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Storie di donne, letteratura di genere/ 434 – Di Luciana Grillo

Olimpia De Girolamo, «Tutto ciò che siamo stati» – Un romanzo breve, ma così intenso da incatenare alle pagine il lettore

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Titolo: Tutto ciò che siamo stati
Autrice: Olimpia De Girolamo
 
Editore: GCE 2022
Genere: Narrativa italiana contemporanea
 
Pagine: 128, Rilegato
Prezzo di copertina: € 16
 
Una giovane donna, che venti anni prima si era allontanata da Napoli, torna per cercare il padre scomparso misteriosamente.
Dunque ricordi, malinconie, verità sospese in una realtà che è essa stessa sospesa: questo breve romanzo si legge tutto d’un fiato, coinvolge fin dalla prima pagina, incuriosisce, turba persino chi tra una pagina e l’altra vuole capire i luoghi, gli ambienti, i sentimenti, gli abusi, le violenze che si consumano…
 
Scale da salire e da scendere, stanze buie, l’amica Ada, e «mia madre, dominatrice di questa torre e di tutta la sua sacra famiglia. Regina senza corona e senza scettro, osservatrice di ogni mio difetto, fragilità, menzogna. Siamo qui. Cominciamo».
Con una prosa scarna, con dialoghi (in dialetto) incisivi e a volte duri, De Girolamo racconta senza compiacimento il cammino di Anna, il recupero del passato, l’incontro con la madre, mentre «il cuore mi sta quasi crollando dallo strapazzo. Le offro un breve abbraccio, di quelli che si fermano senza passare nei corpi. In quello spazio vuoto si annida la nostra intera storia di madre e di figlia».
 
Entra in quella casa che è stata la sua, tanto tempo fa, «avevo una stanzetta dove a malapena ci stavano il letto e la scrivania, d’inverno gelida come se fossi all’aperto, d’estate calda come una fornace… erano gli anni del liceo. Io studiavo con una solerzia al limite del patologico. Per me studiare era sentirmi al sicuro, in mezzo ai libri ero come una regina».
Meno sicura, invece, Anna è nel leggere i messaggi di suo padre, confusi, misteriosi; raccontano «un mondo di sotto, annascunnùto… ’E muorte songo cchiù de’ vive, si nascondono nei tuoi cassetti, negli armadi, nella biancheria che tieni stipata dentro casa…».
 
È faticoso leggere, Anna pensa ad antichi codici miniati vedendo che «ai lati dello scritto di mio padre ci sono piccoli intarsi, disegni» e ricorda che da ragazza, guardando dalla finestra della sua camera il teatro antico, «sognavo miraggi di novità e di bellezza, ma sapevo che nessuno mi avrebbe accompagnata al porto per salpare nella vita, che dovevo cavarmela da sola…».
Sola, come è sola dopo venti anni, in preda a incubi, assorbita dalla città «come una goccia d’acqua…, senza pietà», sola come lo era allora, quando rubava, a tradimento, ogni sguardo della sua inaccessibile mamma, «una dolcezza amara fatta di vicinanza obbligata» o quando, in quel novembre 1980, «eravamo felici a modo nostro», mentre un terremoto violento devastava città e provincia e «mio padre, in quel minuto e mezzo, ha iniziato un viaggio tutto suo. Si è sgretolato come argilla secca e vuota dentro…mi sembrava di essere in mezzo al mare in tempesta. Noi su una zattera e lui tra le onde».
 
Complicato il rapporto di Anna con i genitori, con il fratello, e complicatissimo quello fra suo padre e sua madre… solo ora, dopo tanti anni di silenzio e di buio, «di fronte a ciò che resta di mio padre, di fronte a questo vecchio stanco, avvilito da se stesso e dall’ignoranza, mi metterei a piangere in ginocchio… Lo smembramento dell’anima, ecco ciò che avverto in questa grotta, la spaccatura tra ciò che credevo fosse e ciò che realmente è».
E finalmente arriva un pianto liberatorio, «piango i bambini che siamo stati e che nessuno ha saputo guardare…», rivede Ada e Salvatore, la loro infanzia perduta, mentre «il cancello del cimitero cigola alle mie spalle».

Un romanzo breve e così intenso da incatenare chi legge alle pagine, perché capisca, infine, ciò che resta di una città sospesa, fatta di un sopra e di un sotto.

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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