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Storie di donne, letteratura di genere/ 492 – Di Luciana Grillo

Claudia Apablaza, «Storia della mia lingua» – Un lavoro molto interessante, da cui potrebbero scaturire commenti e discussioni

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Titolo: Storia della mia lingua
Autrice: Claudia Apablaza
 
Traduttrice: Marta Núñez Rota
Edicola Edizioni, 2023
 
Pagine: 136, Brossura
Prezzo di copertina: € 13
 
Il titolo incuriosisce: è la storia della lingua – ossia del linguaggio – o della lingua che tutti abbiamo in bocca?
Un po’ entrambe le cose: da un lato c’è il problema di comunicare, e dunque la lingua/linguaggio ne è lo strumento, dall’altro la lingua/parte del corpo deve essere usata correttamente, appoggiata sul palato quando si parla e si deglutisce. E osservando la lingua, si capisce anche il nostro stato di salute.
 
La comunicazione non è facile se gli interlocutori parlano lingue diverse, ma spesso la stessa lingua, da paese a paese, cambia: Claudia racconta che «durante il primo anno di università a Santiago, soltanto io e un’altra ragazza venivamo da Rancagua… Sin dal primo giorno ringraziai che fossimo in due a venire dallo stesso posto. Che non fossi sola. Qualcuno ci prendeva in giro, qualcun altro cercava di adeguarsi alla nostra parlata. Ci imitava. Ricordo che quell’anno cominciai anch’io a modificare il mio modo di parlare in maniera consapevole, imitando il loro».
Poi, arrivata in Spagna dal Cile, Claudia sente che gli spagnoli parlando sembrano cantare, mentre la sua lingua di origine le appare «piatta, monotona».
 
Alla lingua e ai denti sono stati dedicati vari romanzi, come L’ortopedia della lingua di Angela Neira-Munoz e «La storia dei miei denti», di Valeria Luiselli (recensita in questa rubrica), di lingua ha scritto Pessoa, «La mia patria è la mia lingua», come Maria Zambrano che ha confessato: «Io non sono mai rimasta senza patria, la mia patria è la lingua», come Herta Muller che ha scritto: «La lingua è la nostra patria? Parlare è un filo che bisogna annodare una e un’altra volta».
Una linguista spiega che «la lingua è teorica, è un codice, una convenzione sociale. È stabile. La parola è pratica, è l’uso del codice, ha un impiego individuale e variabile>»
 
Claudia si confronta con sua figlia, la cui lingua è spagnola, non dialettale, dunque la figlia per indicare un bambino dice bebé, lei guaga; e per parlare di pancia, la figlia dice tripa, la madre guata, estòmago, e così via.
Arrivano al punto che la figlia corregge la madre!
Dalla lingua/linguaggio alla scrittura il passo è breve, la scrittura è «una finestra posta tra la realtà e il dolore»; per la scrittrice Alaìde Ventura Medina «la lingua materna è il silenzio», per Claudia - che ripensa al passato e vuole ricostruire i ricordi - «la scrittura come diga, come chiusa».

Un lavoro molto interessante, da cui potrebbero scaturire commenti e discussioni.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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