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Il 4 novembre di 90 anni fa finiva la Grande Guerra

I ritardi di Diaz - Terza battaglia del Piave - Il proclama di Caviglia - La vittoria sul Grappa - L'ambiguità degli alleati - L'invenzione di Vittorio Veneto

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La seconda grande battaglia del Piave, detta «del Solstizio» perché si era svolta dal 15 al 24 giugno (vedi nostro servizio), era stata la prima grande vittoria tutta italiana di una grande battaglia (e per qualche critico storico è stata anche l'unica). Certo si potrebbe dire che la Grande Guerra fosse finita lì, ma purtroppo i combattimenti continuarono ancora per mesi, portando con sé altre decine di migliaia di soldati uccisi. All'indomani della vittoria del Solstizio, tuttavia, non solo il nostro esercito ma anche l'intera nazione poterono rialzare la testa per la prima volta dopo Caporetto.
Gli alleati non erano mai stati ottimisti sulle sorti di quella battaglia, tanto vero che avevano sollecitato i nostri comandi di ritirarsi sulla linea del Mincio. Adesso era tutto cambiato e si cominciò a discutere su tutto, sia dal punto di vista militare che politico, sia a livello interno che interalleato.
Già quando la battaglia del Solstizio finì, i nostri politici domandarono a Diaz per quale motivo avesse sospeso i combattimenti, dato che le sorti stavano volgendo a nostro favore. Ma il comando italiano aveva fatto più che bene a fermarsi, soprattutto in ordine al fatto che anche per noi sarebbe stato un problema passare il Piave in piena e battere il nemico. Ma già un mese dopo Diaz avrebbe dovuto attaccare a tutti i costi, perché le informazioni che continuavano ad arrivare sul suo tavolo mostravano inequivocabili segni di cedimento e disgregazione da parte degli Imperi Centrali, tanto che D'Annunzio arrivò a pronunciare la famosa frase «c'è fetore di pace nell'aria».
Diaz invece volle attendere, forse perché la possibilità di un fiasco era ancora in agguato. Di certo però non aveva la visione politica che invece in quel momento avevano i suoi colleghi alleati. Attese dunque troppo.

Era accaduto che il 18 luglio Ludendorff e Hindenburg avevano ufficialmente preso atto che «la guerra non poteva concludersi favorevolmente per la Germania». La scelta era se perdere la guerra a tavolino o sul campo di battaglia. Contrariamente a quello che avrebbe fatto Hitler nella Seconda Guerra, a Berlino decisero di tentare la via negoziata. Si mossero le varie diplomazie ma, per quanto lavorassero in maniera assolutamente segreta, era sulla voce di tutti i governi che ormai era solo questione di tempo. L'imperativo era dunque quello di ottenere i massimi risultati militari sul campo, in modo che al tavolo della pace ci fossero già dei risultati acquisiti.
Questo ovviamente era noto anche al Governo e al Re d'Italia, i quali spinsero Diaz a prendere subito l'iniziativa senza altro attendere.
Gli alleati, che fino a quel momento avevano insistito affinché Diaz scatenasse l'offensiva, adesso erano del tutto contrarti all'azione. Al massimo avrebbe potuto «sferrare un attacco sugli altipiani», dove nessuno dei due eserciti aveva possibilità di battere l'altro.
Si arrivò a metà ottobre, quando l'imperatore d'Austria cominciò ad avviare a sua volta iniziative tese a salvare il salvabile. Invitò le popolazioni soggette a raggrupparsi sotto le rispettive nazionalità, informando Wilson che - aderendo ai suoi 14 punti - avrebbe «sgomberato le terre invase». In Valsugana si ammutinarono alcuni reggimenti ungheresi. Nelle retrovie cominciavano i saccheggi dei magazzini militari. Vittorio Veneto era stato abbandonato undici giorni prima che gli Italiani sferrassero l'attacco.

Alle 3 di mattina del 24 ottobre, a soli dieci giorni dalla firma dell'armistizio, Diaz diede ordine di attaccare su tutto il fronte. La IV Armata attaccò sul Grappa con impeto e generosità, ma incontrò un'imprevedibile resistenza a oltranza da parte avversa. In effetti lo sfondamento del fronte avrebbe provocato il crollo dell'intero sistema difensivo austriaco e forse proprio per questo, nonostante i nostri eroici attacchi, le posizioni vennero conquistare e perse, riconquistate e riperse. Ma l'attacco durissimo delle nostre truppe provocò quantomeno il trasferimento di unità austriache dalla pianura al Grappa, invitando così le nostre VIII e X Armata a passare il fiume. Ma la piena restava violentissima. I nostri genieri gettano ponti, le nostre truppe passano il Piave, poi la piena travolse i ponti e il tutto si fermò, col rischio di perdere le teste di ponte insediate al di là del Piave.
Sul Grappa furono addirittura gli Austriaci a contrattaccare furiosamente. I combattimenti, pure accaniti, non ottennero risultati.
Il 28 ottobre, a 7 giorni dall'armistizio, sembrava ancora tutto in bilico, con i nostri soldati allo stremo delle forze e con gli Austriaci galvanizzati dalla consapevolezza di combattere per la vita o la morte. A mezzogiorno di quel 28 ottobre, il generale Caviglia mandò un proclama alle truppe. «Tutto il popolo italiano ci guarda in questo momento - scrisse nel messaggio fatto leggere su tutta la linea del fronte. - La storia dell'Italia del prossimo secolo dipenderà dalle prossime 24 ore.»
Fu davvero «il giorno più lungo», ma fu anche l'ultimo. Sotto lo slancio dei nostri soldati, la linea di difesa austriaca, sfondata, crollò di colpo. Sconfitti sul campo, sconvolti dalla fame, annichiliti dalle notizie dlla patria, moralmente abbandonati, gli Austriaci si disgregarono.
L'indomani, 29 ottobre, le nostre armate passarono il Piave, finalmente placato anche lui.

Quella stessa mattina del 29 ottobre, alle ore 10, il comando austriaco diramava l'ordine di dar corso alle trattative per l'armistizio immediato, disponendo all'esercito di ritirarsi dietro le linee delle vecchie frontiere.
Alle ore 10 e qualche minuto, a Serravalle il capitano di stato maggiore Ruggera usciva dalle trincee con una piccola bandiera bianca (nella foto in alto). Recava un messaggio del generale Walter Webenau (datato venti giorni prima…!) che desiderava trattare per un armistizio immediato.
Il comando italiano rimase interdetto da tanta solerzia e da tanto ritardo, e cercò di guadagnare tempo. «Sembra che le credenziali non siano in regola»…
Il 30 ottobre sarà il generale Webenau in persona a recarsi alla trattativa, in modo che non ci siano più scusanti. Se mancasse qualcosa, lui era titolato a firmare i documenti necessari. Venne fatto salire in automobile e accompagnato a pochi chilometri da Padova, dove sorge Villa Giusti.
Si intrecciò un fitto scambio di comunicazioni tra il Comando di Parigi dove si trovava il nostro Presidente del Consiglio Orlando, il quale diede disposizioni affinché venisse stesa un'ipotesi di armistizio. Diaz incaricò Badoglio alla trattativa, affiancandolo con un capitano a fargli da interprete. Si chiamava Trenner, cognato di Cesare Battisti.
Alle presentazioni, il generale Webenau dice «Battisti? Conosciamo questo nome…».



L'armistizio venne firmato il 3 novembre, destinato però a entrare in vigore alle ore 15 dell'indomani 4 novembre. In questa maniera le nostre truppe potevano entrare a Trento e a Trieste, cosa che fecero senza colpo ferire nella giornata del 3 novembre.
Ma le diplomazie alleate avevano già mosso le loro carte per impedire che l'Italia «vincesse troppo». Se un mese prima avrebbero festeggiato a vedere gli Italiani che entravano a Vienna, adesso volevano ci arrestassimo appena al di là della linea del Piave.
Diaz si rese conto solo a livello istintivo che la sua vittoria stava per essere mutilata, e decise di far convergere le truppe vittoriose a Vittorio Veneto. Non ci fu alcuna battaglia a Vittorio Veneto, lo fu solo nell'anima di Armando Diaz, che volle a tutti i costi sigillare la sua vittoria nell'immaginario del Paese e, soprattutto, nel suo.
Certo è che tuttora sui libri di scuola si legge che la Grande Guerra non finì sul Grappa, come accadde in realtà, ma a Vittorio Veneto, come non accadde mai.
Alle ore 15.00 del 4 novembre 1918, dopo 3 anni, 5 mesi e 10 giorni di assurdi combattimenti, finiva la Grande Guerra. L'Italia aveva vinto la guerra, e perso 600.000 ragazzi.

G.d.M.

Nelle foto, dall'alto: Sotto il titolo, il particolare delle scritte Presente! a Redipuglia; l'Ossario del Grappa; il maggiore Ruggera si presenta per trattare l'armistizio; un cannone italiano in Piazza Dante a Trento; i cavalleggeri arrivano a Trento. Qui sotto: il 4 novembre 1918 in Piazza Duomo e in Via Belenzani a Trento.

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