El Camino de la Vera Cruz/ 5 – Di Elena Casagrande

Da Calamocha, famosa per il prosciutto, saliamo verso il punto più alto del Cammino, per scendere poi nella valle del fiume Alfambra, tra le sue terre rosse

Col nostro amico pastore.
Link alla puntata precedente.

 
 Grazie a dei villeggianti troviamo un bel posticino per il «desayuno» (colazione) 

Questa notte ho dormito poco: colpa dei lampi e dei tuoni. Mi rifaccio all’alba, complice la sveglia che non suona. 
Così finisce che iniziamo tardi. Lungo la via di quella che fu la «Ferrocarril Central de Aragón» (ferrovia centrale dell’Aragona), la scultura colorata di un picchio in legno dà il benvenuto al villaggio di Villanueva de Jiloca, dove non gira anima viva. 
Lo stesso a San Martín del Río. Prima di entrare a Báguena fermiamo due ragazzi a passeggio per chiedere se in paese ci sia un bar aperto. 
Sono in vacanza e ci accompagnano in un posticino dove Teo si sbizzarrisce. 
Ordina di tutto: 3 fette di «morcilla» (sanguinaccio), «tortilla» (frittata) di patate, stuzzichini gamberi e maionese ed una fetta di «bizcocho casero» (focaccia dolce fatta in casa). 
 
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Una parte del bancone del bar di Báguena.

 
 La Ruta de la Vera Cruz e il Cammino del Cid passano di qui tra l’indifferenza dei   paesani 

Quando si trova un ristoro da queste parti, bisogna approfittarne perché la zona è scarsamente abitata e ci sono pochi esercizi commerciali. Una signora, quando arriviamo a Luco de Jiloca, ci avvicina e ci chiede se siamo pellegrini. 
«Finalmente qualcuno che riconosce due pellegrini!» – le dico.
È di Valencia e chiacchiera volentieri. Ha acquistato una casa per le vacanze qui e, col tempo, è stata accolta nella comunità. Va detto, infatti, che gli aragonesi di questi parti sono un po’ «montanari». 
Tanti giovani si sono trasferiti a Saragozza ed i residenti sono abbastanza chiusi e riservati. In zona passa anche il Cammino del Cid, ma nessuno sembra farci caso.
 
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Lungo il fiume Jiloca prima di Luco.

 
 Il ponte sul Pancorbo venne costruito lungo la via romana per Teruel e Sagunto 

Mancano circa 8 km a Calamocha. Sul cammino ci imbattiamo nel ponte di Entrambasaguas sul Río (fiume) Pancorbo. 
Ricostruito nel Medioevo, probabilmente su un preesistente ponte romano lungo la via che univa Calatayud a Teruel e Sagunto (dove si poteva agganciare la Via Augusta), ha davvero un aspetto imponente. 
A pochi mesi dall’inaugurazione della ferrovia, nel giugno del 1904, affondò il vicino ponte ferroviario di ferro, proprio mentre transitava il treno. 
Nel deragliamento morirono 5 persone, tra cui dei padri «escolapios» (scolopi). Quest’incidente entrò nell’immaginario collettivo dell’epoca ed è ancora ricordato in paese.
 
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Sul ponte vecchio di Entrambasaguas.

 
 D’estate a Calamocha l’aria puzza e si muore dal caldo, in inverno si muore dal   freddo 

C’è un caldo impossibile a Calamocha. E pensare che, d’inverno, qui si battono i denti dal freddo. Nel 1963 la temperatura della città segnò i 30 gradi sotto lo zero. Con Teruel e Molina de Aragón, Calamocha forma parte del «triangolo del freddo»
La zona è famosa per gli allevamenti di maiali con cui si fa il prosciutto dolce di Teruel. Ci sono talmente tante porcilaie che, col caldo, l’aria è irrespirabile. 
Le rivendite di prosciutto si susseguono lungo la statale, ma non mi fanno gola: chissà perché! Raccogliamo le forze e, per la cena, prenotiamo un localino «trendy» vicino alla chiesa. 
Verdurine fritte con miele, tonno marinato e coda di toro il nostro menù: servono energie per domani.
 
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Rivendita di prosciutti a Calamocha.


 Oggi saliamo a quota 1.400 metri, il punto più alto del Cammino della Vera Croce 

Partiamo molto prima dell’alba. Mi tocca indossare i pantaloni lunghi,per colpa dell’eritema solare sulle gambe: anche stavolta pago dazio.
Raggiungiamo Bañon mentre sta sorgendo il sole. Dietro i campi color argento fanno capolino le pennellate rosa dell’aurora.
Scesi dal paese finiamo in una zona brulla. Un camoscio segnala che la «sierra» (zona montagnosa) non è lontana. Oggi saliremo fino a 1.400 metri, il punto più alto del cammino. 
Dopo un tratto di sentiero sbuchiamo in una pineta: è un labirinto. I segnali del Camino de la Vera Cruz sono bassi, di metallo e si scorgono a fatica tra i rami. 
Ma in cima la vista si apre sulla meseta di Teruel. Un contadino sta arando. I pali in legno col nostro segnavia prendono il posto dei cartelli metallici. 
Ma poco dopo non si scorgono più. Ecco il perché: molti sono divelti, spezzati o gettati a lato strada. 
 
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Verso il punto più alto del cammino.

 
 Sull’altopiano il vento contrario ostacola la marcia in uno scenario comunque   fantastico 

Il vento sferza l’altopiano e il sole picchia. L’unico riparo, per una pausa, è una pila di balle di fieno. Crema solare, due biscotti e poi di nuovo in marcia, facendo attenzione a non sbagliare agli incroci. 
Ci aiutiamo con cartine e GPS. Per quanto possibile cerchiamo di rialzare e conficcare i segnavia integri. Che disastro. Mi consolo guardando l’immensità dei campi gialli di grano che, dopo l’aratura, diventano color arancione: sono spettacolari.
Lungo il cammino alcune rocce sedimentarie, costellate di clasti, attirano la mia attenzione. E i miei ricordi corrono alla professoressa di scienze del liceo e all’interrogazione sulla «classificazione delle rocce» nel giorno del mio compleanno.
 
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I campi appena arati.

 
 L’oasi nel deserto di Argente è in fondo alla discesa, tra erinacee ed ometti di pietra 
Dopo un su e giù interminabile nell’altopiano, finalmente scorgiamo il villaggio di Argente, una specie di oasi nel deserto. Scendiamo a valle da una costa spoglia, popolata solo da strane piante, simili a ricci spinosi verdi. 
Sono enormi ciuffi coriacei, detti «cuscini delle monache», che si difendono così dal vento, dalla siccità e dagli animali erbivori.
Tutt’intorno quel che resta dei muretti a secco, tirati su per proteggere gli orti, dal vento.
La pensione che abbiamo prenotato è vicina, lungo la strada. 
Sono felice. Questa, per me, è una delle più belle tappe del cammino, nonostante la «moria» dei segnali della Ruta de la Vera Cruz. 
 
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La discesa verso il paese di Argente.

 
 Un pastore ambientalista è contento del suo lavoro, nella natura, in quest’epoca di   asfalto 
La luna rossa di ieri notte ci accompagna ancora, nel buio pesto prima dell’alba, fino a Camañas. Abbiamo appuntamento al caffè «El Horno» con l’alguacil (funzionario comunale) di Camañas. 
Vuole mostrarci l’eremo romanico de la Virgen del Consuelo e le sue travi dipinte con dragoni e cavalieri medievali. Ma di lui «ni rastro» (neanche l’ombra), per cui non ci resta che proseguire «a bocca asciutta». 
Dopo il Peirón de San Miguel (la colonna di San Michele) - una specie di «croce di confine» con Santo, molto diffusa in Aragona - incontriamo un pastore col suo gregge. Ama la natura e il suo lavoro. 
Gli piace stare con le sue pecore, sia d’estate, all’aperto, che d’inverno, quando se ne rimane seduto nel capannone e si limita ad osservarle o ad aiutarle nel parto. Noi viviamo in «un’epoca di asfalto», ma lui no.
È appena rientrato dalla Sardegna, dove ha partecipato ad un convegno sull’ambiente. Non c’è dubbio, lui è un pastore moderno e un attivista, un innamorato della nostra bella terra.
 
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I peirones (pilastri di confine) dell’Aragona.

 
 Il vicesindaco ferma il trattore e ci chiede se abbiamo visitato la chiesetta di   Camañas 
Già che ci sono, con un sasso inchiodo una targhetta del Camino de la Vera Cruz penzolante da un paletto. Lungo la pista agricola incrociamo un trattore. Procede piano piano e, quando ci affianca, si ferma. 
Chissà cosa vorrà. Dal finestrino sbuca un ragazzo sorridente. Ci chiede se stiamo percorrendo il cammino della Vera Cruz e come sta andando. 
Stupiti di quest’inaspettato interessamento, gli diciamo che è un cammino duro, ma molto bello. Poi, però, gli facciamo presente che tanti segnavia del cammino sono spezzati e gettati a terra. Lui scuote la testa e poi ci informa che c’è un accordo tra i comuni della “comarca” (insieme di più municipi) per sistemarli.
«Ma avete visto l’Ermita de Camañas?» – chiede.
«No. Nessuno ci ha aperto!» – gli rispondiamo.
E lui: «Peccato! Fossi passato prima in paese vi avrei fatto entrare io, sono il vicesindaco».
 
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Mentre inchiodo un segnale del cammino scardinato.

 
 Dall’altopiano della meseta scendiamo a camminare lungo il fiume Alfambra 

Tra coltivazioni di cereali e rocce argillose color rosso-arancione arriviamo ad Alfambra (il nome deriva dall’arabo «Al – Hambra» e significa «terra rossa»). 
Oggi c’è una manifestazione per bambini. Uno vomita: avrà preso un colpo di calore. Seguiamo la «Senda Fluvial del Río Alfambra» (sentiero fluviale del fiume Alfambra). La cartellonistica è stinta e il sentiero non è tenuto bene. 
Almeno ci sono i pioppi neri («los chopos cabeceros») del fiume che regalano un po’ d’ombra. Finiamo la tappa all’Hostal «Vega» di Peralejos. Di fronte c’è un’insegna: vediamo se si può bere qualcosa di fresco.
 
Elena Casagrande – [email protected]
(La sesta puntata sarà pubblicata mercoledì 16 luglio 2025)
 
Segnavia abbattuto.
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