello diceva Game Over, ma in realtà il gioco è appena iniziato Gli scenari che si aprono dopo la fuga di Ben Alì
Le nazioni sunnite tremano all'idea
che la «rivolta dei gelsomini», trasformatasi ormai in una
rivoluzione tout-court possa dilagare a macchia d'olio e investire
i regimi a guida autocratica del Nordafrica.
E soprattutto dell'Egitto, dato che per le vie de Il Cairo gli
egiziani già inneggiano a «Kefaya», nickname del principale
movimento per il cambiamento in Egitto, cantando «We are next, we
are next, Ben Ali tell Mubarak he is next».
Se Ben Alì è caduto così in fretta, quanto sarà in grado di
resistere il regime dell'85enne malato Hosni Mubarak?
La caduta dell'Egitto non solo sarebbe una disfatta per l'intero
Medio Oriente sunnita aprendo di fatto una stagione profonda di
instabilità e incertezza politica nell'area, ma consegnerebbe nelle
mani dell'Iran sciita, dopo le città sante di Kerbala e Najaf,
anche il controllo della Università Coranica Al-Azhar, il più
antico istituto accademico religioso del mondo islamico.
È questo il vero rischio di cui la politica americana e
l'intelligence occidentale devono preoccuparsi.
Caduto l'Egitto di Mubarak, di fatto verrebbe dato il via libera
alle pulsioni integraliste dei «fratelli musulmani» (peraltro già
presenti nel parlamento egiziano con una rappresentanza pari al 20%
dei seggi disponibili) e alle azioni terroristiche delle falangi
«qaediste» già attive nel sud del Paese soprattutto nelle aree di
confine con lo Yemen.
Non va dimenticato che se lo sceicco Osama Bin Laden è saudita, il
numero due di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri è egiziano.
Peraltro il dato percentuale ottenuto nonostante le forti
limitazioni avute durante l'ultima campagna elettorale, fa pensare
che la sconfitta del faraone porterebbe di fatto ad una
rapida ascesa politica del movimento e una conseguente spaccatura
del Paese.
Uno dei peggiori incubi forieri solo della inevitabile chiusura
dello stretto di Suez e alla paralisi dei commerci e dell'economie
dell'occidente.
Non solo. Tolto di mezzo l'Egitto, non rimarrebbe che l'Arabia
Saudita, unico attore mediorientale in grado di contrapporsi
all'egemonia iraniana nell'area, sul quale però già da qualche
tempo corrono voci di una forte diminuzione della sua capacità
estrattiva e dell'effettivo valore delle sue riserve.
Voci che, se confermate, passerebbero di mano il testimone della
leadership petrolifera mondiale, obbligando l'Occidente, che sta
attraversando la peggiore delle crisi economiche degli ultimi 100
anni, a trattare direttamente con Teheran il prezzo del barile.
Antonio De Felice
(Esperto di politica medio orientale e di aree di crisi
internazionale)