La voce «paradossale» di Dirk Hamilton all’Auditorium di Borgo
«Una volta lottavo per cambiare il mondo, adesso lotto perché il mondo non cambi me» – Intervista esclusiva di Sandra Matuella

Sospesa tra il Sumiswald Festival in Svizzera e un lungo elenco di date in California, venerdì sera la breve torurnée italiana del cantautore americano Dirk Hamilton è approdata anche a Borgo Valsugana, per inaugurare la seconda edizione di «Musica d’Oltreoceano», organizzata dall’associazione Nota Bene di Borgo.
Si tratta di una rassegna originale e coraggiosa che punta sulla musica di qualità, con biglietti a prezzi accessibili, che richiama un pubblico vasto, di tutte le età, formato da appassionati, addetti ai lavori, ma anche da persone curiose verso proposte diverse dal solito e tutt’altro che provinciali: il 13 gennaio, infatti, a Borgo ci sarà il songwriter Willie Nile, altra grande voce controcorrente dell’America rock.
Ieri, venerdì 19 ottobre, il concerto di Dirk Hamilton si è tenuto all’Auditorium del Polo scolastico di Borgo, aperto dal duo acustico formato da Luca Divina e Roberto Sassano, che ha eseguito canzoni di Subsonica e Cold Play (foto seguente).
Classe 1949, con la sua voce paradossale, ruvida e morbida nello stesso tempo, Dirk Hamilton porta avanti la sua passione per il Rhythm and Blues armato di chitarra e armonica a bocca, fin dagli anni Settanta: la sua musica accoglie testi intrisi di poesia, disincanto e sensibilità, tanto che il suo motto è «una volta lottavo per cambiare il mondo, adesso lotto perché il mondo non cambi me».
Questo artista di culto della musica indipendente americana, a Borgo ha proposto un lungo viaggio nelle sonorità R&B, a volte più blues, a volte più rock, spesso arricchite di folk e jazz, spaziando dai toni intimisti di «Phoebe», dedicata alla figlia, a quelli più arrabbiati di «Dark end of the street», senza dimenticare le crudeltà del mondo e il messaggio pacifista di «Hardball in Holy Land», in riferimento alla situazione drammatica in Terra Santa.
E ancora la provocazione di «Where are all the rebels?» e «We don’t have what you want». Note autobiografiche in «The Blues in my life» e «Passion of Blues», e poi tutta la goliardia di «Come with me» e «A Pavlova shoes» per il bis.
Hamilton parla bene l’italiano, scherza con il pubblico, introduce le canzoni, ma non monopolizza la scena: lascia i giusti spazi di creatività alla Bluesmen Band, formata da quattro musicisti italiani, affiatati tra loro e con lo stile stesso di Hamilton, che esige un sound preciso e compatto: Dirk e i suoi catturano la platea per quasi due ore ininterrotte di concerto, seguite da una buona mezz’ora di autografi e foto di rito, nel foyer del teatro.
Con un linguaggio mirato ed essenziale come quello dei testi delle sue canzoni, dopo il concerto di Borgo Dirk Hamilton racconta al giornale L’Adigetto.it di come vede la complessa situazione americana ed europea di oggi.
«Purtroppo in America tutti i politici sono schiavi dei ricchi – spiega, – di gente che rimane invisibile e che paga miliardi per fare pressioni a proprio vantaggio: ho il sospetto che anche in Europa ci sia questo stesso sistema feudale, forse più raffinato ed elegante, ma ugualmente corrotto.»
Cosa pensa dei due sfidanti alla presidenza degli Stati Uniti?
«Mitt Romney è un plutocrate, mentre Barack Obama almeno prova a fare del bene ed ha ancora un po’ di umanità.»
Lei ha lavorato per tanti anni in una comunità che accoglie giovani con gravi disagi, e ha raccontato di aver sviluppato una nuova sensibilità verso se stesso e verso il mondo, proprio grazie a questo lavoro nel sociale.
Alla luce di questa esperienza umanamente ricca e positiva, quale potrebbe essere, a sua suo avviso, una soluzione a questa crisi di valori che il mondo sta attraversando?
«Credo che per migliorare il mondo sia necessaria la piena consapevolezza delle persone nei confronti della vita e dei meccanismi che regolano il vivere insieme, e che si conquista soprattutto con la cultura, l’arte ed anche con l’ascoltare buona musica.
Sì, ci vuole consapevolezza anche nel sognare un mondo nuovo, altrimenti potremmo cambiare tutto il sistema, ma poi succederebbero sempre le stesse cose negative.»
Per quanto riguarda la sua musica, in Italia lei ha dei fans club e uno zoccolo fedele di appassionati con cui si tiene sempre in contatto.
«Da 26 anni a questa parte, vengo ogni anno a suonare in Italia dove ho un pubblico caloroso e affezionato, innamorato come me della musica blues e R&B.
«Dell’Italia, poi, amo anche il cibo, le donne, la sua storia e le architetture dei suoi castelli e mi piace tanto la musica lirica, dove le voci dei cantanti ed i suoni dell’orchestra si fondono in maniera sublime.
«Certo vorrei venire più spesso, ma preferisco rimanere a Dallas con i miei due figli perché loro hanno bisogno di me ed io di loro.»
Sandra Matuella
[email protected]