Avvenia: «Il petrolio low-cost minaccia l'aumento delle temperature»
Inoltre: «l'energia da carbone costa la metà dell'eolico ed un terzo del fotovoltaico»
Il petrolio «low-cost» rappresenta ora una forte minaccia all'accordo firmato alla fine di dicembre 2016 da quasi 200 Paesi che si sono impegnati ad un minore utilizzo di fonti fossili per contenere al di sotto dei 2 gradi l'aumento delle temperature globali.
Secondo quanto mette in evidenza Avvenia (www.avvenia.com), uno dei maggiori player italiani nell'ambito dell'efficienza energetica e della sostenibilità ambientale, i prezzi del greggio hanno infatti fatto crollare anche le quotazioni del gas e, in maniera indiretta, quelle del carbone, i due combustibili principali nella produzione elettrica.
«Ad esempio in Italia i costi di generazione da carbone sono oggi intorno ai 30 euro per megawattora e quelli da gas intorno ai 40 euro, mentre 3 anni fa erano rispettivamente intorno ai 60 e gli 80 euro» puntualizza Alessio Cristofari, Direttore Sviluppo Business di Avvenia con delega alle «Strategie ESCo».
Così, osservano gli specialisti di Avvenia, seppure i costi delle rinnovabili siano scesi sensibilmente, non possono comunque competere: «l'eolico ad esempio offre costi di generazione tra i 60 e gli 80 euro per megawattora ed il fotovoltaico è ancora più caro, con costi di generazione tra gli 80 ed i 100 euro» aggiunge Alessio Cristofari.
Insomma, la competizione con le fonti da idrocarburi da parte delle fonti rinnovabili è adesso molto più difficile.
«Solo l'efficientamento energetico può consentire di tener fede agli accordi sul contenimento dell'aumento delle temperature globali» commentano gli analisti di Avvenia.
«Alla lunga un basso livello dei prezzi del petrolio produce notevoli sconvolgimenti sulla mappa dell'energia» sostiene l'ingegner Giovanni Campaniello, fondatore e amministratore unico di Avvenia. Saranno dunque anni estremamente difficili.
«Non si possono fare investimenti quando si ha una visione a 50 euro per progetti futuri che hanno un break even ben superiore» aggiunge l'ingegner Giovanni Campaniello.
Ma secondo la sua visione il rallentamento degli investimenti potrebbe anche ricreare le condizioni per un rialzo dei prezzi proprio a causa della produzione che tende a ridursi.
Il dato più sorprendente è però che la produzione per il momento non è ancora scesa molto e per questo motivo il prezzo continua a cadere: una situazione che non è sostenibile e che porta molte aziende a non sopravvivere alla crisi: negli Stati Uniti i produttori di petrolio finiti in bancarotta sono già 40 e se ad ottobre 2014 vi erano 1.850 impianti di perforazione oggi ve ne sono appena 600.
E che dire dell'irrompere sulla scena internazionale dell'Iran, considerato una supernova energetica con le maggiori riserve al mondo di gas e al quarto posto per quelle di greggio? «La produzione iraniana potrebbe addirittura aumentare nei prossimi anni di 700mila barili al giorno» prevedono gli esperti di Avvenia.
Così le più grandi banche d'affari del mondo come Goldman Sachs o come Morgan Stanley hanno previsto per le quotazioni del petrolio una discesa fino a 20 dollari al barile.
Gli esperti di Avvenia stimano tuttavia una traiettoria diversa, anche perché la discesa del prezzo del greggio non è causato da un calo della domanda.
E vero è infatti che nel 2015 i consumi di petrolio a livello globale sono cresciuti di 1,8 milioni di barili al giorno e nel 2016 di altri 1,2 milioni di barili.
Il punto è proprio che nel mondo si produce più greggio di quanto se ne consuma, con una differenza di circa 2 milioni di barili, conseguenza della decisione dell'Opec di non ridurre l'estrazione nell'intento di salvare le quote di mercato.
Il risultato? Superpetroliere alla fonda in attesa di un compratore, depositi stracolmi di scorte e prezzi a picco.