Dipendenza tra i giovani – Di Nadia Clementi
L’AFT Trentina in prima linea per accogliere e curare. Ne parliamo con la responsabile terapeutica Paola Maria Meina

Antonello Panetta, Paola Maria Meina e Stefano Cioffi.
In un contesto sociale sempre più complesso, individualista e meno inclusivo, il fenomeno delle tossicodipendenze rappresenta una sfida urgente e drammatica, soprattutto tra i giovani.
I dati della Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, aggiornati al 2023, dipingono un quadro allarmante: quasi 960mila studenti tra i 15 e i 19 anni hanno sperimentato almeno una volta una sostanza illegale, con un aumento significativo del consumo di cocaina, stimolanti, allucinogeni e nuove sostanze psicoattive.
Parallelamente, cresce il coinvolgimento dei minorenni nel traffico e nella detenzione illecita di stupefacenti, mentre aumentano gli accessi ai Pronto Soccorso per cause droga-correlate.
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In questo scenario, l’Associazione Famiglie Tossicodipendenti Onlus (AFT) rappresenta un faro di speranza e supporto. Fondata nel 1981 da un gruppo di familiari uniti dalla condivisione di un problema comune, l’AFT opera da oltre quarant’anni nel territorio trentino, offrendo accoglienza, cura e sostegno a persone affette da dipendenze e alle loro famiglie. Con una struttura organizzata e un’équipe di professionisti e volontari, l’associazione si impegna a restituire dignità e gioia di vivere a chi è caduto nella trappola delle dipendenze.
La direttrice terapeutica Paola Maria Meina e il responsabile amministrativo Antonello Panetta con il Consiglio Direttivo la cui Presidenza è affidata a Stefano Cioffi, con esperienza e dedizione, guidano l’AFT con una visione chiara: «Il nostro è un luogo in cui puoi tornare, sempre!».
In questa intervista, approfondiremo la situazione nel territorio trentino, i servizi offerti dall’associazione e le sfide future per contrastare un fenomeno in costante evoluzione.
Paola Meina – Il suo curriculum a questo link.
La situazione in Trentino
Dottoressa Paola Meina qual è la fotografia attuale del fenomeno delle tossicodipendenze in Trentino? Ci sono differenze significative rispetto ai dati nazionali?
«Anche qui in Trentino, come nel resto d'Italia, negli ultimi anni e soprattutto dopo il periodo Covid, si è verificato un forte incremento del numero di persone che abusano di sostanze stupefacenti. Gli ultimi dati parlano di un aumento del 23%.
«E riteniamo che chi si rivolge ai servizi rappresenti solo la punta dell'iceberg, in quanto prima di essere considerati affetti da patologia tossicomanica trascorre del tempo (a partire dalla prima assunzione) che varia da individuo a individuo.
«Molti giovani, troppi, abusano di alcol e delle cosiddette droghe leggere già dai primi anni di scuola superiore e molti di loro, nel giro di poco, si trovano intrappolati nelle sostanze pesanti.
«La nostra Associazione mette da sempre in guardia rispetto a un problema che affligge le nuove generazioni e l'intera società. Non bisogna infatti pensare che i giovani che finiscono nella droga provengano solo da famiglie disfunzionali.
«Purtroppo, la fragilità delle nuove generazioni è trasversale. La mancanza di comunicazione transgenerazionale, ideali privi di forza, l'abuso della realtà virtuale indeboliscono gli anni dell'infanzia e della preadolescenza.
«Ogni giorno incontro giovani già stanchi, colmi di stress e incertezze. La rabbia tipica dell'età adolescenziale che, se trasformata in determinazione positiva, potrebbe promuovere nuovi impulsi per una vita inclusiva e ricca di gioia, troppo spesso implode in solitudine, desiderio di estraniarsi, senso di impotenza e sconfitta, ovvero evolve in quei drammi che conducono ad assumere sostanze nell'illusione che, privandosi di lucidità, si possa attenuare il dolore causato dalla mancanza di un senso alla propria vita.
«Il Trentino non è diverso dal resto d'Italia, ma a differenza delle grandi città, proprio per la sua bellezza e la poca estensione, potrebbe, con politiche adeguate, essere un fiore all'occhiello nell'individuare strategie vincenti in grado di arginare un problema che sta assumendo connotati drammatici.»
Come si colloca il Trentino rispetto alla diffusione di sostanze come il fentanyl e la xilazina, segnalate come particolarmente pericolose?
«L'emergenza è reale. Il Servizio Sanitario sta studiando il fenomeno ormai da anni, sin dal suo insorgere. Le sostanze con cui vengono tagliate le dosi di droghe pesanti sono altamente pericolose e in piazza vediamo i nostri ragazzi e le nostre ragazze che presentano sofferenze a causa di un taglio nuovo, molto più grave.
«Mentre scrivo, sto vivendo momenti di grande preoccupazione per tre ragazze che in questi giorni sono ad altissimo rischio di decesso e si trovano, purtroppo, in strada.»
I servizi offerti dall’AFT
Quali sono i servizi principali che l’AFT offre alle persone con dipendenze e alle loro famiglie?
«Offriamo due tipi di intervento: diurno e residenziale.
«Durante le ore diurne, il nostro centro fornisce tutti i servizi di un drop-in sociale, nell’ottica della riduzione del danno ovvero: accoglienza per chi vive in strada; servizi di base come docce, lavanderia, deposito di oggetti personali, distribuzione di abiti e coperte, colazione, pranzo e merenda; servizi di segretariato sociale; accompagnamento a strutture sanitarie; laboratori artistici.
«Il nostro metodo di accoglienza La guarigione è una questione d'amore crede che in ogni azione che si compie con i ragazzi/e che si rivolgono a noi, se compiuta nel modo giusto, risieda il germe di un motivo per cambiare.
«Da noi trovano incoraggiamento, ascolto, rispetto per la loro individualità. Possono riposare, piangere e trovare la speranza di farcela, e soprattutto, possono gettare le basi per il loro percorso di guarigione personale.
«Collaboriamo strettamente con l'Azienda Sanitaria (Ser.d., Alcologia, Centro di Salute Mentale), con le istituzioni del settore sociale pubblico e privato, e con le forze dell'ordine del territorio.
«Riserviamo la stessa accoglienza alle famiglie che si rivolgono a noi. Cerchiamo di individuare la strategia più efficace per ogni nucleo familiare, affinché possa trovare sostegno e guida nell'accesso alle istituzioni sanitarie e sociali necessarie. Attraverso colloqui, facilitiamo la comunicazione tra genitori e figli, spesso compromessa dal dramma della droga.
«Siamo convinti che l'Amore sia la forza motrice del cambiamento. Spesso si confonde l’amore con l’emotività e si pensa che parlare d’amore nella guarigione escluda rigore scientifico e autorevolezza. Noi Intendiamo l'amore come accoglienza empatica, priva di giudizio e pregiudizio, e rispetto per l'individualità.
«Ogni persona (familiare o giovane con dipendenze) è unica e richiede un approccio personalizzato. Il nostro obiettivo non è inserire la persona in un programma predefinito, ma accompagnarla nel suo percorso di trasformazione e cura, che dovrà trovare tempi, luoghi e modalità adatti a ogni individuo.
«Per questo, collaboriamo attivamente con tutte le istituzioni del settore e rispettiamo i diversi approcci, affinché ogni persona possa trovare la propria via d'uscita dalla dipendenza.
«Ciò che noi offriamo è tempestività. Riteniamo che essere tempestivi sia essenziale quando si agisce per la prevenzione e cura delle dipendenze.»
Come funziona il sistema degli appartamenti terapeutici e quali risultati avete ottenuto nel reinserimento sociale?
«Disponiamo di quattro appartamenti sul territorio, affittati da ITEA, dove ospitiamo venti persone con diverse caratteristiche:
• persone in situazione di urgenza, ovvero giovani con tossicodipendenza attiva in attesa di entrare in comunità terapeutica e/o che desiderano trovare la forza per non morire;
• casi gravi di persone con doppia diagnosi (dipendenza da sostanze psicoattive e malattia o disturbo psichiatrico) che necessitano di tempi di progettazione e inserimento in strutture di cura adeguate;
• persone che hanno concluso il percorso in comunità e necessitano di un periodo di transizione per reinserirsi nel mondo del lavoro e ricostruire relazioni positive;
• persone che hanno interrotto il percorso in comunità terapeutica e non vogliono tornare a vivere in strada;
• persone che devono intraprendere un percorso alternativo alla detenzione carceraria;
• diamo priorità all'accoglienza di donne e coppie, e accettiamo anche animali domestici.
«Cerchiamo di assegnare gli appartamenti a ospiti con caratteristiche simili. Ciascuno di loro elabora un progetto individualizzato, con obiettivi e modalità di attuazione personalizzati.
Purtroppo, non disponiamo dei fondi necessari per garantire una presenza costante di personale. Grazie al nostro metodo, abbiamo sviluppato un approccio fondato su fiducia, onestà e rispetto reciproco.
«Partiamo dal presupposto che chi chiede aiuto desidera essere aiutato. Lavoriamo su principi diversi da quelli del controllo e presenza costanti.
«Gli esiti positivi ottenuti finora sono notevoli, soprattutto per gli ospiti in fase di maggiore stabilità che desiderano evitare ricadute.
«Siamo consapevoli che la tossicodipendenza può evolvere in una malattia cronica con alto rischio di recidiva, ma in un percorso di guarigione possiamo accettare momenti difficili.
«Ciò che conta è aver instaurato un rapporto di fiducia e una comunicazione vera e profonda per affrontare la fragilità con tempestività e cure adeguate.»
La vostra struttura accoglie persone provenienti solo dal Trentino, o anche da altre regioni o nazioni?
«Sì. Nel nostro drop-in sociale e nel nostro Punto Donna arrivano anche uomini e donne straniere, soprattutto nord africani. Alcuni già caduti nelle dipendenze di alcol e/o sostanze pesanti.
«Molti di loro abusano di psicofarmaci che uniti all’alcol procurano effetti pericolosi. Loro stessi ci raccontano che per affrontare la vita di strada e le sue violenze consumano psicofarmaci così acquistano forza e aggressività. Alcuni di loro invece non vogliono cadere nell’uso e nello spaccio di sostanze e si rivolgono a noi per prevenire.
«Al loro arrivo sul nostro territorio devono presentare domanda di asilo. Questo processo non è immediato. Dal primo appuntamento al rilascio della domanda di asilo possono passare anche due mesi.
«Dal momento che la domanda viene accettata ed hanno in mano il foglio che lo attesta non possono però ancora lavorare.
«Devono attendere 60 giorni. In questo tempo possono attivare tirocinio o diventare volontari presso qualche associazione. Attivare un tirocinio è un processo lungo, praticamente impossibile con questi tempi. In tutto questo periodo come vivono?
«Certo l’accoglienza notturna spesso, ma non sempre, è garantita dai dormitori; i pasti li possono consumare nelle mense dedicate ma come è ovvio non è sufficiente. La delinquenza organizzata che ha bisogno di spaccini trova in questo bacino di disperati la manovalanza. Cadere nell’abuso di alcol e sostanze diventa, a volte, l’unica illusione che copre disperazione.»
Il progetto «Punto Donna» è un’iniziativa particolarmente significativa. Quali sono le principali difficoltà che le donne con problemi di dipendenza si trovano ad affrontare?
«Il Punto Donna è nato nel 2012 grazie alla collaborazione con la sociologa Lorella Molteni e al suo libro Eroina al femminile, uno studio che raccoglieva interviste a 49 donne tossicodipendenti del nostro territorio e metteva in evidenza le peculiarità delle problematiche di genere anche nell’ambito della tossicodipendenza.
«Non si tratta solo di differenze biologiche: le sostanze agiscono in modo diverso sul corpo e sul sistema nervoso femminile, con conseguenze differenti rispetto agli uomini.
«Ma c’è anche una dimensione biografica da considerare. Così, iniziammo a creare un modello di accoglienza e ascolto mirato a superare la paura che le giovani donne provano nel fidarsi e nel farsi accompagnare. In occasione della Giornata internazionale promossa dall’UNICRI sulle dipendenze di genere, realizzammo lo spettacolo teatrale Mi fido di te, che ottenne visibilità a livello nazionale.
«Le donne avrebbero bisogno di percorsi di cura molto diversi da quelli attualmente disponibili. Molti aspetti dell’assistenza dovrebbero essere rivisti. Se per tutti la tempestività è fondamentale, per le donne spesso è l’unico elemento davvero determinante.
«Una sola notte trascorsa in strada può causare anni di immensa sofferenza psicologica e ritardare la guarigione per molto tempo. Non si tratta di vivere sempre nell’emergenza, ma di sviluppare metodi di cura diversi. Il modello comunitario, ad esempio, si rivela spesso inefficace per le donne, poiché la loro struttura psicologica e fisica non si adatta facilmente alla logica del fare squadra o all’imposizione di rigide regole comportamentali che rispecchiano il modello della caserma Ciò di cui hanno bisogno è piuttosto la possibilità di ritrovare la propria forza vitale interiore, di ricomporre la casa, l’utero sani che custodiscono e proteggono la loro vita. Ed è proprio questo che promuoviamo, con risultati significativi.
«Per le donne, come sempre, tutto è più difficile. Una giovane ragazza si avvicina alle droghe pesanti, nella maggior parte dei casi, perché segue un uomo che la introduce all’uso. Una volta diventata dipendente, inizia per lei un calvario fatto di violenze sessuali, aborti, prostituzione indotta.
«Lo stigma sociale nei suoi confronti è ancora più feroce: quando non è più giovane e attraente, quando il suo aspetto è segnato dalla dipendenza, prima diventa preda di chiunque, poi viene emarginata, picchiata, distrutta.»
Il ruolo delle famiglie
Qual è l’importanza del supporto alle famiglie?
«È determinante anche se difficilissimo.
«Ogni famiglia ha una storia unica, e per ciascuna esiste una soluzione diversa. Molto dipende dall’immagine che abbiamo dell’essere umano, della droga, di nostro figlio o nostra figlia.
«Quando i nostri figli cadono nella dipendenza, diventano ostaggi di qualcosa di molto più grande di loro. Non dimentichiamolo. Non vogliono farci del male. Non abbiamo fallito come genitori e, soprattutto, non abbiamo un figlio o una figlia sbagliati.
«Sono caduti, e ora sono imprigionati. Aiutiamoli a liberarsi. Con pazienza e determinazione. Ascoltiamoli, non demonizziamoli, non puniamoli, non dobbiamo avere paura, ma accettare, comprendere e trasformare.
«Se riuscissimo, come famiglie, ad accettare anche la tossicodipendenza di un nostro congiunto come un’opportunità per noi di crescere, trasformarsi, cambiare principi e uscire dalla nostra confort-zone forse la tragedia sarebbe minore.
«Posso dire che, quando una famiglia non teme la dipendenza ma è disposta a mettersi in gioco completamente, i risultati possono essere straordinari.»
Come coinvolgete i familiari nei vostri progetti e quali strumenti offrite per aiutarli a gestire la complessità della situazione?
«Se i familiari lo desiderano, vengono accolti con calore come volontari in tutti i nostri progetti, diventando un supporto straordinario per noi e per i nostri ospiti. Proprio in questi mesi stiamo portando avanti una campagna per reclutare nuovi volontari.
«Aiutando un altro, aiuto anche mio figlio o mia figlia. A volte anche indirettamente, ma offriamo sempre forza a chi è coinvolto direttamente nel percorso di cura, permettendogli di lavorare meglio, e questo è determinante. Come dicevo prima, ogni storia è a sé, quindi le strategie vincenti le identifichiamo insieme, di volta in volta.»
Collaborazioni e rete territoriale
L’AFT collabora con istituzioni, SerD e altre realtà del territorio. Quali sono le sinergie più efficaci per affrontare il problema delle dipendenze?
«Lavorare in rete è determinante. Non se ne può fare a meno. Non solo il Ser.D. (che è l’interlocutore principale), ma anche l’Alcologia, il CSM, i Servizi Sociali, tutte le altre istituzioni del privato sociale, gli organismi della Provincia e del Comune di Trento, e persino le Forze dell’Ordine. Il mondo politico, il territorio, le parrocchie: solo collaborando, nel rispetto delle diverse competenze, possiamo farcela.
«Certo è che molto resta ancora da fare affinché esista un’integrazione socio-sanitaria sana e non gerarchica. E certo è che, qui nel nostro territorio, dobbiamo ancora lavorare molto per sconfiggere stigma, pregiudizio e paura di parlare di droga. La nostra Associazione è sulla strada, per la strada, per tradurre il bisogno dei cittadini alle istituzioni e per aiutare le persone a fidarsi e a promuovere la salute attraverso di esse.
«Sono molto soddisfatta della seduta del Consiglio Comunale dello scorso mercoledì 26 febbraio, durante la quale, a seguito della mozione presentata dal consigliere Fernandez sulla necessità di potenziare il nostro Drop-in sociale e di ampliarlo a Drop-in sanitario, dopo le modifiche proposte dall’assessore Pedrotti e il caloroso intervento del consigliere Demattè, tutti gli schieramenti politici hanno votato all’unanimità a favore.
«Ringraziamo la politica, che in questa seduta ha dimostrato di comprendere pienamente che un problema come quello della droga può essere affrontato, contenuto e, speriamo, risolto solo attraverso l’impegno condiviso di tutte le parti.
«La guarigione dei nostri giovani è una sfida che dobbiamo affrontare insieme. È un problema complesso, che coinvolge molteplici ambiti. Non è un’ideologia che deve prevalere, ma la salute, affinché si pongano le basi per una società e un territorio inclusivi e sani. Ora aspettiamo di vedere concretizzare l’impegno teorico promosso dalla giunta.
«Auspichiamo in una tempestiva ed efficace collaborazione tra Patt, Azienda Sanitaria e Comune.»
Come si inserisce l’associazione nel sistema di prevenzione e cura a livello provinciale e nazionale?
«Il modello della nostra Associazione è osservato in tutta Italia. Qualche anno fa, abbiamo contribuito, attraverso la nostra presenza e attività di formazione, alla nascita dell’Associazione Altea di Reggio Calabria. La nostra è una realtà che potrebbe essere considerata il fiore all’occhiello del nostro territorio.
«Abbiamo sviluppato anche progetti di prevenzione che sostengono la nostra vision e promuovono la salute, favorendo lo sviluppo di generazioni forti e motivate, desiderose di dire un sì alla vita con ancora più convinzione. Dire sì alla vita esclude definitivamente qualsiasi interesse verso ogni tipo di droga.
«Attualmente, abbiamo un accreditamento nel settore socio-sanitario come Case comunitarie integrate, che tuttavia non rispecchia ancora appieno le nostre necessità. Nonostante ciò, siamo già meno preoccupati per il nostro futuro, che fino a poco tempo fa era incerto.
«Oggi lavoriamo ancora in modo drammaticamente difficile. Sfaremo il possibile per ottenere un ulteriore accreditamento come drop-in (anche sanitario), che ci permetterebbe di garantire le basi minime per offrire un servizio ancora più efficace e dignitoso per il territorio.»
Le sfide future
Quali sono le principali criticità che l’AFT si trova ad affrontare oggi?
≪Purtroppo, le difficoltà sono molte. La prima riguarda la sede. Presto, l’edificio che attualmente ci ospita in Via Verruca verrà demolito e ricostruito, quindi abbiamo un urgente bisogno di una nuova sistemazione. Il Comune sta cercando una soluzione e speriamo che al più presto si trovi una sede che risponda alla nostra esigenza di rimanere vicini alle zone sensibili, affinché i nostri giovani, anche nei momenti di difficoltà, possano raggiungerci facilmente.
«Anche per quanto riguarda gli appartamenti, speriamo di trovare soluzioni che facilitino il nostro lavoro. Attualmente, i nostri quattro appartamenti sono distanti tra loro, il che comporta un grande dispendio di energie per gli operatori.
«Con la Curia si era discusso della possibilità di assegnarci Casa San Pietro a San Nicolò, che avrebbe permesso di riunire tutti gli appartamenti in un unico stabile, riducendo così l’impiego di risorse umane e migliorando la qualità del servizio offerto. Purtroppo, però, il progetto si è arenato.
«Abbiamo grande speranza che venga finalmente riconosciuta anche a livello finanziario la fatica di aver creato e mantenuto, in tutti questi anni, un servizio come il drop-in sociale, reso possibile soprattutto grazie all’impegno instancabile dell’équipe professionale e dei volontari. Inoltre, auspichiamo di ottenere una parte di accreditamento sanitario, così da avere le risorse necessarie per realizzare insieme la sezione sanitaria del drop-in.
«Questa dovrebbe garantire non solo la profilassi per la riduzione dei rischi sanitari, ma anche alcuni posti sanitizzati per l’accoglienza notturna in situazioni di emergenza, al fine di prevenire il rischio di morte dei nostri giovani e ridurre il danno territoriale in caso di gravi disturbi comportamentali causati dall’abuso di sostanze.»
Quali progetti o iniziative avete in cantiere per rispondere alle nuove forme di dipendenza e alle esigenze emergenti?
«Il progetto attualmente in corso, per il quale chiediamo a tutti i cittadini di sostenerci, riguarda la Campagna di reclutamento e formazione volontari del Comune di Trento, avviata in seguito alla conclusione dell'anno Trento Capitale Europea del Volontariato.
«Abbiamo già realizzato e stiamo attuando diverse iniziative sul territorio, tra cui:
• Incontri con i cittadini, come quello del 10 febbraio presso la Chiesa di San Pietro a Trento, quello del 12 febbraio presso la Sala Motter dell'oratorio di Gardolo, quello del 20 febbraio presso l'oratorio del Duomo di Trento e quello del 10 marzo presso la Chiesa di San Pio X. Altri incontri sono attualmente in programmazione.
• Mostra fotografica: nel mese di maggio, presso i locali ATAS dei Cappuccini, inaugureremo una mostra fotografica con materiale realizzato da importanti fotografi nazionali (Giò Palazzo, Max Ferrerp, Renata Busetini, Deka Omar Mohamed) dedicata al tema della tossicodipendenza nelle strade di Trento.
• Proiezione di un cortometraggio: nel mese di maggio verrà presentato il cortometraggio sulla nostra associazione, realizzato dalla regista Deka Omar Mohamed.
• Formazione per i volontari: stiamo organizzando due giornate formative dedicate sia ai nuovi volontari sia a coloro che da sempre rappresentano il vero e grande sostegno per la nostra realtà.
• Reclutamento volontari: il 31 marzo dalle 20:30 alle ore 22:00 saremo presso il Centro per la Pace di Rovereto per una serata di presentazione e di arruolamento volontari.
• Pubblicazione di un libro: verrà pubblicato un volume contenente interviste ai nostri volontari.
• Prosecuzione dei nostri Laboratori per rinascere, che continuano a offrire supporto e opportunità di crescita.
«Chiunque voglia conoscerci è il benvenuto: ogni martedì pomeriggio, dalle 17:00 alle 19:00, si tiene l'incontro tra volontari e operatori presso la nostra sede in Via Verruca n. 1.»
Un messaggio di speranza
Cosa direbbe a una famiglia che si trova per la prima volta ad affrontare il problema della tossicodipendenza di un proprio caro?
«Non abbiate paura. Non delegate ad altri la speranza salvifica ma mettetevi in gioco e lottate con gioiosa fermezza. I vostri figli sono caduti ostaggi di un folle esercito che rapisce anime belle, spesso più sensibili della media. Forza. Non abbiate paura e comunicate, chiedete, guardate negli occhi i vostri figli. La strada si trova.»
Qual è, secondo lei, il valore più grande che l’AFT può offrire a chi cerca una via d’uscita dalla dipendenza?
«Conoscenza del problema, presenza, tempestività. Amore per l’essere umano, integrità e fiducia.»
Foto di gruppo AFT.
L’Associazione Famiglie Tossicodipendenti Onlus, con la sua storia e il suo impegno, rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per il territorio trentino.
In un’epoca in cui le dipendenze assumono forme sempre più insidiose, il lavoro dell’AFT dimostra che è possibile ricostruire vite spezzate, offrendo non solo cure ma anche speranza e un senso di comunità.
Grazie alla generosità del presidente Stefano Cioffi e alla dedizione di volontari ed equipe professionale con i direttori Meina e Panetta, l’AFT continua a essere un luogo in cui si può tornare, sempre.
Nadia Clementi – [email protected]
Dr.ssa Paola Maria Meina - [email protected]
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