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La postura internazionale dell’Iran nell’era Rouhani/ 3

Un dossier aperto in occasione della visita del presidente iraniano in Italia – Terza parte. Di Gabriele Iacovino e Francesca Manenti

 Il riavvicinamento con la Comunità Internazionale 
La grande scommessa del Governo Rouhani per cercare di riallacciare i rapporti con la Comunità Internazionale è stato dare nuovo impulso ai colloqui sul programma nucleare con il gruppo dei così detti P5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania).
Iniziate nel novembre 2013 con la firma di un accordo quadro di massima all’interno del quale portare avanti i negoziati, le trattative sono proseguite per circa un anno e mezzo, fino al raggiungimento dell’intesa definitiva (Joint Comprehensive Plan of Action – JCPOA) lo scorso luglio.
Questo periodo è stato fondamentale per le diverse delegazioni per cercare di trovare l’ottimale bilanciamento tra la volontà di rimodulare l’attività nucleare di Teheran e scongiurarne la natura militare, da una parte, e la rivendicazione del diritto di sviluppare un programma di ricerca nucleare a scopo civile, dall’altra.
La gestione delle trattative è stato un dossier particolarmente delicato per il Governo Rouhani, il quale ha dovuto coniugare la necessità di trovare un punto di incontro con le richieste dei negoziatori internazionali con il pericolo che un atteggiamento giudicato troppo remissivo da parte dell’establishment tradizionalista potesse portare ad un giro di vite nella libertà di manovra concessa ai propri negoziatori.
Tale necessità ha inevitabilmente rallentato lo sviluppo dei colloqui. Tuttavia, benché lunghi e contrassegnati da una serie di rinvii rispetto alle scadenze inizialmente previste, i colloqui hanno portato alla conclusione di un accordo giudicato soddisfacente per entrambe le parti: un sostanziale ridimensionamento dell’attività e della tecnologia impiegata nel programma di ricerca, da parte iraniana, in cambio del sollevamento, progressivo, delle sanzioni imposte all’Iran a causa della sua attività nucleare, da parte della Comunità Internazionale.
 
L’atteggiamento di apertura adottato dall’Iran in questa occasione ha permesso al Governo Rouhani di conseguire due importanti risultati: la prospettiva del termine della marginalizzazione economica fino ad ora conosciuta dal Paese e il rilancio dello status internazionale dell’Iran.
Le lunghe trattative che hanno portato alla firma del JCPOA hanno rappresentato sia per il governo iraniano sia per gli altri Stati coinvolti un’importante opportunità per rispolverare un dialogo che negli ultimi trent’anni era apparso quanto mai complicato. Il negoziato, infatti, ha inaugurato un primo, per quanto cauto e assolutamente graduale, processo di riavvicinamento tra le parti, nonché un proficuo banco di prova per testare l’efficacia e la funzionalità di un meccanismo di collaborazione che, se funzionante, sarebbe stato applicabile anche ad altre occasioni.
Questa reciproca predisposizione al dialogo è inevitabilmente stata favorita dalle particolari contingenze internazionali verificatesi negli ultimi due anni: da un lato, il rinvigorimento della minaccia legata al terrorismo internazionale di matrice jihadista rappresentata da Daesh, dall’altro, la scommessa dell’Amministrazione Obama nel voler aprire una finestra di dialogo con il Governo Rouhani.
 
A partire dal 2014, infatti, la nascita di Daesh in Iraq e l’espansione dei miliziani jihadisti sia nel teatro iracheno sia in quello siriano hanno esacerbato la grave crisi di sicurezza che attraversava la regione ormai da diversi anni.
La forza del nuovo gruppo e la portata globale della minaccia da esso rappresentata hanno creato una puntuale convergenza di interessi tra il governo iraniano, preoccupato per la spirale di violenza alle porte di casa, e quegli Stati interessati a scongiurare l’emersione di un nuovo attore nel panorama del terrorismo internazionale, tra cui Stati Uniti ed Unione Europea.
Il comune obiettivo di arginare l’avanzata del gruppo jihadista tra Siria e Iraq ha reso l’Iran, per la prima volta in oltre tre decenni, un potenziale interlocutore e fattore di stabilizzazione all’interno di una regione tanto critica quanto strategica per gli interessi internazionali come il Medio Oriente.
In un momento così delicato per la sicurezza internazionale, dunque, il governo iraniano ha trovato la Comunità Internazionale particolarmente predisposta a cercare dei tavoli e dei metodi di discussione che potessero agevolare il coinvolgimento di Teheran su temi di interesse comune.
Il successo del negoziato sul nucleare, da un lato, e il disfacimento degli equilibri in Medio Oriente, dall’altro, hanno permesso al Presidente Rouhani di presentare la solidità istituzionale dell’Iran non come una minaccia, ma come un’opportunità per la stabilizzazione della regione.
In questo modo l’Iran è diventato a tutti gli effetti un attore da interpellare, da coinvolgere e di cui tener conto non solo per la gestione delle crisi attuali, ma soprattutto per la definizione dei futuri equilibri all’interno dello scenario mediorientale.
Nonostante ciò, Teheran continua a guardare a questo processo con estrema attenzione. Per quanto la possibilità di aprire un dialogo con gli interlocutori internazionali, anche su temi altri rispetto al nucleare, rappresenti per Teheran un’effettiva occasione per modificare in proprio favore l’assetto attuale delle alleanze nella regione, la diffidenza che per anni ha caratterizzato il rapporto con alcuni Stati occidentali sembra spingere il governo iraniano a muoversi con grande prudenza.
 
Una simile cautela è riscontrabile soprattutto nelle relazioni con Washington: l’antagonismo e la narrativa ostile adottata da entrambe le parti per quasi quarant’anni, infatti, rappresentano ancora oggi un pesante fardello sulle relazioni bilaterali.
Per quanto ci siano state delle convergenze sia in materia di nucleare sia di lotta all’estremismo in Medio Oriente, persiste una forte diffidenza reciproca tra i due Stati che rende particolarmente incerto il futuro dei rapporti bilaterali.
Nell’ultimo anno e mezzo, infatti, la capacità dei due governi di portare avanti un dialogo costruttivo su tematiche di interesse comune è stato soprattutto frutto di un calcolo pragmatico sui vantaggi che questa collaborazione avrebbe portato ad entrambi gli esecutivi, seppur per ragioni differenti.
Per il Governo Rouhani, come già detto, il dialogo con Washington è stato funzionale a liberare il Paese dalla morsa delle sanzioni internazionali e a provare a capitalizzare in termini di consenso interno i benefici che l’uscita dalla marginalizzazione economica sembrerebbe destinata a generare.
L’Amministrazione Obama, dal canto suo, ha visto nel reinserimento dell’Iran nello scenario internazionale un duplice obiettivo: in primis la possibilità di inserire la firma dello storico accordo sul nucleare nel lascito politico, altrimenti piuttosto scarno, dell’attuale Presidente americano; in secondo luogo, riabilitare agli occhi della Comunità Internazionale un attore che potrebbe rivelarsi di grande aiuto nella gestione dei difficili equilibri in Medio Oriente.
 
In un momento in cui lo scenario mediorientale non è più interesse strategico primario per la politica statunitense (ormai focalizzata sul Pacifico), Washington ha cominciato a guardare all’Iran come ad un interlocutore essenziale per la definizione dei futuri equilibri regionali.
Questa tendenza sembra aver trovato un primo riscontro nella recente istituzione del tavolo negoziale per la discussione del futuro della Siria, apertosi a Vienna a metà novembre.
Per la prima volta dallo scoppio della guerra civile in Siria, nel 2011, infatti, il governo iraniano è stato formalmente invitato dagli Stati Uniti a far parte dei Paesi incaricati di discutere sulla possibile risoluzione del conflitto siriano.
Nonostante la posizione di Teheran sia in contrasto con la politica fino ad ora adottata dall’Amministrazione Obama, in particolare riguardo alla legittimità dell’attuale Presidente Bashar al-Assad, la volontà di Washington di coinvolgere comunque l’Iran nella discussione del dossier siriano è stato un chiaro indicatore di quale sia il ruolo che gli Stati Uniti cominciano ad attribuire al governo di Teheran.
 
Questo atteggiamento ha inevitabilmente avuto ripercussioni, seppur modeste, sulla percezione iraniana nei confronti della Casa Bianca, contribuendo a creare un clima favorevole al dialogo.
La maggior malleabilità della politica statunitense nei confronti di Teheran, infatti, non solo è stata interpretata come un segno di maggior comprensione da parte di Washington delle dinamiche interne all’Iran, ma ha soprattutto attenuato quella sensazione di accerchiamento che aveva in passato portato Teheran a cercare in ogni modo di colpire gli interessi degli Stati Uniti nella regione.
Il venir meno di questa sensazione ha inevitabilmente contribuito a portare l’Iran su posizioni maggiormente cooperative nei confronti della Casa Bianca, seppur in modo non strutturato, ma su dossier ad hoc e temporanei.
Tuttavia, l’imminente termine dell’Amministrazione Obama potrebbe rappresentare un fattore di criticità in questa direzione. Se le prossime elezioni presidenziali americane, che si terranno nel novembre 2016, dovessero vedere la vittoria di quelle anime all’interno della classe politica statunitense, sia democratiche sia repubblicane, ostili alla politica di dialogo con la Repubblica Islamica, infatti, i timidi passi in avanti compiuti fino ad ora potrebbero conoscere una battuta d’arresto.
Già in occasione del sopracitato accordo sul nucleare, infatti, era emersa sia al Senato che al Congresso la presenza di una componente trasversale ai due partiti contraria all’apertura diplomatica verso il governo iraniano.
In un rapporto ancora così fragile come quello appena riaccennato tra Teheran e Washington, infatti, un’eventuale ripresa della retorica ostile ed antagonistica da parte della Casa Bianca porterebbe inevitabilmente il governo iraniano a fare un passo indietro e rispolverare quella narrativa anti-americana che ha connotato per oltre trent’anni i rapporti bilaterali.
 
Ben diverse, invece, appaiono le prospettive per il rilancio nell’immediato futuro dei rapporti tra Teheran e l’Europa, su cui il governo iraniano sembra aver puntato per rafforzare il neo-ritrovato protagonismo internazionale.
Il ruolo giocato dall’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, per il raggiungimento dell’accordo sul nucleare, infatti, ha ulteriormente rafforzato la fiducia del governo iraniano nel possibile sviluppo di un solido rapporto con Bruxelles.
Tuttavia, l’attuale assenza di una voce unitaria europea in merito alle principali questioni in Medio Oriente sta rallentando lo sviluppo di una cooperazione più strutturata anche in questa direzione.
Al momento, dunque, il rapporto tra Iran e Vecchio Continente non è tanto portato avanti dalla diplomazia di Bruxelles, ma piuttosto strutturato sul rilancio delle relazioni bilaterali con i singoli Stati europei.
Già nei giorni immediatamente successivi alla firma del JCPOA, infatti, diverse delegazioni ministeriali provenienti da tutta Europa hanno fatto visita a Teheran, attratte dalle interessanti prospettive che il rafforzamento delle relazioni con l’Iran potrebbe portare nelle diverse capitali.
Un primo punto da sviluppare per il consolidamento dei rapporti è sicuramente il dossier economico, favorito dalla dimensione (circa 80 milioni di persone) del mercato interno iraniano, dalla ricchezze energetica del Paese (con riserve di circa 158 milioni di barili di petrolio e 34 miliardi metri cubi di gas) e dall’interesse della comunità imprenditoriale di attrarre nuovi investimenti dall’estero.
Con il sollevamento delle sanzioni, dunque, i Paesi europei stanno cercando di recuperare quella relazione privilegiata in termini di scambi economici che il Vecchio Continente ha sempre avuto con l’Iran prima dell’irrigidimento delle disposizioni internazionali.
Da parte sua, l’Iran guarda con grande interesse al corteggiamento che le diverse diplomazie europee hanno iniziato ormai da sei mesi a questa parte.
Il ravvivarsi della partnership con diversi interlocutori europei, infatti, permetterebbe a Teheran, da un lato, di limitare la propria dipendenza dal rapporto con colossi quali la Cina e la Russia, negli ultimi anni unici possibili partner per il Paese, dall’altro di creare un gancio con il quale provare a coinvolgere le diplomazie europee anche su temi di natura diversa, ma di interesse comune.
In questo contesto, il governo iraniano, consapevole della sua posizione strategica nel cuore del Medio Oriente e porta di accesso per l’Asia Centrale, sa di potersi presentare agli attori europei come partner importante per la gestione di questioni quali la lotta al traffico di droga, la gestione dei flussi di immigrati e di rifugiati (che dalla regione partono verso l’Europa) e la lotta all’estremismo religioso, ad oggi punti dolenti per le agende politiche di entrambe le parti.
 

 
 Focus Italia 
La politica di apertura del Governo Rouhani e i risultati internazionali fino ad ora raggiunti rappresentano un’importante opportunità per il nostro Paese. Il legame storico che da sempre unisce Teheran e Roma, infatti, rende l’Italia un naturale partner privilegiato per un Iran ormai sempre più proiettato verso il rafforzamento dei rapporti con l’Europa.
Mantenutasi viva, seppur discreta, anche durante gli anni delle sanzioni, questa relazione potrebbe ora diventare una vera e propria partnership strategica attraverso la quale rilanciare il ruolo di entrambi i Paesi nello scenario internazionale.
Quella tra Iran e Italia, infatti, è una sinergia potenzialmente a tutto tondo, che riguarda il piano economico, culturale ma anche, o soprattutto politico.
Sul piano economico, l’Italia fino al 2012 è stato il secondo Paese in Europa per scambi commerciali con Teheran (dopo la Germania). Una simile attività si è ridimensionata durante il periodo delle sanzioni e della Presidenza Ahmadinejad, nonostante, rispetto agli altri attori europei e agli Stati Uniti, le comunicazioni tra Teheran e Roma abbiano continuato ad essere piuttosto costanti.
Ora, il sollevamento delle sanzioni sembrerebbe destinata a dare nuovo impulso all’interscambio tra i due Paesi. La visita, a fine novembre, di una nutrita delegazione di imprese, associazioni imprenditoriali e gruppi bancari italiani (appartenenti a settori strategici quali energia, infrastrutture, trasporti, automotive) ha messo in evidenza il comune interesse di sondare le reali opportunità di sviluppo commerciale e industriale, nonché di investimenti, che si apriranno nei prossimi anni.
 
In un Paese di quasi 80 milioni di abitanti, con una nuova generazione dinamica, pronta a guardare verso l’estero per trovare nuovi stimoli alla crescita interna, il modello italiano potrebbe trovare un fertile terreno su cui rafforzare la propria presenza nel Paese.
Inoltre, il rafforzamento del legame e della presenza in Iran permetterebbe al nostro Paese di avere a tutti gli effetti sia un ponte di lancio verso il Medio Oriente, che rappresenterebbe comunque un mercato di circa 400 milioni di persone, sia una nuova strada verso i ricchi mercati dell’Asia Centrale.
 
Benché il dossier economico rappresenti senza dubbio una voce importante nelle rispettive agende, tuttavia, il cambio di passo adottato dal governo iraniano negli ultimi due anni dà all’Italia la possibilità di far fare alla relazione con l’Iran un salto di qualità, affiancando all’indispensabile dimensione economica una più sinergica e strutturata comunicazione in ambito politico.
Cordiali interlocutori anche nei momenti più difficili della storia delle relazioni tra la Repubblica Islamica e l’Occidente, Roma e Teheran si trovano ora nelle condizioni di potersi ritagliare un ruolo di maggior prestigio all’interno della Comunità Internazionale.
 
Se, nel 2004, la scelta del governo italiano di rinunciare ad avere un posto tra i 5+1 nel dialogo sul nucleare, di fatto, ha escluso l’Italia dal principale tavolo di trattativa Iran-Comunità Internazionale degli ultimi dieci anni, oggi il nostro Paese ha l’opportunità di recuperare terreno e cercare non solo di recuperare, ma, soprattutto, di sugellare il rapporto privilegiato con il governo iraniano.
In primo luogo rafforzando il già avviato rapporto people-to-people, grazie al quale incentivare la comprensione reciproca e, dunque, incentivare la comunicazione e la sinergia tra i due Paesi.
Inoltre, dati i cordiali e consolidati rapporti bilaterali, l’Italia potrebbe diventare la porta di accesso per l’Iran verso l’Europa, accreditandosi come mediatore di riferimento nei rapporti, tra Teheran e Bruxelles.
Tale ruolo potrebbe rivelarsi fondamentale nella definizione di un’agenda congiunta nella quale evidenziare le priorità in termini di sicurezza internazionale, con particolare riferimento alle crisi in Medio Oriente.
In questo modo il nostro governo potrebbe, da un lato, cercare di farsi promotore della formulazione di una linea politica unitaria a livello UE riguardo alle questioni di estrema urgenza sullo scenario mediorientale, dall’altro assumerebbe un ruolo, se non di leadership, per lo meno di rilievo nella gestione di teatri di crisi, i cui effetti si riverberano inevitabilmente sulla sicurezza del Mediterraneo e , dunque, sui nostri interessi nazionali.
 
Ce.S.I.
(Continua)
(Seconda parte)

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