La sfida Sassicaia-Tignanello – Di Giuseppe Casagrande
Al Castello Principesco di Merano la degustazione di tre storiche annate (1990, 2008, 2018) presentate da Albiera Antinori e Priscilla Incisa della Rocchetta
Le bottiglie formato Magnum di Tignanello e Sassicaia degustate al Merano WineFestival.
Foto Paolo Alciati.
Era uno degli eventi più esclusivi del 32° Merano WineFestival: la sfida tra il Sassicaia e il Tignanello, due tra le più famose e ricercate etichette del pianeta vino che ogni wine lover vorrebbe assaggiare almeno una volta nella vita.
Un evento organizzato personalmente dal patron del Merano WineFestival Helmuth Köcher con la preziosa collaborazione del supermanager trentino Marco Scartezzini, fondatore e presidente di Liber Wine, nel salone d'onore - noblesse oblige - del Castello Principesco di Merano, storica residenza dei Conti del Tirolo.
Le bottiglie formato Magnum di Tignanello e Sassicaia degustate al Merano WineFestival.
Foto Paolo Alciati.
Gli amuse bouche di Otto Mattivi con le carni giapponesi Waygù
Pochi i fortunati (ero tra costoro) che hanno potuto partecipare alla storica degustazione. Gli ospiti sono stati accolti all'ingresso del castello per l'aperitivo da Otto Mattivi, patron del ristorante Hidalgo (località Postal) e del Restaurant Aomi Wagyù, il tempio della carne.
Due ristoranti che esaltano la bontà del Wagyù, la carne giapponese più pregiata al mondo, nobilitandola con i sapori mediterranei. Un matrimonio d'amorosi sensi celebrato nel cortile interno del castello. Da standing ovation gli «amuse bouche» proposti dal mitico Otto Mattivi: prosciutti, salumi, carpaccio, pâté di fegato, crema di lardo e deliziose salsine preparate con le carni giapponesi Wagyù, il manzo giapponese Kobe Beef, il Wagyù Kagoshima e il Waygù dell'altopiano altoatesino del Renon. Una cucina d'autore che meritava - noblesse oblige anche in questo caso - il suggello con il re degli Champagne: il Dom Pérignon.
Il giornalista Giuseppe Casagrande impegnato negli assaggi.
Le vite parallele di due storiche tenute toscane: Tignanello e Sassicia
Ultimati i saluti di circostanza, gli ospiti hanno preso posto nel salone d'onore per celebrare le «vite parallele» del Tignanello e del Sassicaia. Circondati dai ritratti dell'imperatrice Maria Teresa e dell'imperatore Francesco Primo e rapiti dalla magica atmosfera creata dalle melodie dell'artista brissinese Barbara Plattner all'arpa, la marchesa Albiera Antinori responsabile della tenuta toscana di San Casciano Val di Pesa dove nasce il Tignanello e la marchesa Priscilla Incisa della Rocchetta, proprietaria della tenuta San Guido di Bolgheri, culla del Sassicaia, hanno presentato i loro gioielli, stimolate dalle argute provocazioni e dai simpatici aneddoti raccontati da Oscar Farinetti, fondatore di Eataly.
Gli «amuse bouche» proposti da Otto Mattivi (Restaurant Hidalgo e Aomi Wagyu).
Tre annate (il 2018, il 2008, il 1990) per un confronto tra due vini-mito
Ho titolato provocatoriamente il servizio giornalistico: «La sfida Tignanello-Sassicaia».
Lo facciamo spesso noi giornalisti per attirare l'attenzione dei lettori. In verità non possiamo parlare di sfida, ma di confronto, vista anche la strettissima parentela che lega le due storiche famiglie toscane, i marchesi Antinori e i marchesi Incisa della Rocchetta.
Tre le annate (in formato Magnum) proposte per la «verticale»: il 2018, il 2008, il 1990.
Un confronto tra due etichette-mito che hanno cambiato la storia del pianeta vino in Italia e nel mondo.
Dal confronto emozionante delle tre annate è emersa la straordinaria eleganza (esaltata dal Cabernet), la finezza e l'armonia del Sassicaia oltre alla fragranza che accompagna il piacere dell'assaggio. A sua volta il Tignanello ha riscaldato i cuori con la sua straordinaria intensità (il merito è del Sangiovese), per la complessità, la potenza, la persistenza. Una persistenza senza fine.
Primo piano della bottiglia di Sassicaia annata 2008.
Sassicaia: la geniale intuizione del marchese Mario Incisa della Rocchetta
Il fenomeno Sassicaia deve la propria fama ad una geniale intuizione del marchese Mario Incisa della Rocchetta che, dopo anni di ricerca e con il contributo decisivo di Giacomo Tachis, altro mito dell'enologia italiana, trasformò un territorio pressoché sconosciuto e in gran parte abbandonato della Maremma in un autentico gioiello.
Il sogno era quello di produrre un vino da taglio bordolese per poter competere con i grandi «cru» francesi.
Arrivato timidamente sul mercato per la prima volta con l’annata 1968 come «vino da tavola», il Sassicaia negli anni successivi diventa una vera e propria denominazione, Bolgheri Sassicaia Doc, caso unico in Italia di una denominazione «aziendale», poiché è interamente inserita all'interno della stessa Tenuta San Guido di Bolgheri, ancora oggi saldamente nelle mani della famiglia Incisa della Rocchetta.
Il salone d'onore del Castello Principesco di Merano con il tavolo dei degustatori.
La Tenuta San Guido: vigneti, campi, boschi e un'oasi faunistica
La Tenuta San Guido copre una superficie complessiva di 2.500 ettari (90 sono gli ettari di vigneto per la produzione del Sassicaia) con 1.000 ettari di boschi e 500 dedicati all’agricoltura, dove si produce grano duro di altissima qualità, altri cereali e non solo.
A questa estensione vanno aggiunti i 513 ettari del «Rifugio Faunistico Padule di Bolgheri», oasi affiliata al Wwf, uno splendido esempio di ambiente originario dell’Alta Maremma, in quella che è stata la prima area privata protetta in Italia, dal 1959, su iniziativa ancora, del marchese Mario Incisa della Rocchetta.
Altro vanto della famiglia sono i cavalli, con la famosa Razza Dormello Olgiata, da cui sono nati esemplari che hanno fatto la storia dell’ippica, su tutti il leggendario Ribot, uno dei più forti galoppatori di tutti i tempi, imbattuto in carriera, con sedici vittorie consecutive nei più importanti Gran Premi disputati.
Primo piano della bottiglia di Tignanello annata 1990..
Il marchese Nicolò Incisa della Rocchetta e la figlia Priscilla
San Guido è un’azienda storica, un pilastro dell’eccellenza del made in Italy, nel vino (è la cantina con il tasso di redditività più elevato d’Italia), ma non solo. Un'azienda che guarda alle sfide future con lungimiranza, grazie alla guida e ai valori condivisi della famiglia Incisa della Rocchetta. Famiglia che è affiancata da Carlo Paoli, storico direttore generale di Tenuta San Guido, e da Alessandro Berlingieri, amministratore delegato e presidente della Tenuta San Guido.
Priscilla Incisa della Rocchetta ha il compito di rappresentare e raccontare, come responsabile delle relazioni esterne, il legame indissolubile che esiste e sempre esisterà tra l’azienda e la famiglia.
Il marchese Nicolò Incisa della Rochetta con la figlia Priscilla.
Alle nuove generazioni è affidata la continuità della Tenuta San Guido
La nuova generazione è attualmente rappresentata da cinque cugini. Una squadra con competenze e passioni eterogenee cresciuta dentro e fuori i confini della Tenuta e legatissima a questo territorio.
«A loro e ai loro figli è affidata la storia e la continuità della Tenuta San Guido» – ha dichiarato il marchese Nicolò Incisa della Rocchetta.
«Mio padre Nicolò – ha ribadito la marchesa Priscilla Incisa della Rocchetta – supervisiona la tenuta e si assicura che tutto vada nella direzione tracciata e condivisa, con la collaborazione di Carlo Paoli e di Alessandro Berlingieri che, oltre ad essere in azienda dal 2018 è un amico storico della nostra famiglia.
«San Guido è una realtà complessa in cui non si produce solo vino, che guidiamo insieme ai miei cugini Giovanni e Piero Incisa, figli di mio zio Enrico, e Jozsef e Stefano Hunyady, figli di mia zia Orietta.
«Ognuno con le sue competenze, i suoi interessi e le sue esperienze. Facciamo parte delle Primum Familiae Vini, associazione che riunisce le 12 famiglie produttrici di vino di più antica tradizione e importanza a livello mondiale.
«Essere un’azienda familiare, con dei valori condivisi - ha concluso - ci consente di guardare con serenità a progetti a lungo termine, per la tenuta San Guido."
Priscilla Incisa della Rocchetta, Albiera Antinori, Oscar Farinetti e Helmuth Köcher.
Tignanello una delle punte di diamante dei Marchesi Antinori
Definito dalla stampa internazionale tra i vini più influenti nella storia vinicola italiana, Tignanello rappresenta una delle punte di diamante della produzione dei marchesi Antinori. Pietra miliare dell'enologia italiana, è prodotto con una selezione di Sangiovese (è stato il primo Sangiovese ad essere affinato in barrique), Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc.
Il Tignanello è un'etichetta concepita da una delle più grandi e storiche aziende del panorama vitivinicolo italiano e mondiale: i marchesi Antinori, famiglia che vanta ben 26 generazioni e che si dedica alla viticoltura da più di 600 anni da quando nel 1.385 Giovanni di Piero Antinori entrò a far par te dell'Arte Fiorentina dei Vinattieri.
Nell'arco della sua lunga storia, attraverso tutte le generazioni, la famiglia ha sempre gestito direttamente questa attività con scelte innovative, talvolta anche coraggiose, ma mantenendo sempre inalterato il rispetto per le tradizioni e per il territorio.
Il marchese Piero Antinori nella tenuta Tignanello a San Casciano Val di Pesa.
L'affinamento in barrique del Sangiovese (80%) con il Cabernet
Venendo ai giorni nostri, la storia del Tignanello ha inizio nel 1970 da un'intuizione di Piero Antinori che dalle uve di un unico vigneto situato a San Casciano Val di Pesa – all’interno della denominazione Chianti Classico Docg – decise di affinare in barrique il Sangiovese. Sognava per questo vino un’impronta diversa rispetto agli altri Chianti.
Dal 1975 fu il primo vino rosso ad essere assemblato con la prevalenza del Sangiovese (80%) e l’aggiunta di uve non tradizionali quali il Cabernet Sauvignon (15%) e il Cabernet Franc (5%). Piero Antinori introdusse anche nuove tecniche vitivinicole che allora erano solamente in fase di sperimentazione.
Le innovazioni riguardavano la densità d’impianto, le pratiche di potatura e la selezione del Sangiovese, con l'intento di ottenere uve con una maggior concentrazione e caratterizzate da tannini morbidi.
Quindi, di conseguenza, è la prima etichetta della zona del Chianti a non usare uve a bacca bianca come stabilito dal disciplinare storico del Gallo Nero ideato da Bettino Ricasoli.
La magica atmosfera creata dall'arpista brissinese Barbara Plattner.
Fino al 1994 il Tignanello fu classificato come «vino da tavola»
Uscendo dagli schemi tradizionali utilizzati per la vinificazione del Chianti Classico Docg, Tignanello perse la Doc e venne classificato come "vino da tavola" fino al 1994, quando poté fregiarsi della IGT.
Prende il nome dall’omonimo vigneto Tignanello, storica proprietà della famiglia Antinori, che si estende per 57 ettari.
La conformazione geologica è composta da un suolo di origine Pliocenica con scheletro ricco di alberese e galestro, ad un’altezza media di 350-400 metri sul livello del mare con esposizione a Sud-Ovest.
Il pregio di questa zona, oltre al terroir, è la spiccata escursione termica tra il giorno e la notte, che dona alle uve delle caratteristiche uniche.
La marchesa Albiera Antinori tra le barriques del Tignanello.
Il ruolo di Giacomo Tachis padre dei cosiddetti «SuperTuscan»
Uno dei protagonisti assoluti di Tignanello è stato senza ombra di dubbio Giacomo Tachis l’enologo più influente e rivoluzionario dell’epoca, padre fondatore dei cosiddetti «SuperTuscan», quali Sassicaia e Solaia ed altri grandi vini come il San Leonardo e il Turriga.
Già enologo dal 1961 della famiglia Antinori, Tachis riuscì a mettere in atto le idee e il sogno che aveva Piero Antinori per quel vino.
Questo nuovo modo di pensare e di vinificare, vide la collaborazione ed i consigli del grande produttore americano Robert Mondavi e di Émile Peynaud, mitico enologo e ricercatore francese a cui è stato riconosciuto il merito di aver rivoluzionato la vinificazione nella metà del Ventesimo secolo.
Marco Scartezzini, Oscar Farinetti e Helmuth Köcher.
Quelle pietre bianche nei filari che riflettono la luce e il calore del sole
Una colonna portante di questo vino fu anche Luigi Veronelli che incoraggiò le operazioni non semplici all’epoca, e consigliò di mettere il nome del Podere Tignanello alla porzione della Tenuta di Santa Cristina da dove appunto, provenivano le uve.
Veronelli prese anche molte altre decisioni fondamentali, come il deposito nel vigneto, sotto i filari, di pietre bianche di alberese frantumate per far riflettere il calore del sole e avere una migliore maturazione delle uve.
Ebbe anche il merito di far utilizzare uvaggi differenti rispetto ai primi impiegati negli anni ’70.
Seguendo le direttive di Peynaud, considerato da Tachis un maestro, direttive messe in atto dallo stesso Tachis e dal suo successore Renzo Cotarella, le uve vengono vinificate separatamente. Il vino rimane più a lungo sulle bucce utilizzando il metodo soffice della follatura, per poi una volta svinato continuare la fermentazione alcolica in barrique di rovere francese ed ungherese.
Helmuth Köcher, Priscilla Incisa della Rocchetta, Marco Scartezzini, Oscar Farinetti e Albiera Antinori.
Il Tignanello (350 mila bottiglie) è prodotto solo nelle migliori annate
La cantina Marchesi Antinori punta molto sul Tignanello. Ne produce 350.000 bottiglie annue ed essendo un vino che ricerca la perfezione assoluta, è prodotto soltanto nelle migliori annate, quando le uve sono perfettamente sane e mature. Questo a tutela dell'eccellenza qualitativa. Proprio per questo motivo nelle annate difficili come nel 1972, 1973, 1974, 1976, 1984, 1992 e 2002, l’azienda ha preferito non produrlo.
Il Tignanello è un rosso che ha rivoluzionato la concezione del vino in Toscana, ritenuto una delle massime espressioni qualitative italiane dalla critica enologica italiana e mondiale, ha ricevuto importanti riconoscimenti nell’arco della sua storia.
Considerato un vino mito, ricercato da collezionisti e wine lover di tutto il mondo, il Tignanello è giustamente considerato il «classico» vino da assaggiare almeno una volta nella vita. Cosiccome il Sassicaia.
In alto i calici. Prosit!
Giuseppe Casagrande – [email protected]