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In Francia sulla Via Podense, 5ª puntata – Di Elena Casagrande

Dal G.R. 46 e da stradine dipartimentali arriviamo a Cahors, tornando sulla Via Podense, diretti verso il Quercy Blanc, con i suoi villaggi detti «bastides»

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L’Hospitalet a Rocamadour.
(Puntate precedenti)
 
Contiamo i gradini. A fatica arriviamo alla soglia della Chiesa. È buio: in fondo, tra le lanterne dalla luce velata, intravvedo la Vergine nera. Mi rapisce.
«Ma perché è attorniata da vascelli?»
Me lo spiegano: «Lei che se ne sta qua, tra le rocce, protegge non solo i pellegrini, ma anche… i naviganti! Si dice che quando una nave sta naufragando, la campana suoni da sola. Se si invoca Notre-Dame de Rocamadour in quei momenti, ti salverà.»
Meglio prendere nota, dico a Teo.
Dopo la visita alla grotta di Saint-Amadour, l’eremita che dà il nome al posto (c’è chi dice si tratti di Zaccheo, discepolo di Gesù!), andiamo a farci rilasciare la Rocastelle, il certificato di avvenuto pellegrinaggio.
C’è moltissima gente perché è anno giubilare. Incontriamo la coppia di sposi di Le Puy. Ci complimentiamo a vicenda e ci salutiamo: loro smettono qui! Dopo la S. Messa, saliamo in cima alla rocca, fino al Castello e di lì a la Côte de l’Hospitalet, il paesino di fronte. Ceniamo al Lion d’Or, con terrine de Saint-Jacques (come no?), entrecôte e mousse al cioccolato.
 

Il cuore del Santuario di Rocamadour.
 
 A Labastide-Murat, è tutto occupato: ci affidiamo alla Provvidenza  
Suor Maria de las Nieves, del rifugio Le Cantou, ci fa sbagliare strada. Il cammino, che doveva essere qua sotto, non c’è. In compenso nel cielo ci sono le mongolfiere, colorate e immobili.
Noi non sappiamo dove siamo finiti. A mali estremi…estremi rimedi: usiamo il GPS, anche se non ci piace!
Siamo sotto il villaggio di Magès, poco sopra c’è una strada dipartimentale. Ci arriviamo in qualche modo e cominciamo a telefonare a Labastide-Murat, dove vorremmo pernottare.
Macché! Settimana di ferragosto: tutto complet (pieno).
Tra i paesi di Couzou e Montfaucon nulla. A Montfaucon, però, c’è una casa di cura e soggiorno per anziani, forse affittano stanze per i parenti. Niente di libero neanche qui.
Una coppia, che ci fa entrare in casa dove mi vengono addosso due alani (che mi terrorizzano!), ci offre un capanno in legno nel giardino. Niente luce, né acqua (solo una bacinella), w.c. tipo trono con secchio di paglia e 20 euro a testa.
Con Teo ci guardiamo, ringraziamo, ma essendo allergica alla paglia, ce la diamo a gambe: meglio l’addiaccio.
 

Il paesino di Montfaucon.
 
 Una stretta di mano e un sorriso inattesi mi riempiono il cuore di gioia  
Perdo il puntale in titanio di uno dei miei bastoni da trekking. Non si trova e non ci resta che rinfrescarci con un gelato al cassis e uno sciroppo all’acqua, al baretto in fondo al paese.
Riprendiamo al caldo, fino a Labastide-Murat, città natale di Gioacchino Murat e della madre. Riproviamo all’albergo e al rifugio: è tutto occupato.
Andiamo alla Chiesa. Neanche il tempo di arrivarci davanti che troviamo un nastro intercettatore bianco-rosso e pezzi di pietra a terra: è chiusa per crollo.
Mi metto le mani nei capelli, guardo Matteo ed ecco che ci vengono incontro due signori, tutti in ordine, ben vestiti.
Uno dei due mi dà la mano con un enorme sorriso. «Piacere, siete pellegrini?»
Io sono sudata e un po’ in imbarazzo, ma lui insiste nel porgermi la mano. Cedo, felice dell’accoglienza.
«Sì… Solo che non c’è più posto in paese.»
«Aspettate, venite alla Messa nella canonica qui di fronte. Il prete è molto malato, è à la limite (al limite), ma vi aiuterà. Pazientate.»


La chiesa di Labastide-Murat.
 
 Finalmente il cammino «ce lo facciamo noi», senza seguire GR o GPS  
Il parroco è davvero messo male: dice messa da seduto. Alla fine chiede di cantare il Salve Regina, ma tutte le vecchiette zitte. La intono io, allora, come posso. Sembra contento.
Finita la funzione i due amici ci accompagnano dal père (padre), che ci offre la stanza degli ospiti. Interviene la perpetua.
«No! È meglio l’aula catechesi, con la moquette… si può dormire a terra!»
Vabbè, non ha voglia di rifare la stanza, ma, almeno, abbiamo un tetto e un bel bagno con la doccia. Dormiamo sui tavoli, che uniamo. Alle pareti i disegni dei bambini con «les brebis» (le pecore) e i cavalli di queste terre.
Il giorno dopo rimetterci in piedi è come aprire una fisarmonica. Le nostre schiene sono a pezzi. Colazione all’Hotel Garissade e poi giù verso Cahors: vogliamo riprendere la Via Podense.
Seguiamo il GR 46 per un po’, poi ci arrangiamo, buttandoci tra radure profumate e altopiani carsici in direzione della città.
«En zo rugola anca i sassi» (in discesa scivolano giù anche i sassi), si dice da noi, vero?
 

Il fiume Lot prima di Cahors.
 
 A Cahors siamo di nuovo sulla Podense con nuovi pellegrini  
La città e il suo fiume li vediamo dall’alto. A Laroque-des-Arcs i segnali stradali ci indicano la via. C’è anche un paracarro con la Route Mondiale n. 1.
Costeggiando i vivai lungo il fiume arriviamo a Cahors. L’albergo è un po’ fuori e l’hospitalier, avvisato del nostro arrivo, ci viene a prendere.
È una città elegante: piena di palazzi, la splendida cattedrale di Saint-Étienne e lo stupefacente Pont Valentré (o del Diavolo), con le sue tre torri, difficili da fotografare insieme!
Ci concediamo una bella cena in Piazza Mitterrand, in un ristorantino all’aperto, a base di insalata con uova sode e filetto di manzo con tagliatelle.
Alla Maison de pèlerins ci sono altri pellegrini che non conosciamo, venendo da Rocamadour. C’è anche un italiano, Riccardo, fotografo disoccupato: è il suo primo cammino e sta andando a Santiago da Lione. Gli diamo qualche dritta.
 

Il Pont Valentré a Cahors.
 
 Il rifugio di Durand è stato aperto da due ex-pellegrini in pensione  
Piove quando lasciamo la città dal Ponte del Diavolo e subito si sale verso La Rosiére. A Labastide-Marnhac ci beviamo una cioccolata calda.
C’è anche il senatore, che non vedevamo da settimane! Che bello ritrovarsi. Oggi la tappa è tutto un metti e togli la cappa.
Noi si prosegue sino a Durand, un po’ fuori dal cammino, dove c’è la gîte de l’Etape Bleue. E’ in pietra, nel bosco. I suoi proprietari, pellegrini pure loro, dopo la pensione si sono trasferiti qui, per accogliere i viandanti.
Rispetto a Lascabanes, dove sembra che tutto sia occupato, c’è solo un’altra coppia di pellegrini. A cena ci raccontiamo un po’ le nostre vite.
Ognuno può farlo nella lingua madre e il bello è che…tutti ci capiamo. Quando tocca a noi parliamo degli ultimi cammini spagnoli e confessiamo di esserci sposati proprio a Santiago, un agosto di 5 anni prima.
Tutti ci fanno gli auguri!
 

In cammino tra le terre bianche del Quercy.
 
 Nel Quercy, tra Lot e Tarn-et-Garonne, i campi prendono il posto dei boschi  
Da Durand c’è una deviazione per riprendere il cammino senza tornare a Lascabanes, visitando la cappella di Saint-Jean: romanica, austera e bellissima.
A Montcuq, splendido paesino del Quercy, come mi aveva anticipato Marie (che ha la mamma originaria di qui), approfitto della farmacia perché mi è venuto un giradito al pollice del piede. Mi danno una boccetta di disinfettante dove infilare il pollicione e delle garze.
«Qualche giorno e sarà passato, signora.»
«Speriamo», – rispondo.
Un caffè e poi di nuovo in marcia. Direzione: Lauzerte. Si cammina un po’ su e giù, come in Toscana, tra campi mietuti e girasoli.
Nel paesino di Montlauzun facciamo un pic-nic, con la spesa fatta a Montcuq: pane, salame e insalata con patate e prosciutto. Le prugne le ho prese da un vecchietto, lungo la via, a 1 Euro!
Compero sempre quello che i locali vendono, soprattutto per dar loro soddisfazione.
 

La piazza di Lauzerte.
 
 I paesini delle bastides ci mostrano il lato pittoresco della Francia  
Anche il paesino di Lauzerte è una bastide, ossia un paesino fortificato, costruito tra 1200 e 1300, attorno alla piazza, suddiviso in 4 strade con 8 lotti circostanti, sul modello delle abbazie cistercensi. Solitamente è in cima ad un colle. Ci tocca salire.
Dormiamo a Les Figuiers, dove all’arrivo ci salutano offrendoci una brocca d’acqua con lo sciroppo alla violetta. Anche se è profumata come una saponetta, non è male!
In paese ci sono il giardino del pellegrino e una mostra d’arte. Facciamo i complimenti allo scultore del pèlerin.
Passeggiando tra le tipiche case-traliccio del borgo mi ferma un signore, indicando il mio piede. Chiede se sono una pellegrina.
«Sì, sì» e gli spiego del giradito. Mi sorride e rassicura, dicendomi: «N’est pas grave» (non è grave). Alla Messa scopro che il signore è il prete!
Ci fa salire sull’altare assieme a una coppia bretone, dato che in chiesa siamo solo noi! Finiamo la giornata in pizzeria: promettono 27 cm di diametro e c’è la pizza Saint-Jacques, con capesante.
«Non sono 27 cm», – dice Teo… «e fa pure…».
«Vabbè, dai, non importa, – gli dico. – Ci abbiamo provato».
 
Elena Casagrande
(La sesta puntata della Via Podense sarà pubblicata mercoledì 20 luglio)
 
Lo scultore Christian Ritter mostra orgoglioso a Teo il suo pellegrino.

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Cecilia 13/07/2022
Mi spieghi come fate a dormire sulla tavola di legno e poi al mattino alzarvi e camminare per tutto il giorno? Siete degli eroi...
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