Michele Caldonazzi, «La danza della morte» – Di Daniela Larentis

Ultimo capitolo della trilogia tra giallo, memoria storica e paesaggi trentini – Intervista all’autore

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Con «La danza della morte» (Reverdito, 2024), Michele Caldonazzi conclude una trilogia che ha saputo unire il respiro del romanzo d’avventura con la profondità della riflessione storica e naturalistica.
Dopo «La caccia rossa» (Reverdito, 2021) e «Le porte degli inferi» (Reverdito, 2022), l’autore trentino porta a compimento un percorso narrativo dove passato e presente si intrecciano tra simboli, enigmi e ambientazioni alpine che diventano parte integrante della storia.
Le montagne, infatti, non sono mai semplici sfondi: vivono e respirano accanto ai personaggi, guidando il lettore tra indagini, memorie e tensioni sospese nel tempo.
Presentato nei mesi scorsi alla Biblioteca della Montagna - SAT di Trento, «La danza della morte» ha confermato l’interesse per una narrativa capace di unire rigore documentale e gusto per il mistero. Un’opera che non solo chiude un ciclo, ma apre nuove possibilità espressive per uno scrittore che fa del legame con il territorio una cifra narrativa ben riconoscibile.
 
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Cenni biografici.

Michele Caldonazzi, naturalista originario di Trento, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo «Giovanni Prati» e una laurea in Scienze Naturali all’Università di Pavia.
Nel 1987 ha fondato con altri colleghi la società di ricerca, progettazione e divulgazione ambientale ALBATROS, presso la quale continua a svolgere la sua attività professionale. È autore di numerose pubblicazioni sia a carattere scientifico che divulgativo.
La sua formazione scientifica, unita all’amore per le montagne trentine, si riflette chiaramente nella sua produzione letteraria. Nella trilogia composta da La caccia rossa, Le porte degli inferi e La danza della morte, le montagne non sono semplici scenari ma elementi centrali della narrazione, che influenzano ambientazioni, atmosfere e sviluppo della trama.
Con Le porte degli inferi Michele Caldonazzi ha vinto il premio della giuria al concorso letterario Milano International 2024.
Abbiamo avuto occasione di rivolgergli alcune domande.
 
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Questo è il terzo libro di una trilogia: c’è un fil rouge che lega i tre volumi e ne accompagna l’evoluzione tematica e narrativa?

«Sì, il filo conduttore è rappresentato dai due protagonisti principali, il biologo Andrea Bianchi e la sua compagna Ilenia Campanini, attorno ai quali ruotano tutte le vicende.
«La loro presenza costante permette al lettore di seguire un’evoluzione non solo narrativa ma anche personale dei personaggi, immersi ogni volta in situazioni avventurose e dal tono investigativo.
«C’è una coerenza di fondo anche nelle atmosfere e nei temi: ciascun romanzo è un giallo che si muove tra mistero e azione, con elementi storici e simbolici ricorrenti.»
 
Per la creazione di questi personaggi si è ispirato a figure reali? Come sono nati?

«No, i personaggi sono frutto della mia fantasia. Tuttavia, l’idea di una coppia protagonista si ispira a una tradizione narrativa ben consolidata: basti pensare a Sherlock Holmes e al dottor Watson, o a tante altre coppie letterarie che funzionano perché complementari.
«La presenza di due figure principali consente di creare dinamiche interessanti, confronti di carattere e punti di vista differenti, il che arricchisce la trama e la rende più viva e coinvolgente.»
 
Può offrirci, senza svelare troppo, qualche anticipazione sulla trama del libro?

«La trama ruota attorno a un oggetto misterioso, la cui natura si chiarisce già nelle prime pagine.
«Questo oggetto diventa il centro di una ricerca che coinvolge vari personaggi, tra cui i due protagonisti, che si trovano invischiati loro malgrado in una vicenda carica di tensione.
«Le persone interessate al reperto non esitano a ricorrere alla violenza pur di impadronirsene, e ciò rende il percorso dei protagonisti sempre più rischioso.»
 
La vicenda si sviluppa tra luoghi e periodi storici differenti. Come ha lavorato sull’intreccio tra spazio e tempo, e quale funzione narrativa attribuisce a questo attraversamento delle epoche?

«L’alternanza temporale è un espediente che uso sia per rendere più dinamica la narrazione, sia per dare profondità storica ai fatti narrati.
«I salti temporali permettono di inserire eventi della storia generale e locale – anche trentina – talvolta poco conosciuti, ma capaci di arricchire la storia e darle una maggiore densità culturale.
«Questo attraversamento delle epoche, inoltre, alimenta la suspense e consente di legare passato e presente in un’unica struttura narrativa coerente.»
 
Le montagne trentine, nelle sue pagine, non sono semplici sfondi: sembrano quasi personaggi silenziosi. Che legame personale ha con questi luoghi e come hanno contribuito a plasmare l’immaginario della trilogia?

«È un legame profondo, sia sul piano personale che professionale. Le montagne sono parte integrante della mia vita quotidiana: ci lavoro, le frequento nel tempo libero, le studio. Questo vissuto ha inevitabilmente influenzato la mia scrittura.
«Nel romanzo, il paesaggio non è un semplice scenario, ma un elemento attivo, con un ruolo preciso nella narrazione.
«Gli aspetti geografici, floristici e faunistici sono descritti con cura, anche grazie alla mia formazione naturalistica: volevo che animali e piante avessero dignità propria, che fossero parte del tessuto narrativo e non semplici comparse.»
 
Dopo la conclusione della trilogia, ha già in mente nuovi progetti editoriali?

«Scrivere questi tre romanzi è stata un’esperienza molto appagante. Per me la scrittura è una passione, non un’attività professionale: un modo per esprimermi e per staccare dalla routine.
«L’idea di proseguire c’è, e confesso che qualche spunto ce l’ho già. Tuttavia, richiede tempo, dedizione e uno spazio mentale adatto.
«Vedremo se riuscirò a trasformare questo desiderio in un nuovo progetto concreto.»
 
Daniela Larentis – [email protected]