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Il 15 giugno 1918 il Piave mormorò: «Non passa lo straniero!»

Alle 3 di quella terribile notte di 100 anni fa, 13.000 canoni scatenarono l’inferno. Il frastuono fu avvertito con angoscia da Verona a Venezia e perfino a Bologna

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La Battaglia del Solstizio, meglio nota come Seconda Battaglia del Piave, nacque con tre eventi negativi per l’Impero Asburgico.
Il primo consisteva nell’affondamento della corazzata Santo Stefano per opera del Capitano Luigi Rizzo ((vedi nostro servizio). La prospettiva di conquistare Venezia senza avere il dominio del mare Adriatico, né l’accesso al resto del Mediterraneo, rappresentava una situazione infausta all’intera operazione.
Il secondo riguarda l’operazione Lawine (valanga) di cui abbiamo accennato, ma che è bene spiegare brevemente. Stabilito che la Battaglia sarebbe scattata il 15 giugno, Conrad doveva attivare un attacco preventivo il 12 giugno sull’estremo fronte dell’Adamello al fine di spaventare gli Italiani con un’ardita operazione che portasse alla conquista di Ponte di Legno, per poi «traboccare» (sic) su Edolo e proseguire per la Valtellina. Causa maltempo, l’attacco venne posticipato al 13 giugno.
Il comando austriaco non si aspettava nulla dall’operazione Lawine, salvo che Diaz trasferisse a nord le due divisioni di riserva che teneva a sudovest del Lago di Garda, alleggerendo così il vero fronte dell’attacco previsto sugli alpitiani.
In realtà, l’operazione non solo fallì, ma non riuscì a far spostare neppure un piccolo reparto italiano di rinforzo. Gli Italiani avevano addirittura contrattaccato… Un cattivo segnale.
Infine, il maltempo faceva registrare anche una pericolosissima piena del Piave, dove Boroevic avrebbe dovuto scatenare l’attacco principale.
 

 
Ricapitolando la situazione che avevamo descritto negli articoli sulla preparazione della battaglia (Vedi Italia - Vedi Austria Ungheria) si stavano fronteggiando 60 divisioni austriache contro 59 divisioni italiane. Gli effettivi di quelle austriache però erano ridotti del 15%.
I teatri operativi erano molteplici, anche se continuativi dallo Stelvio al mare. Partendo dalla parte più occidentale, Diaz aveva disposto la Settima armata (gen. Tassoni) dallo Stelvio al Garda. Dal Garda ai Sette Comuni aveva collocato la 1ª Arnata (gen. Pecori Giraldi). Dai Sette Comuni al Grappa c’era la 6ª Armata (gen. Montuori). Dal Grappa a Ponterobba la 4ª Armata del Grappa (gen. Giardino). Da Ponterobba a Palazzon l’8ª Arnata (gen. Pennella). Da Palazzon al mare stava la gloriosa invitta 3ª Armata del Duca D’Aosta.
Alle loro spalle stavano 19 divisioni della riserva generale (gen. Morrone).
Inoltre erano sempre a disposizione tre divisioni di Cavalleria, pronte a ricacciare o incalzare il nemico.
Insomma, Diaz aveva disposto 29 divisioni in linea sull’arco montano e 9 sul tratto di pianura a sud del Piave.
 
Le 60 divisioni austro ungariche erano disposte nella seguente maniera.
Dallo Stelvio all’Astico la 10ª Armata con 8 divisioni di linea e due di riserva.
Dall’Astico al Fener l’11ª Armata con 15 divisioni di linea e 12 di riserva (entrambe al comando di Conrad).
Da Fener al Ponte della Priula la 6ª Armata dell’Arciduca Giuseppe.
Da Ponte della Priula al mare la 5ª Armata del generale Boroevic con 11 divisioni di linea e 4 di riserva.
Il comando faceva capo direttamente all’Imperatore insieme al Capo di Stato Maggiore Arz von Straussenburg.
 
Come dicevamo, visto il prologo, in campo austriaco si era inclini al pessimismo. Tuttavia, su insistenza di Conrad, la sera del 14 giugno si decise di dar corso al destino.
Alle 3 della mattina del 15 giugno l’artiglieria austro ungarica iniziò il fuoco dei cannoni per distruggere le difese italiane prima dell’attacco.
Le artiglierie italiane risposero al fuoco con una rapidità tale che far pensare agli austriaci che, per una terribile combinazione, anche l’Italia avesse predisposto un attacco alla stessa ora. Così non era, ma gli italiani attendevano l’attacco e non si erano fatti prendere alla sprovvista.
In tutto, in quella terribile notte, 13.000 canoni scatenarono l’inferno su entrambe le linee. Il frastuono fu sentito da Verona a Venezia e perfino a Bologna. Il Paese intero trattenne il fiato domandandosi che cosa sarebbe accaduto nell'immediato futuro. Le menti e i cuori erano rivolti a un fiume, il Piave, di cui fino a quel momento avevano sentito appena nominare.
 

Il Monte Grappa - Google Earth.
 
Alle sette del mattino scattano all’attacco le fanterie austriache. Trovano notevole resistenza, ma non impossibile da superare.
Alle 9 di mattina Conrad ha l’impressione che l’attacco stia riuscendo, perché la prima linea italiana è conquistata.
Ma dalle 14 iniziano a giungere notizie sfavorevoli: gli Italiani contrattaccano vigorosamente e riconquistano quasi tutto il terreno perduto.
A Conrad non resta che dare l'ordine di tenere le posizioni a qualunque costo. L’azione si ferma senza che alcuno degli obiettivi sia raggiunto.
 
Sul Grappa la situazione austriaca è peggiore. Dapprincipio gli austriaci conquistano Ca’ d’Anna, il Fenilon, il Col Moschin, il Coston e la seconda posizione dell’Asolone.
Ma già in tarda mattinata l’attacco si arena. Le notizie che giungono da quel fronte sono devastanti per gli austriaci. Si parla addirittura di «rotta» e perfino di «spiriti maligni avversi»… In serata Conrad deve diramare anche sul Grappa il medesimo ordine di mantenere le posizioni a qualunque costo.
In realtà, più che di «spiriti avversi», si deve parlare dell’inizio del disgregamento degli attaccanti. Molti battaglioni austro ungarici, non appena contrattaccati, si auto sciolgono e risalgono la Valsugana. Naturalmente vengono tutti arrestati dalla gendarmeria. A Levico un battaglione abbandona le armi e si sparpaglia nelle campagne. Tra Trento e Innsbruck la gendarmeria arresterà 8.000 fuggiaschi privi di armi e di equipaggiamento.
Comunque sia, gli storici ritengono che il dispositivo in mano a Conrad fosse ormai logoro, usurato e non più in grado di raggiungere gli obiettivi.
E già la sera del 15 giugno Conrad chiede il rinforzo delle divisioni di riserva solo per contenere i prevedibili contrattacchi.
 

Il Montello - Google Map.
 
Sul Montello le cose andarono diversamente.
Il Montello è una collina che non supera i 370 metri di quota, larga non più di sei chilometri e che si estende per 13 chilometri da Montebelluna a Nervesa. A settentrione del Montello scorre il Piave protetto da di ripide sponde inaccessibili.
Quel teatro di guerra, che è competenza della 6ª Armata dell’Arciduca Giuseppe, dispone di 4 divisioni di linea e due di riserva. Rappresenta il fulcro strategico dell’intera battaglia perché l’unica vera porta di accesso per la pianura veneta. Il generale Goiginger, che comanda il corpo d’armata cruciale dell'Armata, dispone l’attraversamento del Piave giù a partire dalle 3 e mezza di quel 15 giugno. Il comando d’Armata tuttavia pospone le operazioni alle 5 di mattina, cioè con le luci dell’alba. Sarà un errore tattico non da poco.
In ogni caso, il piano prevede l’attraversamento del Piave, l’arrampicamento sul Montello e la conquista delle prime linee italiane. L’attraversamento è previsto a Vidor in direzione di Cornuda e  più a valle in direzione di Nervesa.
Due divisioni attraversano il Piave e conquistano i primi cinque chilometri del Montello. Poi però vengono meno i rincalzi che non sono riusciti ad attraversare il fiume. I ponti di fortuna non sono sicuri e le artiglierie rimangono sulla sponda sinistra.
Verso le 18 di quel primo giorno Goiginger decide un attacco congiunto di tutte le forze sul Montello, ma ha la sfortuna di essere preceduto da un contrattacco italiano. Le posizioni rimangono stabili.
A quel punto l’Austria ha una magnifica testa di Ponte, ma che risulta praticamente isolata per la piena del Piave che, unitamente al martellamento delle artiglierie italiane, non consente di alimentare le forze sul Montello.
 

Il Montello - Google Earth.
 
Più a valle del Piave, dove è schierata la Isonzo Armee, gli austriaci riescono ad attraversare il Piave alle Grave di Papadopoli, dove il fiume si allarga in vari corsi d’acqua alternati da ghiaioni alluvionali. In pratica devono attraversare due corsi d’acqua meno violenti rispetto a Vidor e Nervesa, ma in un teatro ben protetto dalle truppe della Terza Armata del Duca D'Aosta.
L’obiettivo affidato alla Isonzo Armee è quello di giungere al campo trincerato di Treviso e interrompere la ferrovia Treviso-Montebelluna.
Alcuni gruppi austro ungarici riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati, ma il Piave non perdona e spazza via anche i ponti alle Grave di Papadopoli. Anche lì la testa di ponte c'è ma isolata dal resto dell’Armata.
Inoltre, gli Italiani contrattaccano con una veemenza inaspettata e ricacciano il nemico nel fiume. Il 4° corpo d’armata che era riuscito a penetrare il suolo italiano deve rifugiarsi (a nuoto) nei ghiaioni centrali delle Grave. È un massacro.
Più a sud altre forze austriache tentano di passare il fiume, ma anche qui devono fare i conti con i contrattacchi italiani.
 
In serata l’Imperatore prende atto della situazione e telegrafa ai comandi delle armate per invitarli a mantenere le posizioni conquistate «nel nome della Monarchia».
Servono le divisioni di riserva e il Capo di Stato Maggiore Arz von Straussenburg capisce che le sorti della battaglia sono affidate alla pianura. Rifiuta a Conrad l’invio delle riserve e le dirotta a Boroevic.
Ma né il comando italiano né quello austriaco hanno ancora il senso esatto della situazione.

Guido de Mozzi
(Continua domani)


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