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A cent’anni da Caporetto, due brutte pagine di storia

La sorte dei profughi e degli occupati friulani e veneti – La vergogna delle fucilazioni

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(Link alla puntata precedente)
 
La ritirata di Caporetto terminerà con la prima battaglia del Piave, la Battaglia d'arresto, che inizierà il 14 novembre e proseguirà a più riprese fino a dicembre inoltrato. Prima dell’ultima puntata su Caporetto che pubblicheremo nei prossimi giorni, vogliamo parlare di due fenomeni molto dolorosi che hanno accompagnato la ritirata: la sorte dei civili e la vergogna delle fucilazioni.
 
Durante la ritirata, oltre un milione di persone delle province di Udine, Treviso, Belluno, Venezia e Vicenza furono costrette ad abbandonare le loro case riversandosi nelle strade che conducevano alla Pianura padana e da lì verso altre terre in grado di accoglierli.
Il trasferimento di questa gente non fu aiutato dallo Stato e anzi i comandi militari diedero priorità alle truppe e ai mezzi militari, requisendo mezzi civili e vietando ai profughi l’uso dei treni e delle strade principali.
Molti di questi perirono durante la fuga, travolti dalle esondazioni dei corsi d’acqua o da centinaia di incidenti di varia natura. Solo 270.000 riuscirono a porsi in salvo. Un disastro dimenticato dalla storia militare e dalla storia civile del Paese.
I profughi che ce la fecero a scappare, se avevano mezzi di sostentamento o parenti in Italia in grado di accoglierli, riuscirono a cavarsela pur con i disagi degli sfollati. Ma gli altri vennero sistemati un po' in tutta Italia a casaccio e in certi casi furono addirittura contestati dalla popolazione locale che vedeva in loro altre bocche da sfamare e altre braccia in cerca di lavoro.
La diffidenza militare verso questi civili, tra i quali potevano annidarsi agenti nemici, portò a costruzione in certi casi dei veri e propri campi di concentramento.
L’esilio forzato durò un anno, ma il ritorno a casa avvenne nel corso dell’intero 1919, mescolandosi all’altro esodo spaventoso dei prigionieri che dovevano tornare a casa.
 

 
Chi rimase, tuttavia, ebbe una sorte assai peggiore.
L'esercito austro-germanico mise a ferro e fuoco le terre conquistate autorizzando palesemente saccheggi e razzie. Come avevamo detto, i Comandi austriaci e tedeschi avevano disposto che i soldati si arrangiassero a trovare sostentamento in loco. E nel corso del primo mese di occupazione si verificarono le violente più atroci.
La popolazione venne trattata alla stregua di schiavi che dovevano lavorare per le forze occupanti.
Qualche civile seppe reagire e si organizzò in bande armate con lo scopo di sabotare e disturbare le truppe d'occupazione, «dando vita così alle prime formazioni partigiane italiane intese come tali» [Wikipedia – NdR].
Ci furono anche rappresaglie. Basti ricordare quel vergognoso episodio di una ventina di presunti collaborazionisti che, una volta catturati a Cervignano del Friuli, furono impiccati al campanile. Gli imperiali confermarono il merito di essere definiti «impiccatori».
 
Gli italiani rimasti soffrirono atrocemente la fame, defraudati dal sistema militare degli occupanti che lasciavano loro solo e letteralmente le briciole. In quell’anno di occupazione i morti nelle terre invase raddoppiarono, salendo dal 2 al 4% della popolazione, il doppio rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa di allora ed è fin troppo facile dare la colpa proprio alle ristrettezze alimentari cui furono costretti a vivere.
In Italia qualcuno propose di inviare mezzi di sostentamento alla gente friulana tramite la Croce Rossa Svizzera, ma le autorità militari non autorizzarono questa generosità spontanea per «non aiutare il nemico e costringerlo a dar da mangiare - per quanto poco - anche ai vecchi e ai bambini…» Da non credere.
 

 
Le violenze sulle donne furono vergognosamente tante, troppe. In quel periodo in cui la violenza carnale era considerata delitto contro la morale e non contro la persona, si può immaginare cosa facessero gli alti comandi per arginare problemi di natura morale…
Nel suo libro «Caporetto», Arrigo Petacco denuncia che sono state almeno 750 le violenze accertate, tra le quali ci furono anche bambine, suore e perfino donne ammalate di influenza spagnola ricoverate negli ospedali.
Soprattutto nel corso del primo mese di occupazione vi furono numerose violenze di gruppo, a dimostrazione del totale disprezzo anche razziale nei confronti dei vinti.
Per quello che può servire saperlo, gli storici tendono a precisare che a commettere le azioni più efferate non furono gli austriaci. Certamente la sottile demarcazione tra il lecito e l’illecito in quei momenti in cui i vincitori si sentivano autorizzati a fare qualsiasi cosa era una questione di cultura.
 
I cittadini i contadini erano costretti a consegnare tutto agli invasori. Chi veniva sorpreso a nascondere qualcosa di utile veniva punito come sabotatore.
Stessa cosa per i beni di proprietà. Le fabbriche furono smantellate e i macchinari inviati nelle terre di origine degli invasori.
Nell'anno di occupazione, da Veneto e Friuli partirono 5.529 vagoni colmi di materie prime, derrate alimentari, macchinari, attrezzature.
Qualche privato aveva addirittura nascosto sotto terra i servizi di piatti e le pentole di rame, ma i razziatori avevano trovato il modo di scoprire i nascondigli. Fu una barbarie senza limite e sporca l’immagine dei soldati degli Imperi Centrali.
 

Le fotografie delle fucilazioni sono del Museo della Guerra di Rovereto.
 
L’altra piaga riconducibile in particolare alla disfatta di Caporetto riguarda le fucilazioni avvenute senza alcuna garanzia di diritto, in un clima generalizzato di giustizia sommaria. Le sentenze emesse con condanna a morte dei tribunali militari era una prassi consolidata.
In tutta la guerra sono stati oltre mille i militari italiani fucilati, spesso per decimazione. E, come abbiamo visto nelle puntate precedenti, di fronte alla ritirata di Caporetto il Comando supremo aveva incoraggiato le decimazioni dei soldati da mettere a morte nei reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, oppure di non aver eseguito ordini talvolta impossibili, o semplicemente di aver protestato per le difficili condizioni del fronte.
La volgarità della dell’estrazione a sorte è documentata da un fatto assurdo avvenuto in un reparto, quando nel sorteggio venne coinvolto anche un fante appena tornato dalla licenza e che perciò non poteva aver nulla a che fare con le cause della decimazione…
Ma ci furono anche episodi più vergognosi, come quello del generale Andrea Graziani. L’alto ufficiale stava ritirandosi con in resto della truppa, quando vide un soldato che, salutandolo con la pipa in bocca, sembrava deriderlo. Fermò l’auto e fece fucilare il povero disgraziato sul posto.
Non c’era dunque la minima considerazione per la vita umana e soprattutto i Comandanti volevano scaricare la colpa degli insuccessi sui propri sottoposti.
 
Nel corso dell’intera guerra i processi a carico di militari imputati di qualche reato furono 262.481, che per il 60% si conclusero con la condanna. Poco più di 4.000 sentenze furono emesse con la condanna a morte. Per fortuna, quasi 3.000 di queste condanne riguardavano italiani che erano emigrati e che vennero condannati in contumacia in quanto non avevano voluto tornare in Italia.
Le sentenze eseguite furono 729, alle quali però vanno aggiunte le decimazioni e le uccisioni dei soldati che non avevano il coraggio di uscire dalla trincea. Cadorna aveva disposto infatti che gli ufficiali stessero dietro le trincee con le rivoltelle per garantirsi l’attacco.
In totale, come abbiamo detto, furono un migliaio.
Va segnalato che in Francia, molto più impegnata dell’Italia sia in termini di uomini (il doppio di noi) che di battaglie, i fucilati furono 700. Gli inglesi fucilarono 300 soldati. I tedeschi pochissimi.
 

 
A tutt’oggi non si sente ancora parlare di riabilitazione dei militari vittime di una repressione condotta con modalità particolarmente brutali, che già all’epoca non mancarono di suscitare reazioni e condanne, anche da parte di militari di alto grado.
Subito dopo la fine delle ostilità, la Relazione sulle decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la Grande Guerra sottolineò l’uso indiscriminato e l’illegittimità di molte delle condanne irrogate sotto il comando del generale Cadorna. Ma l’ostilità con cui furono accolte queste conclusioni dai vertici militari dell’epoca inaugurò una prassi di omertà e rimozione destinata a protrarsi per decenni, fin quando i fatti non furono riportati alla luce con grande difficoltà.
 
Alcuni Paesi si sono fatti recentemente carico di adottare misure per riparare ai torti derivanti da un prolungato oblio: in Nuova Zelanda, Canada e Gran Bretagna, tra il 2000 e il 2006, sono state approvate leggi per riabilitare la memoria dei militari vittime della giustizia militare e includerli nel novero dei «caduti in guerra», mentre in Francia il Presidente Hollande ha deciso di far erigere un monumento ai fucilati all’Hôtel National des Invalides come atto di riconciliazione nazionale.
In Italia, malgrado le ricorrenti dichiarazioni di intenti, stentano a decollare iniziative di rilievo per la riabilitazione delle vittime della «giustizia sommaria», ancora oggi sono del tutto assenti fin nelle lapidi commemorative e nei monumenti.
 
Non molto tempo fa, l’attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, aveva criticato pesantemente le sconsiderate e vergognose fucilazioni avvenute nel corso della Grande guerra, ma un giornalista lo aveva rintuzzato chiedendogli se intendesse parificare i condannati a quelli che invece si erano meritati una medaglia.
Il collega aveva commesso un grosso errore. Anzitutto perché furono fucilati anche eroi insigniti di medaglie al valore, ma soprattutto perché non era questione di paragone ma di moralità, prima ancora che di legalità.
Esiste nel parlamento italiano una proposta di legge volta a riabilitare quantomeno i fucilati in maniera sommaria, ci auguriamo che venga approvata, anche se - un secolo dopo - è certamente troppo tardi.
 
G. de Mozzi
(Continua)
 
Si ringrazia Wikipedia per le note e le foto che abbiamo attinto.

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Oinotna Ed Ognam 17/04/2023
Al di là delle fanfare del due giugno resta il disprezzo dei militari per la Vita. Mio nonno artigliere sul San Michele evito' Caporetto perché era in licenza. Da ciò che leggo ha evitato sofferenze peggiori per mano dei suoi ufficiali.
È inammissibile che alla ritirata di Caporetto, Cadorna abbia solo pemsato a capri espiatori che sarebbero stati molto più utili per il contrattacco.
Con Diaz abbiamo avuto una vittoria che ad oggi ancora non ha riparato alle decinazioni ed alle fucilazioni sommarie. di italiani (in specie meridionali).
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