Centodieci anni fa l’Italia entrava nella Grande Guerra

«Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio/ dei primi fanti il 24 maggio»

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Nei giorni scorsi abbiamo riportato i momenti più convulsi vissuti dal nostro Paese che hanno portato l’Italia a entrare in guerra a fianco dell’Intesa, Francia, Gran Bretagna e Russia.
Riassumiamo gli eventi del 23 maggio.
 
Il 23 maggio, l’Austria - respinti i sacchi contenenti la corrispondenza proveniente dall’Italia - si affrettava a interrompere le ferrovie del Brennero e della Valsugana, e tutte le linee telefoniche e telegrafiche tra i due Paesi.
Quello stesso giorno il nostro ambasciatore a Vienna, duca d’Avarna, si recava dal Ministro degli Esteri austro ungarico e gli lesse la dichiarazione di guerra firmata dal Re d’Italia. Restituì i passaporti diplomatici e salutò, commosso, il ministro barone Burian.
L’Ambasciatore austro ungarico in Italia, barone Macchio, restituiva a sua volta i passaporti e partiva per Vienna.
Anche se per strade diverse e in tempi indefiniti, pure il Conte Cadorna lasciava Roma diretto, virtualmente, a Vienna.
 
Il 24 maggio il re diramava agli italiani il suo proclama.
«L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio grande avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria che il nostro valore, la nostra abnegazione, la nostra disciplina sapranno conseguire.»
All’alba del 25 maggio, Gabriele d’Annunzio scrisse: «La nostra vigilia è finita. La nostra ebbrezza comincia.»
 
Il disegno di Cadorna era di sfondare la linea austro ungarica sulle Alpi Orientali, unirsi all’esercito serbo e marciare su Vienna.
I fronti dell’Adamello, dell’altipiano di Asiago, delle Dolomiti, dell’Adige e del Brenta erano considerati secondari perché impraticabili.
L’unica parte del fronte non reso impossibile dall’orografia dell'area era l’altipiano di Asiago. Per questo entrambe le parti avevano costruito una serie di forti d’arresto.
Ma i comandanti italiani non riuscirono a restare con le mani in mano e aprirono il fuoco immediatamente.
 
Il 24 maggio 1915 il forte di Luserna venne preso di mira dalle artiglierie italiane, le quali continuarono ininterrottamente a bersagliarlo fino il 28 maggio 1915, rovesciandogli addosso e colpendolo in varie parti, ben 5.000 proiettili soprattutto con pezzi da 280 millimetri.
Il risultato fu vergognoso. Con il primo colpo di cannone cadde la prima vittima accertata del conflitto mondiale, la sedicenne Berta Nicolussi Zatta di Luserna.
Uccisa a soli 16 anni per nulla.
 
Le linee dei forti erano imprendibili. Ma i comandanti tentarono ugualmente la sorte.
Chi dovesse passare sulla strada provinciale che attraversa Vezzena, farebbe bene a fermarsi per leggere cosa c’è scritto nei vari cartelli. Furono migliaia gli italiani uccisi nel tentativo di conquistare quei forti con la baionetta.
Ma l’inutile strage, quella vera, quella voluta dal comando supremo, si compì sull’Isonzo.
Ne parleremo a suo tempo.