Storie di donne, letteratura di genere/ 532 – Di Luciana Grillo
Federica Manzon, «Alma» – Un romanzo dove identità, memoria e Storia si cercano e si sfuggono continuamente, facendo di Trieste il punto focale
Titolo: lma
Autrice: Federica Manzon
Editore: Feltrinelli, 2024
Genere: letteratura femminile contemporanea
Pagine: 272, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
Ancora una volta Manzon scrive della città di confine in cui vive, della guerra in quella che oggi è l’ex Jugoslavia, dei rapporti fra paesi e popoli diversi costretti a condividere storia e vita.
È un tema impegnativo e affascinante, è la storia di due ragazzi che improvvisamente convivono sotto lo stesso tetto: lei è Alma, figlia di una mamma che aveva deluso i suoi genitori, perché «a pochi esami dalla laurea aveva lasciato l’università e sposato suo padre, lo slavo… lo zingaro senza passato, per lei la via di fuga per liberarsi in un solo colpo della famiglia, delle aspettative, dell’Austriaungheria».
Era innamorata follemente di quell’uomo di cui si ignorava il paese, la famiglia, il lavoro, quell’uomo tanto spesso assente, che lei accoglieva amorosamente ogni volta che tornava a casa: «quando lui entra in casa gli getta le braccia al collo e si aspetta che sia pronto ad ascoltare i suoi racconti, che la faccia ballare, la porti fuori a cena, che sotto le lenzuola le sussurri frasi oscene all’orecchio».
Alma, che non sa nulla dei nonni paterni, trascorre l’estate con i nonni materni, insieme parlano in tedesco o in dialetto, vivono in case diverse, il nonno ricorda poesie e cita i grandi della letteratura, la nonna va a vela e gioca a bridge, la nipotina trova «sempre un pigiama pulito per lei sotto il cuscino e frutta a colazione, un tavolo sgombro dove fare i compiti e matite con la punta ben temperata»… mentre nella casa sul Carso, «il lavello traboccava di piatti sporchi, i posacenere di sigarette, i divani di ospiti che andavano e venivano…».
Sono gli anni in cui i manicomi vengono chiusi, e i matti – per i quali lavorava la mamma – arrivavano a casa e «mordevano i piedi delle bambole di Alma come fossero chewing gum».
Poi, all’improvviso, arriva il papà con Vili, un ragazzino che dovrà stare con loro per qualche tempo, «che veniva dalla parte del mondo a cui apparteneva suo padre» e che «aveva cancellato definitivamente l’Austriaungheria».
Era magro e moro, taciturno e scontroso, impenetrabile; comincia ad andare a scuola, i compagni sono figli di contadini, lui arriva dalla città. Finiscono col picchiarsi.
Alma è indipendente, abituata ad andare in giro da sola, in sella alla sua bicicletta. Lentamente, i due ragazzi iniziano a parlarsi, a capirsi, anche se forse Alma è gelosa di Vili che, quando arriva il padre, esce con lui e si assentano per ore. Prima, il padre portava Alma «di là», sull’isola, poi non più.
«Non si può andare sempre dove si vuole – le aveva risposto».
La morte del Maresciallo Tito rompe il precario equilibrio, il padre di Alma dirada le sue visite nella casa sul Carso, ma Vili - incredibilmente - rimane a vivere lontano dai suoi genitori e comincia a frequentare il tempio ortodosso di San Spiridione, senza dirlo a nessuno. Alma però lo scopre, perché lo vede uscire dal tempio.
Crescono insieme questi due ragazzi, liberi di uscire, rientrare in casa senza alcun controllo; trovano i loro rifugi appartati forse cominciano ad amarsi.
Ma tutto questo è passato, Alma è andata via dalla sua città con un senso di liberazione eppure con una nostalgia struggente. Ritorna soltanto quando sa che il padre le ha lasciato qualcosa in eredità, e questo qualcosa lo ha affidato a Vili.
Per tre giorni, Alma ritrova i suoi luoghi del cuore, rivive ricordi e dolori, <<è questo il luogo della sua infanzia, le terrazze che chiamano Topolini…, gli scogli… il celebre tuffo a pipistrello… in camicia da notte e piedi nudi sul balcone liberty dell’hotel, Alma aspetta che il sole si affacci sulla città… guardare la propria città dal bacone di un hotel di lusso è essere stranieri…», rinvia l’incontro con Vili che ha rivisto a Belgrado e una volta in tv, ma ora non sa dove viva, sa soltanto che è diventato un apprezzato fotografo.
Poi, il giorno della Pasqua ortodossa, l’incontro non si può più rinviare. La chiesa di San Spiridione è gremita, «è lei che lo vede per prima. Vili è sul lato opposto della chiesa, il che significa a cinque, forse sei metri da lei», lui la raggiunge, le consegna una scatola e «non è il caso di aggiungere più nulla, ognuno deve andare per la sua strada da solo… La solitudine e le incomprensioni, tutto l’amore e tutti quei morti… la storia che risale agi imperi e che vorrebbero seppellire in fondo a una dolina, quei loro teneri anni, e anche tutti quei pensieri sul caos delle loro vite lontane.»
Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
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