Consegnato il sigillo città di Trento a Pedrotti e Guglielmetti

L'intervento del sindaco Ianeselli: «Sono onorato di consegnarvi l’antico sigillo della città: l’Aquila ardente di San Venceslao»

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Il salone di rappresentanza di palazzo Geremia ha ospitato la cerimonia di consegna dell’antico sigillo «città di Trento». 
Due sono le personalità che lo hanno ricevuto: il professor Franco Pedrotti, botanico premiato per il suo costante impegno in difesa della natura a partire dagli Anni ‘50 e il dottor Lorenzo Guglielmetti, per il suo impegno umanitario con Medici senza frontiere e in campi di ricerca considerati residuali perché poco remunerativi per le aziende farmaceutiche. 
La laudatio per entrambi è tenuta dal professor Enzo Galligioni.

 
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 L'intervento del sindaco Ianeselli  

Gentile e caro Franco Pedrotti,
Gentile e caro Lorenzo Guglielmetti,

 
È per noi un privilegio avervi qui oggi e poter approfondire la conoscenza di due esperienze umane e professionali molto diverse, e non solo dal punto di vista generazionale. 
Ad accomunarvi c’è però la vostra città di origine, Trento, che tenendo in gran conto la ricerca scientifica ha deciso di consegnarvi la più alta onorificenza municipale. 
E c’è anche una comune postura etica che emerge dalle vostre differenti biografie, dalle scelte che avete compiuto, dalla direzione che avete impresso non solo ai vostri studi, ma anche all’agire nel mondo.
 
Siamo particolarmente orgogliosi di premiare, in occasione delle celebrazioni dedicate a San Vigilio, due persone che, con le specificità legate ai rispettivi ambiti di interesse, si sono dedicate e si dedicano alla ricerca scientifica con intelligenza e passione. 
Lo siamo tanto più in un periodo in cui assistiamo, anche da parte di insigni rappresentanti delle istituzioni, alla svalutazione della scienza e degli scienziati e a un malinteso egualitarismo nel campo della conoscenza che confonde, disorienta, alimenta la diffusione di nozioni infondate. 
Penso per esempio alle pericolose scorciatoie del negazionismo climatico che, contro ogni evidenza, minimizza gli impatti del riscaldamento globale e aumenta la sfiducia nella transizione ecologica. 
E penso anche alla demonizzazione dei vaccini, capace di riportare in auge quelle paure irrazionali che, nell’Ottocento, avevano accompagnato la profilassi contro il vaiolo. 
Noi crediamo invece nella scienza, non come dogma, ma come ricerca che nasce da una domanda di cui non si conosce la risposta e, come ha scritto David Quammen, «implica sempre provvisorietà, correzioni, umiltà, ipotesi da supportare o correggere quando sono disponibili nuovi dati».
La ricerca scientifica su cui riponiamo la nostra fiducia presuppone non solo il rigore del metodo, ma comporta anche l’assunzione di una responsabilità sociale. 
Lo ha sostenuto fin dall’inizio Francis Bacon, il padre del pensiero scientifico, secondo cui la comunità scientifica deve agire non a vantaggio di qualcuno - di un popolo, di una classe sociale, di una generazione - ma dell’intera umanità.
 
Lei, professor Franco Pedrotti, da botanico ha fatto proprio questo pensiero fin da giovane, quando negli anni Cinquanta, agli albori dell’ambientalismo, è stato uno dei più qualificati pionieri della difesa del patrimonio forestale italiano e della promozione delle aree protette.
In quest’epoca in cui sembrano proliferare i vandali del pianeta Terra, ci è particolarmente caro il principio di quel Movimento italiano per la protezione della natura di cui lei, caro professor Pedrotti, è stato per anni uno degli animatori: mi riferisco alla raccomandazione di prelevare solamente la rendita delle risorse naturali rinnovabili, senza intaccare il capitale, non fosse altro perché questo è l’unico pianeta che abbiamo.
Se a livello locale dobbiamo a lei la fondazione di quello scrigno di biodiversità che è il Giardino Botanico delle Viote, a livello nazionale e internazionale, nell’ambito accademico e in quello della militanza ecologista, merita di essere ricordato il suo impegno a tutto campo per la promozione di un rapporto tra uomo e natura più equilibrato e rispettoso di tutte le forme di vita. 
Grazie a questo pluridecennale attivismo scientifico e civile, lei è diventato un punto di riferimento autorevole e riconosciuto in Italia e nel mondo. 
Quello che ci colpisce della sua parabola di studioso non è solo il rigore dello scienziato ma anche l’impegno culturale, la capacità di coinvolgere, di ibridare le scienze naturali con quelle sociali per far capire che un’area protetta non è solo un’oasi verde, ma una riserva di futuro per l’umanità.
 
All’umanità, soprattutto a quella considerata marginale, si dedica la ricerca medica del dottor Lorenzo Guglielmetti, che ha approfondito in particolar modo lo studio della tubercolosi resistente ai farmaci. 
Quasi scomparsa nei Paesi sviluppati, la Tbc continua a mietere vittime nel resto del mondo: basti pensare che ogni anno i morti raggiungono la tragica cifra di un milione e 400mila, che ogni tre minuti muore un bambino. 
È uno scandalo intollerabile, che già sconvolgeva l’Ivan Karamazov di Dostoevskij, tentato di restituire il «biglietto d’ingresso» all’esistenza proprio a causa dell’incapacità di accettare il dolore infantile. 
Diciamocelo chiaramente: il nostro mondo si adatta benissimo alla sofferenza dei bambini, sacrificati troppo spesso a una real politik impegnata a soppesare e valutare le buone ragioni di Erode, a tagliare i fondi per la ricerca e per i progetti umanitari. 
Per questo la storia del dottor Guglielmetti ci dà speranza: non ci colpisce solo il fatto che il suo nome sia stato inserito da Time tra le cento persone più influenti in ambito sanitario. Ci colpisce la sua scelta di lavorare per un’Organizzazione non governativa, di fare ricerca in campi difficili e poco remunerativi, di dedicarsi a una malattia povera, che miete vittime considerate residuali e che condanna a morte persone la cui vita viene ritenuta meno importante delle nostre. 
È bello pensare che il suo percorso, caro dottor Guglielmetti, è iniziato qui a Trento. Che questa città ha alimentato in ugual modo la sua curiosità scientifica e la sua sensibilità sociale.
 
Caro professor Pedrotti, caro dottor Guglielmetti,
riflettendo sulle vostre storie differenti che si sono incontrate in questa cerimonia, mi è venuto in mente il Galileo di Bertolt Brecht che, alla domanda «Che scopo si prefigge il nostro lavoro?», risponde: «Io credo che la scienza abbia come unico scopo quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana». 
E ammonisce così «gli uomini di scienza, intimiditi dai potenti egoisti»: «Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande che, un giorno, a ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale».
Voi, cari e illustri concittadini, avete lavorato contro quell’abisso, avete cercato di scongiurare quel grido di dolore. 
Avete contribuito a guarire, a proteggere, la natura e le persone, portando le vostre conoscenze scientifiche laddove c’era bisogno e avvicinando il bisogno ai laboratori dove si fa ricerca. 
In questo modo vi siete guadagnati anche il sostegno di noi semplici cittadini, noi persone non esperte, e avete rinsaldato quel rapporto tra scienza e società civile che è fondamentale per prevenire la catastrofe, per indirizzare la conoscenza verso la sostenibilità sociale e ambientale, verso la pace, parola diventata in questi ultimi mesi quasi eversiva.
 
Caro professor Franco Pedrotti, caro dottor Lorenzo Guglielmetti,
è per queste ragioni che la città intera vuole testimoniare la propria amicizia e la propria stima nei Vostri confronti. 
È per questo che, raccogliendo le sollecitazioni e l’affetto di numerosi vostri amici ed estimatori, sono onorato di consegnarvi l’antico sigillo della città: l’Aquila ardente di San Venceslao.