Il corpo a corpo di comicità di Renato Converso – Di S. Matuella

Nella nostra intervista esclusiva svela i segreti della sua arte e invita tutti gli aspiranti comici a esibirsi alla sua Corte dei Miracoli, tempio del cabaret italiano

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È andato in scena a «La Scaletta» di Trento il re del cabaret italiano regala risate e brividi a fior di pelle al pubblico trentino.
Definito dalla critica come una delle ultime maschere della Commedia dell’Arte, Renato Converso è la versione calabrese e senza trucco delle maschere più inquiete come Arlecchino o Pulcinella: il suo linguaggio è corrosivo e irriverente, mentre la sua arte scenica coniuga mimica e gestualità con l’antica arte del racconto.
Le memorie di infanzia e le rocambolesche vicende autobiografiche ispirano la sua comicità esilarante, in cui c’è tutta la bellezza e la ferocia della sua terra d’origine, la Calabria, ma anche le contraddizioni della sua città d’adozione, Milano, dove da oltre trent’anni dirige la Corte dei Miracoli, locale di cabaret da cui sono usciti ben 33 dei comici più amati della scena italiana, tra cui Fichi d’India, Flavio Oreglio, Mago Forrest, Max Pisu e i Turbolenti.
In via del tutto eccezionale, visto che non fa tournée, Renato Converso si è esibito a Trento, alla Scaletta, storica e soprattutto autentica osteria trentina, che non ha nulla a che fare con le osterie rifatte in stile radical chic ad uso e consumo di modaioli «happy hour».
Alla Scaletta l’ingresso è libero, e Renato Converso si aggira come una persona normale tra gli affezionati clienti dell’osteria, ospite della rassegna di cabaret d’autore, organizzata dai Toni Marci, tre stralunati e surreali comici trentini che chiuderanno la rassegna il 9 dicembre.
Così, terminata la cena a base di tagliatelle ai funghi e gnocchi al gorgonzola, nella bella saletta della Scaletta inizia il corpo a corpo del comico con il pubblico: al centro di un ring ideale, senza filtri e senza distanze di sicurezza, il comico si dà in pasto al suo pubblico, per cui se non riesce a dominarlo viene davvero mangiato vivo. Combatte e, naturalmente, vince a colpi di provocazione e di succose storie di vita, tra giochi di sguardi e contatti fisici che tolgono gli spettatori dal loro torpore.
La scelta di Renato Converso di riportare la comicità fra la gente, fuori dai luoghi convenzionali come teatro e televisione è di nobile matrice futurista ed è una vera e propria sfida, come spiega lo stesso artista a L’Adigetto.it.
 

 
«Ho accettato di venire qui a La Scaletta per sostenere questo tipo di locali dove è possibile fare uno spettacolo comico a stretto contatto con il pubblico. Oggi nei bar c’è musica ad alto volume, le persone non comunicano più e, non a caso si mandano messaggini anche se sono solo a tre metri di distanza.
«In posti come la Scaletta invece, le persone mangiano insieme, si parlano, si amalgamano culture diverse e, almeno per un’ora si diventa una famiglia.
«Una volta nelle case si stava davanti al camino per fare filò, oggi invece, la televisione è il padrone di casa.»
 
Forse è anche per questo che la comicità in televisione è un fenomeno in crescita?
«Sì, anche se il pubblico televisivo sente, ma non ascolta, quindi la comicità è ridotta a mera evasione, intrattenimento, basata su battute brevi, di 30 secondi, dove non c’è trasporto, non c’è il dare e avere come negli spettacoli dal vivo: la televisione, e per certi aspetti anche il teatro, è un muro di vetro che divide, e così gli spettatori non hanno il tempo di sposare la causa dei comici.»
 
Che cos’è una risata?
«Ridere è la cosa più importante della vita: ridendo si muovono 160 muscoli e si producono anticorpi. Ridere è una antichissima e sacra ricetta medica.»
 
È più difficile fare ridere o piangere?
«Far piangere è facile, anche i nostri politici sono bravissimi a farci piangere.»
 
Eppure la comicità parla anche di questioni gravi e dolorose.
«Far ridere invece è difficile perché ci vuole tanta esperienza, e tanta sofferenza: io stesso ho avuto un’infanzia difficile, sofferta, e non è un caso se la comicità si è sviluppata in maggior misura in posti come i ghetti degli ebrei o nel rione Sanità di Napoli, quello di Totò.
«I comici sono tutti figli della strada, ed è lì che deve ritornare la comicità, fra la gente e non in teatro o in televisione dove tutto è preparato e controllato.»
 
Lei come fa ad essere autoironico su questioni delicate?
«Dopo tanta sofferenza patita non è facile fare dell’ironia, però sono contento di far ridere e di regalare quel sorriso che non ho avuto, anzi è come se per magia, io stesso tornassi bambino e la vita mi restituisse quel sorriso che mi aveva tolto. La comicità è un’alchimia che permette di trasformare il dolore in un sorriso prima amaro e poi liberatorio.»
 
Un suo consiglio agli aspiranti comici che sono sempre di più?
«Oggi spuntano comici come funghi e sognano di andare in televisione per avere subito il successo; in televisione, però, ci sono tanti ex comici che fanno gli autori per altri comici e sono gli infelici per eccellenza, perché non sono riusciti a realizzarsi.
«Spesso a far le spese del loro risentimento sono i comici stessi per cui scrivono: insomma, quello televisivo è un ambiente duro e spietato, per cui il mio consiglio è quello di costruirsi una solida carriera nei locali, di esibirsi tutte le sere su una pedana anche per pochissime persone, di stringere i denti all’inizio, tanto poi se uno è veramente bravo il pubblico aumenterà sempre di più.
«Per questo, agli aspiranti comici di tutta Italia metto a disposizione, ogni mercoledì alle 21, il palco della Corte dei Miracoli, dove si possono esibire sotto la direzione artistica di Marisa Rampin e la mia supervisione. Di fatto è un corso gratuito di comicità e il nostro motto è: non avere paura e prova a salire sul palco.»
 
Sandra Matuella – [email protected]