Festa della Repubblica 2025, l’intervento del sindaco Ianeselli

«La Costituzione ci sollecita a porre rimedio alla situazione dei 60mila trentini a rischio povertà, a garantire il diritto alla salute, a contrastare l’emarginazione…»

Care cittadine, cari cittadini, autorità,
La nostra Repubblica è nata oggi, 79 anni fa, da un referendum istituzionale. È figlia dunque della partecipazione, della scelta convinta degli italiani, che andarono alle urne in massa – l’affluenza sfiorò il 90 per cento - e decisero di archiviare per sempre la monarchia sabauda. 
Se è vero che la Repubblica trova la sua premessa nella Resistenza antifascista, è innegabile che fu la mobilitazione popolare post bellica a renderla possibile, a concretizzare un sogno che altrimenti sarebbe rimasto una visione astratta.
La riflessione di oggi non può che iniziare da qui, ovvero dalla partecipazione come fondamento della democrazia. 
Dovrebbe essere un principio scontato, ma sappiamo che non lo è più. Lo dimostrano il preoccupante astensionismo registrato nelle ultime tornate elettorali e i recenti, pericolosi appelli a disertare i seggi, come se il voto non fosse un diritto da difendere e insieme un dovere da onorare. 
Come se la possibilità di votare non fosse ciò che distingue un cittadino da un suddito.
 
Sudditi di un re noi italiani lo siamo stati fino al giugno 1946. Poi, grazie a una delle più straordinarie svolte della nostra storia, abbiamo imboccato una strada diversa. Avevamo disimparato cosa fossero le elezioni, sostituite nel Ventennio con i plebisciti. 
Avevamo relegato nella clandestinità il dibattito pubblico, il confronto politico, il pluralismo. 
Conclusa la guerra, superato l’incubo del fascismo, l’Italia ha voltato pagina grazie al suffragio universale, esteso finalmente anche alle donne, e all’entusiasmante lavoro della Costituente, che ha dato al Paese una nuova bussola democratica, nuovi strumenti di navigazione. 
 
Oggi assistiamo non di rado al tentativo di svincolare la politica dal dettato costituzionale, che viene banalizzato o considerato un relitto del passato. 
Eppure i principi della Carta, soprattutto quelli fondamentali, hanno una caratteristica che sorprende a ogni rilettura: sono sempre un po’ più avanzati del punto in cui ci troviamo, come se si spostassero in avanti a ogni tentativo di raggiungerli. Sono generativi, inesauribili, invitano a uno sforzo continuo di miglioramento, hanno il potere di farci sentire insoddisfatti, non ancora arrivati al traguardo. 
Del resto solo le dittature si autodefiniscono perfette e sono impermeabili alle critiche. 
È invece propria della democrazia la consapevolezza di essere incompiuta, all’apparenza fragile, ma comunque superiore a ogni altra forma di governo conosciuta.
 
Come dichiarò il giurista Piero Calamandrei nel 1955, in un famoso discorso pronunciato davanti agli studenti universitari, ogni Costituzione è per sua natura polemica: «Polemica, di solito, contro il passato (...) contro quella che era la situazione prima della Repubblica», ma anche «contro il presente, contro la società presente», perché non sono stati ancora rimossi del tutto «gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana», perché «la pari dignità sociale» dei cittadini è spesso solo teorica, perché il rivoluzionario principio dell’autolimitazione della sovranità necessaria ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni viene sempre più spesso contestato dalla spregiudicatezza dei nuovi nazionalismi. 
 
Anche in questo momento la Costituzione, figlia del voto di quel lontano 2 giugno, sta polemizzando con noi. 
Ci rimprovera perché siamo timidi nel condannare e, ancor più, nel sanzionare chi ricorre alla guerra come metodo per risolvere le controversie, chi ordina i raid sulle città ucraine, chi brucia i bambini di Gaza, chi compie violenze sui civili in Sudan. 
La Costituzione ci sollecita a porre rimedio alla situazione dei 60mila trentini a rischio povertà, a garantire nella sostanza il diritto alla salute, a contrastare le discriminazioni e l’emarginazione. 
La Costituzione ci intima di vigilare sui tentativi di comprimere la nostra libertà di dissentire e di protestare. 
La Costituzione ci ricorda che l’attività economica «non può essere in contrasto con l’utilità sociale», che il profitto non può andare a scapito della «dignità umana».
 
Cari concittadine, cari concittadini, se oggi partecipate a questa festa è perché avete capito, come Jean Monnet, che se «niente è possibile senza gli uomini», «niente dura senza le istituzioni». 
Abbiamo dunque cura della nostra Repubblica, accogliamo senza riserve i rimbrotti della nostra preziosa Costituzione, di cui dobbiamo farci promotori e difensori, visto che in quel testo sono confluite le idee dei fratelli Rosselli, uccisi dai sicari del duce in Francia, le visioni degli esuli di Ventotene, le aspirazioni dei partigiani. 
 
Vorrei a questo proposito ricordare le parole scritte agli amici prima di morire dal diciannovenne Giacomo Ulivi, studente universitario e partigiano giustiziato dalle brigate nere di Salò il 10 novembre 1944: «Credetemi, la cosa pubblica è noi stessi; la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo. Ogni sua sciagura, è sciagura nostra. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della cosa pubblica, insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che i crimini fascisti sono accaduti perché non ne avete più voluto sapere».
 
Noi vogliamo sapere, invece, ed essere vigili. Vogliamo alzare la voce e impegnarci, anche di fuori degli algoritmi della rete, anche con il voto, anche appropriandoci dello spazio pubblico che, grazie alla Resistenza e alla scelta del 2 giugno 1946, oggi non può che essere il luogo della nostra libertà, della difesa della giustizia, della pratica concreta della solidarietà. 
Buona festa della Repubblica a tutti voi!