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Storie di donne, letteratura di genere/ 465 – Di Luciana Grillo

Marìa José Ferrada, «La casa sul cartello» – È un invito luminoso e commovente a sollevare lo sguardo per trovare finalmente il nostro posto nel mondo

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Titolo: La casa sul cartello
Autrice: Maria José Ferrada
 
Traduttrice: Marta Rota Núñez
Editore: Edicola Edizioni, 2022
 
Pagine: 142, Brossura
Prezzo di copertina: € 15
 
Quando lessi la Trilogia degli antenati di Calvino, mi si spalancò davanti agli occhi un mondo surreale, affascinante, tenero, a volte inquietante, che ora ho ritrovato in questo breve romanzo di M. José Ferrada, giornalista e scrittrice cilena, autrice di libri per bambini e di due romanzi per adulti, Kramp, diffuso nei Paesi ispanofoni e pubblicato in inglese, tedesco, portoghese, brasiliano e danese – mentre si attendono le traduzioni in polacco, francese, ungherese e turco – e questo, «La casa sul cartello», che con un linguaggio semplice, ma non banale, racconta la scelta di Ramòn, operaio in una fabbrica, di andare a vivere sull’enorme insegna della Coca-Cola, che è stato incaricato di custodire… ma certo non per 24 ore al giorno e per intere settimane!
Chi racconta la storia è Miguel, nipote di Paulina, sorella di sua madre e compagna di Ramòn.
 
Miguel è un ragazzo di undici anni che si arrampica sul cartello per stare con lo zio e guardare il suo piccolo mondo da una prospettiva assai diversa.
Ramòn allestisce una specie di appartamento, Paulina e Miguel gli sono vicini, nonostante la gente del quartiere dica che lui sia pazzo: «ci aveva messo trentasei anni per portare avanti la ricerca del silenzio…», nonostante la madre di Miguel non approvi queste visite.
Per il ragazzino, Ramòn «che fino a un paio di settimane prima era soltanto il marito di mia zia, da quando era salito nella casa sul cartello si era trasformato in una figura a metà tra un amico, un uccello e un maestro…oltre a sentirmi suo amico, mi sentivo anche complice…».
 
Miguel ascolta le domande di Paulina e comprende le risposte mute di Ramòn, lo vede osservare i colli e le luci, insieme mangiano una minestra di riso e un po’ di cioccolata che Miguel estrae dalle sue tasche.
Mentre il quartiere si interroga su Ramòn, arrivano nelle vicinanze i Senza Casa che per i residenti costituiscono un problema, accendono falò, approfittano della scarsa illuminazione per rubare…perciò proibiscono ai bambini delle case di fango di avvicinarsi, anche quando organizzano una festa per i loro bambini.
«I Senza Casa dovevano andarsene…Avevano tollerato di vederli dalle finestre…e poi si potevano sempre chiudere le tende quando accendevano i falò…».
 
Ramòn e i Senza Casa intimorivano, la gente ha paura di chi è diverso.
Miguel capisce che non può più andare alla casa sul cartello, «qualcosa mi diceva che era meglio essere prudente», capisce che la zia è stanca «di tirare quel filo che legava Ramòn alla terra.
E c’era dell’altro: da qualche tempo parlava della loro storia – agli altri ma soprattutto a sé stessa – al passato».
Piangono insieme, Paulina e Miguel quando lui le chiede: «Sei sicura che non scenderà?» «Anche se volesse scendere, ormai non potrebbe» «Per i vicini?» «Per sé stesso, Miguel»…
 
Il ragazzino capisce che «c’è un lato dell’amore, a cui non si dà il giusto peso, che consiste nel lasciare che l’altro segua la sua strada». E diventa adulto.
E vede la violenza dei vicini di casa, che a parole esaltavano la non violenza, quando per la scomparsa di un bambino tutti accusano i Senza Casa, «le palazzine non erano più quelle di un tempo…», accusano persino Ramòn!
Molto amara la conclusione.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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