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Storie di donne, letteratura di genere/ 436 – Di Luciana Grillo

Lisa Bjorkman, «Bombay Brokers - Metropoli e creatività culturale» – Ecco come si spiega una metropoli, con la radice storica e la prospettiva per il futuro

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Titolo: Bombay brokers. Metropoli e creatività culturali
Autrice (curatrice): Lisa Bjorkman
 
Traduttore: Simone Cerulli
Editore: Meltemi, 2021
 
Pagine: 646, Brossura
Prezzo di copertina: € 32
 
Sono stata più volte a Mumbai (mi piace di più dire Bombay), mi sono resa conto che è una città che contiene mille città, mille etnie, religioni, tradizioni e tanti quartieri, tanti templi…
Ho visto le vacche sacre girare liberamente, la gente che si bagnava in grandi vasconi per le abluzioni, i negozi con merci multicolore, la grande stazione coloniale da cui uscivano fiumi di persone che formavano un muro impenetrabile.
Città affascinante, il cui nome è stato cambiato nel 1995, per decisione del partito nazionalista che andò al governo. Le persone di sinistra continuano a chiamarla Bombay.
 
Leggere Bombay Brokers mi ha aiutato a capire come ci si muove tra milioni di individui che si spostano incessantemente da un quartiere all’altro: ci sono i brokers a dare una mano, sono mediatori, intermediari, una volta semplicemente interpreti – e venivano chiamati dubashi – che si insinuano nelle vite delle persone, spesso a fin di bene, altre volte per fini meno accettabili, forse mossi da una corruzione diffusa.
 
Questo corposo volume presenta ritratti di mediatori, scritti da professoresse, architetti, antropologhe, assegnisti di ricerca, urbanisti, esperti di marketing, registi, equamente suddivisi fra uomini e donne.
Non potendo presentarli tutti, ne ho scelto alcuni che mi hanno incuriosito di più, come Bunty Singh, che da costruttore è diventato una sorta di «fabbricatore di sogni», una specie di assistente sociale che ha venduto terreni, ha costruito case popolari per chi arrivava in città e scuole per i figli degli immigrati, ha organizzato spettacoli di musica e danza come un mecenate che vuole far stare meglio i suoi concittadini.
 
Certamente Bunty conosce un sistema alternativo di regole e sa manipolare chi queste regole deve far osservare, mantenendo buoni contatti con esponenti politici di maggioranza e di opposizione. Insomma, se lo Stato è assente, un privato può sostituirlo…
Altra figura interessante è Janu, che dalla provincia si trasferì in città e che ora assiste, come una sorella maggiore, gli adolescenti che vogliono imitare il suo percorso.
Janu li aiuta a salire sul treno, offre loro del cibo, risponde alle loro richieste, procura un lavoro quando hanno raggiunto Mumbai, la città dei loro sogni.
 
Janu è diventata una capogruppo, si è circondata di collaboratori, ha in sostanza creato un’impresa e si occupa dei suoi bachhe – i bambini – anche in caso di malattia, dato che un’assicurazione medica statale o aziendale per gli operai migranti è del tutto impensabile.
In questo modo, Janu per i giovani diventa un esempio, può essere una didi – sorella maggiore – ma non vuole essere una mamma, è un’apripista, in particolare per le donne.
Ramita è una broker speciale, un’agente di maternità surrogata che aiuta le coppie che non possono avere figli a trovare una madre surrogata.
 
Un’attività di questo tipo naturalmente si può svolgere all’interno di un gruppo in cui siano presenti medici, infermieri, ostetriche, agenti di viaggio, donatori di gameti. Ramita, come altre sue colleghe, ha iniziato ad occuparsi di maternità surrogata dopo essere stata lei stessa una madre surrogata.
E la sua attività non si limita a trovare donatore e riceventi, ma a prendere appuntamenti con i medici, a seguire la gravidanza, ad accompagnare la madre per analisi, ecografie e quant’altro, ad assisterla in caso di controversie legali.
 
Lavora tanto, Ramita, ma fa studiare sua figlia e possiede una casa.
E poi, c’è Manal-Muna, che nel suo inglese saluta familiarmente con un «Salaam baby, hello to Bumbai».
Muna in un monolocale gestiva un catering, insomma cucinava per impiegati e studenti, aiutata da due ragazze e da due aspiranti cuoche, la sorella e la cognata di Sanjay, il suo factotum.
Il successo dell’impresa in seguito ha fatto sì che le aiutanti si mettessero in proprio e che a Muna fosse proposto di entrare in politica, ma «i miei affari sono il cibo, non il sarkar… temendo quanto potesse rivelarsi violenta la politica, era più a suo agio nel mantenere la sua influenza radicata nel cibo».
 
E come Janu si considera una sorella maggiore, così Muna si autodefinisce «la mamma di Mumbai».
«In un ambiente in cui termini come daddy e papa determinano le posizioni gerarchiche di influenza, essere considerata come la mamma d Mumbai è per Muna davvero il modo più logico per dimostrare la sua influenza, ma allo stesso tempo, anche il suo essere affettuosa e premurosa».
Potrei continuare così, ma ogni broker è interessante, quindi lascio a lettrici e lettori il gusto di conoscerli attraverso le testimonianze raccolte da Lisa Bjiorkman.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


 

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