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Storie di donne, letteratura di genere/ 352 – Di Luciana Grillo

Marisa Ranieri Panetta, «Le donne che fecero l’impero...» – I potenti dell’impero romano visti attraverso il ruolo giocato dalle loro mogli

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Titolo: Le donne che fecero l'Impero. Tre secoli di
            potere all'ombra dei Cesari

 
Autrice: Marisa Ranieri Panetta
Editore: Salerno 2020
 
Pagine: 264, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
 
Quando si studia la storia del passato, raramente si incontrano figure femminili, «è sempre l’età di Augusto, di Nerone, di Traiano o di Settimio Severo», invece, ad un esame più attento e profondo, ci si rende conto che molte delle mogli di re e imperatori, «in modo discreto o plateale hanno segnato il loro tempo: determinanti nel decidere la successione, nel consigliare provvedimenti e comportamenti, nell’intervenire direttamente finanziando opere pubbliche che contribuivano al prestigio del casato».
Per le donne romane «non era possibile assumere incarichi politici, far parte del senato, comandare eserciti… erano però in grado di accumulare e gestire grandi patrimoni, divorziare, partecipare alla vita pubblica, ricevere cariche sacerdotali…».
 
L’autrice apre la sua galleria di donne vissute all’ombra dei Cesari raccontando la storia di Cleopatra, ultima regina d’Egitto (per molti di noi ha il volto di Liz Taylor), che raggiunse Cesare nascosta «in un sacco che serviva ad avvolgere le coperte, chiuso con delle cinghie», secondo quanto scrive Plutarco, e si ricongiunse con lui a Roma nel 46 a.C., con «il figlio nato l’anno prima e duecento cortigiani… ricchi arredi, aromi esotici, vasellame da tavola impreziosito di gemme, per ricreare nell’Urbe l’atmosfera sontuosa della reggia alessandrina e stupire i visitatori».
Ancora Plutarco racconta che «la sua bellezza di per sé non era incomparabile o tale da stordire quelli che la vedevano, ma la sua compagnia aveva una presa irresistibile… l’aspetto, il fascino della conversazione, il suo modo di trattare con gli altri, lasciavano il segno».
 
Da Cleopatra a Livia Drusilla, altra donna vissuta in un momento difficile in cui, a parte le lotte fra avverse fazioni, i matrimoni avevano un peso rilevante.
A diciotto anni Livia era già sposata con Tiberio Claudio Nerone ed era madre di Tiberio, futuro imperatore; un anno dopo, di nuovo incinta, decise di divorziare dal marito e di sposare Ottaviano che a sua volta ripudiò la moglie Scribonia proprio nel giorno del parto.
«Gli antichi storici sono concordi nel sottolineare le virtù domestiche della più importante matrona di Roma… parca nei desideri, poco ricercata negli ornamenti, frugale nei cibi, Livia tesseva personalmente gli indumenti di lana per il freddoloso Ottaviano», mentre Giulia, figlia della ripudiata Scribonia, «viene descritta come amante del lusso, frivola, elegante; capace però di attirare consensi popolari e di contendere a Livia un ruolo di primo piano sulla scena pubblica».
 
Livia continua a organizzare matrimoni, anche tentando di far sposare proprio Giulia, rimasta vedova, con suo figlio Tiberio, ma l’imperatore gli preferisce l’anziano Agrippa e decide in seguito di adottare i due bambini che nacquero da questa unione, Gaio e Lucio, «che avrebbero aggiunto Cesare al loro nome».
Grande smacco per Livia che continuava ad incarnare l’esempio della perfetta donna romana, «casta e rigida nei costumi…» senza rinunciare all’idea che un matrimonio fra Giulia (nuovamente vedova) e Tiberio potesse rinsaldare i vincoli dei due casati e spingere Tiberio verso la conquista del potere.
E qui mi fermo, non posso negare ai lettori il gusto delle scoperte!
 
Concludo citando anche alcune delle altre «donne che fecero l’impero»: Agrippina Minore, ricordata come la vedova di Germanico, che sbarcò a Brindisi stringendo al petto l’urna con le ceneri di suo marito; Plotina, detta «sanctissima femina», moglie di Traiano, donna determinata, intraprendente e colta; infine Giulia Domna, siriaca, moglie di Settimio Severo, che la sposò quindicenne e la portò con sé in Gallia.
La loro fu un’unione riuscita, Giulia lo seguì nelle campagne militari, ritornò e soggiornò con lui in Siria, fece restaurare templi e fu assimilata a Diana su alcune monete, lo accompagnò in Egitto e visitò le piramidi.
La morte del figlio Caracalla, «che aveva amato e talvolta detestato, ma che avrebbe sempre cercato di proteggere» la prostrò, «fu scalzata dal potere quando era ancora in vita e si diede la morte con le proprie mani…» come ci dice Cassio Dione.
 
Ci sono ancora tre Giulia a lottare, erano la sorella e le nipoti Di Giulia Domna, imperatrice filosofa, decise a non mollare il potere.
L’ultima, Mamea, forse si convertì al cristianesimo e «per i Romani più tradizionalisti doveva costituire un pericolo, un vero e proprio affronto al mos maiorum».
Altre due primedonne saranno ricordate dai posteri, qualche tempo dopo, Elena, madre di Costantino, e Teodora, moglie di Giustiniano, «ma lo faranno nel nome di un’altra religione e da un’altra capitale: la Nuova Roma sulle rive del Bosforo».

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
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