El Camino de la Vera Cruz/ 1 – Di Elena Casagrande
Il Cammino della Vera Croce va dal Nord della Spagna a Caravaca de la Cruz, città giubilare della cristianità, dove si venera la reliquia della Croce di Gesù

Segnavia del Camino de la Vera Cruz.
Da Puente la Reina passano il Cammino di Santiago ed il Cammino della Vera Croce
A metà mattina arriviamo a Puente la Reina, da Pamplona. La cena nei locali climatizzati del Cafè Iruña è un lontano ricordo. Già si suda. Da qui non solo passa il Camino Francés di Santiago, ma anche El Camino (o la Ruta) de la Vera Cruz (il Cammino della Vera Croce).
Recentemente «ricostruito» come un itinerario storico-turistico dai Pirenei a Caravaca de la Vera Cruz, nella regione di Murcia, noi lo percorreremo da qui, per circa 800 km, lungo la direttrice nord-sud, saltando il «prologo» da Roncisvalle, in quanto già percorso più e più volte.
Ci guideranno le mappe della Real y Ilustre Cofradía de la Santísima y Vera Cruz de Caravaca. Questo cammino, nato per venerare il Lignum crucis (il legno della croce di Gesù) miracolosamente apparso ad un sacerdote cristiano nel 1231, aveva come punto di partenza Cartagena, Lorca e Villanueva de los Infantes.
Ma mano a mano che la Spagna veniva liberata dai mori e che la venerazione della croce si diffondeva, nacquero nuove vie di pellegrinaggio, come quella collegata al cammino per Santiago che abbiamo deciso di seguire.
La Basilica di Caravaca de la Cruz.
L’apparizione della Croce avvenne a Caravaca nel 1231 durante l’occupazione araba
Narra la leggenda che Abu Zayd, l’ultimo Sayyid (governatore) di Valencia, durante l’occupazione mussulmana della città di Caravaca chiese ai prigionieri catturati che lavoro svolgessero. Don Ginés Pérez Chirinos disse di fare il sacerdote.
Il governatore gli chiese allora di mostrargli il suo «mestiere». Il prete, procuratosi i paramenti, allestì allora un altare per celebrare la Messa.
Ma quando si accorse di non aver a disposizione un Crocifisso cadde nello sconforto. In quel momento gli apparvero due angeli in volo che gli porsero una croce.
Tutti rimasero stupiti e ancora di più al momento della consacrazione, quando sulla croce si materializzò la figura luminosa del Cristo. Davanti a tale visione il governatore dei mori si convertì e si fece battezzare all’istante.
Da allora si sviluppò una crescente devozione popolare, cui fecero seguito molte bolle papali, dal Medioevo fino a Papa Wojtyla.
Caravaca de la Cruz, assieme a Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela e Santo Toribio de Liébana è una delle città sante giubilari della cristianità.
Cartellonistica del Camino de la Vera Cruz.
Il parroco di Puente la Reina ci benedice e ci regala una collana con piccola croce
Alle 10 non c’è nessun pellegrino a Puente la Reina. Se ne saranno andati 4 o 5 ore fa.
«Che bello Teo! Possiamo godercela in santa pace, senza fretta,» – gli dico sorridendo.
Per prima cosa una visitina a Santiago Beltza (il Santiago nero), poi due chiacchiere con la fornaia che rifocilla i viandanti fin dall’alba ed infine la S. Messa alla Chiesa del Crocifisso. Prendiamo posto davanti al Cristo renano, dall’originale forma ad ipsilon. Dono di un pellegrino tedesco del XIV secolo è sempre affascinante.
Ma c’è poco da ammirare. Arriva una vecchietta che ci fa retrocedere: il banco è suo. Non fiatiamo: in cammino siamo ospiti. Ma ecco che, poco dopo, arriva la ricompensa del parroco.
«Concludiamo con l’antica benedizione del pellegrino!» – Esclama all’assemblea.
«Voi due venite all’altare!» – ci dice, porgendoci una piccola croce da mettere al collo.
In cammino dopo Puente la Reina.
I segnali della Vera Cruz scarseggiano e questo non è certo un bel presagio
Dopo un primo tratto segnalato vicino al fiume Arga, iniziamo questo cammino sulla cañada real (tratturo) che passa nella Valdizarbe, già dal Medioevo vigilata da templari e cavalieri di San Giovanni. Purtroppo niente simboli del Camino de la Vera Cruz: spariti. E così non ci resta che seguire le indicazioni bianco-gialle di un PR (Pequeño Recorrido – piccolo percorso), che, purtroppo, sono tutt’altro che chiare. A Mendigorría tutto tace, tranne la tv dell’unico baretto aperto, sintonizzato sul GP di Ungheria. Sainz, in partenza, non supera Russel: che strazio. Ce ne andiamo. Tra campi gialli di grano e verdi di mais, fossi e stradine bianche, dopo l’Ermita de Santiago y San Marcos scorgiamo qualcosa, laggiù. Sì, ci sono le mura tutt’intorno: è il borgo murato di Artajona.
Arrivando al Cerco de Artajona.
La cittadella fortificata di Artajona è un gioiellino navarro tra le distese di cereali
Puntiamo subito al «cerco», la cittadella fortificata. La Chiesa di San Saturnino è ancora aperta e possiamo salire sui suoi tetti «a scaglie di drago». Vennero costruiti così per raccogliere l’acqua piovana nella cisterna sottostante. Sono splendidi. Ma non ci sono balaustre. Sarà il richiamo sibillino dei paesaggi che mi circondano, saranno le vertigini, ma comincio ad avere paura di cadere da un momento all’altro: meglio scendere. Davanti al piazzale, guardano il paese sottostante, telefono all’Hostal (pensione) «El Cerco». C’è posto. È tappezzato di foto. Prima di cenare un paesano mi mostra i dolmen della zona e mi racconta del film «Robin and Marian» girato qui da Sean Connery nel 1975. Molti fecero le comparse e lui lo ricorda ancora. Non posso che ascoltarlo con rispetto e curiosità. C’è sempre da imparare.
Sui tetti della Chiesa di San Saturnino.
Qui servono cartine e GPS, visto che mancano i segnali, specie dove servon
Ce ne andiamo presto, con le provviste ordinate ieri al nostro oste, comprese due bottiglie d’acqua congelata, un vecchio trucco imparato sulla Via de la Plata. Stanno irrigando i campi e le lumache, in fila indiana, attraversano il sentiero. Facciamo attenzione a non calpestarle. La prima parte non presenta problemi, ma già dopo l’incrocio con la strada i segnavia ci fanno sbagliare. Mangiamo un panino al secondo incrocio con la strada NA (Navarra) – 6140, sotto dei pini, per cercare di allentare la tensione. Passa l’unico «essere vivente» della tappa: un ciclista che non saluta. Nonostante sia caldissimo l’acqua non si scongela e non possiamo bere che qualche goccia. Teo tira fuori dallo zaino gli ombrellini portatili. Cammino con la testa riparata dal sole, ma non riesco ad usare i bastoni e il polpaccio destro comincia a tirare. I cartelli con la croce di Caravaca scompaiono di nuovo e finiamo tra le erbacce, lungo un canalone.
Sotto il sole della Navarra.
Nei momenti di difficoltà arriva sempre l’aiuto che chiedo a San Giacomo
Teo individua un tracciato per «tagliare» tra i campi fino a Marcilla. Ritroviamo i cartelli del cammino lungo i rettilinei, ma nulla agli incroci. Tutto regolare! Siamo senza acqua ed è proibito perdersi. Passiamo accanto ad un vecchio casolare abbandonato, con un’immagine di San Michele Arcangelo sulla facciata. Provo a farmi forza, ma non basta neppure l’Arcangelo. Prego Santiago che ci mandi qualcuno. Mentre trascino i piedi nella polvere arriva una «furgoneta» (un furgoncino). La guida Jesús Maria: per me è un «segno». Chiedo dell’acqua e lui subito mi porge una bottiglietta fresca. Saputo che siamo italiani ci dice che ha visitato Roma, ma che gli piace di più Gerusalemme!
«Va bene, ma quanto manca a Marcilla?» – gli chiedo.
«Un chilometro!» – mi risponde.
«Ma il GPS dice tre!» – ribatto.
Al che lui, vedendomi in difficoltà, si offre di portarci fino alla strada.
La segnaletica lungo i rettilinei.
Al nostro arrivo a Marcilla il personale deve ancora rientrare dalla pausa pranzo
L’hotel «Villa Marcilla» è molto bello. Specie il parco. Ci tocca lo strazio del check-in automatico, perché non c’è nessuno. Lo scanner, come sempre, non riesce a leggere la carta d’identità digitale italiana.
«Arriva il receptionist: siamo salvi!» - mi fa Teo, mentre sta andando a far incetta di bevande al distributore automatico.
La stanza è grande e arredata in stile shabby chic. Unica pecca le zanzare, che mi mangiano viva, una volta uscita dalla vasca.
«Chiudi tutte le finestre!» – urlo a Teo.
«Arrivano due donne velate, saranno le cuoche?» – mi domanda lui, mentre barrica la stanza.
«Speriamo» – gli rispondo.
Per fortuna è così: la madre va in cucina, mentre la figlia gestisce la sala. Per cena «piatti combinati», un secondo a scelta con patatine e uova fritte: insomma, la solita mattonata!
Elena Casagrande – [email protected]
(La seconda puntata sarà pubblicata mercoledì 18 giugno)
Il parco dell’Hotel Villa Marcilla.