Verso la modifica dell’Articolo V della Costituzione/ 2 – Le Regioni

Le regioni italiane sono 20, delle quali 15 sono a Statuto ordinario e 5 a Statuto speciale – Nota: la modifica del Titolo V è stata approvata oggi dal Governo

In attesa delle modifiche che il Governo vuole dare all’articolo V della Costituzione, abbiamo pensato che sia utile ricordare cosa sono le province e le regioni in Italia.
Parte seconda, le Regioni.

Le regioni sono, assieme ai comuni, alle province, alle città metropolitane e allo stato centrale, uno dei cinque elementi costitutivi della Repubblica Italiana.
Ogni regione è un ente territoriale con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione della Repubblica Italiana, come stabilito dall'art. 114, II comma della carta costituzionale.
Le regioni, secondo quanto dettato dalla Costituzione, sono venti. Cinque di queste sono dotate di uno statuto speciale di autonomia e una di queste (il Trentino-Alto Adige), è costituita dalle uniche due province autonome, dotate cioè di poteri legislativi analoghi a quelli delle regioni, dell'ordinamento italiano (Trento e Bolzano).
Nel rispetto delle minoranze linguistiche, il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta sono riportati con le denominazioni bilingui Trentino-Alto Adige/Südtirol e Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste all'art. 116, come modificato nel 2001. Ma delle Regioni e Province autonome ne parleremo in una prossima puntata.
 
 La Costituzione e le Regioni
Ecco cosa recitava la Costituzione nel 1947.
«Sono costituite le seguenti Regioni: Piemonte; Valle d'Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzi e Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna.»
Tale articolo venne approvato senza ulteriori cambiamenti: rispetto alla bozza era stato mutato in Basilicata il nome della Lucania e inoltre il Salento veniva inglobato nella Puglia, e si accorpavano il Friuli con la Venezia Giulia, l'Emilia con la Romagna e l'Abruzzo con il Molise.
Solo nel 1963 con l'approvazione di un'apposita legge di modifica costituzionale sarebbe stata concessa l'autonomia al Molise.
Fatta eccezione per quelle a statuto speciale, le Regioni in quanto enti si costituirono solo nel 1970 con la prima elezione dei consigli regionali.
 
 Regioni a statuto ordinario
Quindici delle venti regioni italiane sono a statuto ordinario.
Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi.
Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale.
Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.
 
L'autonomia legislativa di queste regioni è stata notevolmente ampliata dalla riforma costituzionale del 2001, approvata sotto il governo Amato II e confermata dal voto popolare durante il governo Berlusconi II.
Tuttavia l'autonomia finanziaria, il cosiddetto federalismo fiscale, pure prevista dall'art. 119 della costituzione riformata, non è ancora operativa, per cui le regioni dipendono ancora dai trasferimenti dello stato centrale.
Le regioni dispongono comunque dell'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), di un'addizionale regionale all'IRPEF, di una compartecipazione all'IVA e di altri tributi minori.
 
 Regioni a statuto speciale
Cinque regioni sono a statuto speciale, approvato dal Parlamento nazionale con legge costituzionale, come previsto dall'art. 116 della Costituzione.
Lo statuto speciale garantisce una particolare forma di autonomia, ciò è tangibile nell'autonomia impositiva. Il Friuli-Venezia Giulia trattiene per sé il 60% della maggior parte dei tributi riscossi nel territorio regionale, la Sardegna il 70%, Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige il 90%, la Sicilia il 100% delle imposte (il cui diritto sancito dalla Costituzione Siciliana del 1946 non è stato ancora pienamente attuato).
Tali regioni dispongono di notevoli poteri legislativi e amministrativi, come nei settori scuola, sanità, infrastrutture e di conseguenza debbono provvedere al relativo finanziamento principalmente con le proprie risorse, mentre nelle regioni a statuto ordinario le spese sono principalmente a carico dello stato.
Di conseguenza la regione Trentino-Alto Adige (1.000.000 di abitanti) dispone di un budget che corrisponde a quello della Regione del Veneto, con 4,8 milioni di abitanti.
Anche per questo diversi comuni di confine chiedono il passaggio alle più ricche regioni di diritto speciale, come permesso dalla Costituzione.
Ma, come detto, dedicheremo alle autonomie un capitolo a se stante.
 
 Gli organi della regione sono indicati dalla Costituzione
Gli organi regio9nali sono Il consiglio regionale, la giunta regionale e il presidente della giunta regionale.
La regione è rappresentata dal presidente della giunta regionale (anche detto presidente della regione) che dal 2000 viene eletto direttamente, a meno che lo statuto regionale non preveda l’elezione da parte del Consiglio regionale.
Se il presidente della regione viene sfiduciato o si dimette volontariamente con effetti immediati o muore o è impedito permanentemente il Consiglio regionale viene sciolto e vengono indette al più presto nuove elezioni.
Fino a che siano instaurati i nuovi organi della regione sono prorogati i poteri dei precedenti organi per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.
 
La regione è dotata di un consiglio regionale, eletto dai cittadini maggiorenni residenti nella regione.
In Sicilia, regione autonoma, prende il nome di parlamento regionale e i suoi membri sono detti deputati e non consiglieri.
Il consiglio esercita il potere legislativo per le materie che la Costituzione e gli statuti speciali per le regioni autonome demandano alla potestà legislativa esclusiva o concorrente.
Le funzioni amministrative sono attribuite alla giunta regionale, formata dagli assessori oltre che dal presidente della regione.
Questi sono organi necessari delle regioni, per cui gli statuti e le leggi regionali non possono disporre diversamente dal dettato costituzionale.
 

 
 Il Titolo V
Il Titolo V è quella parte della Costituzione italiana in cui vengono «disegnate» le autonomie locali: comuni, province e regioni.
L’attuale struttura delle regioni deriva da una serie di riforme del Titolo V cominciate negli anni Settanta e terminata con la riforma del 2001 (approvata con una maggioranza di centrosinistra e poi confermata da un referendum).
Lo scopo di tutte queste riforme, compresa quella del 2001, era dare allo Stato italiano una fisionomia più «federalista», nella quale i centri di spesa e di decisione si sarebbero spostati dai livelli più alti, lo Stato centrale, a quelli più locali, «avvicinandosi» così ai cittadini.
 
Nel corso degli anni le regioni hanno ricevuto sempre più competenze (la più importante è la gestione della sanità) e una sempre maggiore autonomia.
Con la riforma del 2001, in particolare, alle regioni fu garantita autonomia in campo finanziario (con cui poter decidere liberamente come spendere i loro soldi) e organizzativo (con cui poter decidere quanti consiglieri e quanti assessori avere e quanto pagarli).
La riforma inoltre specificò quali erano le competenze esclusive dello Stato, lasciando alle regioni il compito di occuparsi di tutte quelle non nominate esplicitamente.
 
Il denaro che le regioni possono spendere piuttosto liberamente grazie a questa autonomia arriva da una serie di imposte: compartecipazione all’IVA, addizionale IRPEF e IRAP.
Le prime due sono imposte raccolte dallo Stato, che poi ne versa parte nelle casse delle regioni, mentre la terza è un’imposta regionale. Tutte e tre però hanno la caratteristica di non garantire alle regioni un ampio margine di manovra.
Le prime due sono raccolte dallo Stato, che decide anche «quanto» raccogliere.
L’IRAP è raccolta dalle regioni, ma queste hanno un margine di manovra molto piccolo per decidere se far pagare di più o di meno ai cittadini (sull’IRAP, ad esempio, le regioni posso aumentare o diminuire dell’1% l’aliquota base).
 
 La riforma del Titolo V della Costituzione
Della necessità di riformare il Titolo V della Costituzione si parla oramai da diversi anni.
L’aumento delle competenze degli Enti territoriali – Regioni, Province, Comuni – non si è accompagnato a un parallelo aumento della loro autonomia fiscale, sicché ogni Ente si è trovato a poter incrementare le spese senza dover pagare alcun prezzo politico in termini di inasprimento delle tasse locali.
Le critiche si sono fatte ancora più dure a partire dall’autunno del 2012, quando sono nati una serie di scandali in quasi tutte le regioni italiane.
I casi erano tutti simili e riguardavano consiglieri regionali sospettati di aver utilizzato a sproposito gli ampi fondi elettorali messi a loro disposizione dai consigli regionali, come «rimborso» per le spese affrontate per mantenere un rapporto con gli elettori.
 
Scandali simili si sono succeduti anche dopo. Molti commentatori sono rimasti colpiti dal fatto che lo Stato non potesse intervenire in alcun modo per mettere rimedio a queste situazioni.
Il Titolo V, infatti, protegge le regioni e quindi impedisce allo Stato di obbligarle, per esempio, a ridurre le indennità dei consiglieri o a diminuire l’entità dei fondi destinati ai gruppi consiliari.
Il governo Monti cercò di cominciare un processo di riforma del Titolo V, ma cadde prima di poterlo terminare.
La riforma del Titolo V è stato un tema di cui si è discusso anche nella scorsa campagna elettorale. Il segretario del PD Pier Luigi Bersani, per esempio, aveva detto che la riforma del 2001 aveva prodotto risultati sbagliati e che era ora di cambiarla nuovamente.
Anche l’allora segretario della Lega disse che non era possibile attuare il federalismo senza responsabilizzare gli amministratori locali.
Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha definito la riforma del 2001 «un errore clamoroso» che «paghiamo ancora oggi». 
 
Infine, il governo Renzi ha varato proprio oggi la riforma costituzionale del Snato e del Titolo V.
Non ne sappiamo ancora molto, salvo il fatto che il testo non prevede la salvaguardia delle Autonomie Speciali come avevano auspicato i presidenti delle regioni e province a Statuto Speciale.
Questo naturalmente non significa che il provvedimento non riconosca le specialità delle autonomie, ma la cosa ha indispettito i presidenti Ugo Rossi e Arno Kompatscher, perché all stato sembrano inutili tutti i colloqui fin qui intessuti con il ministro Delrio e con il presidente del Consiglio.
Il Governo Renzi sta tagliando un po’ troppo le curve su problemi che richiederebbero invece accurati approfondimenti.
Se Letta era troppo lento, Renzi va troppo in fretta. E la fretta non è mai una buona consigliera.