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Storie di donne, letteratura di genere/ 252 – Di Luciana Grillo

Saveria Capecchi, «La comunicazione di genere – Prospettive teoriche e buone pratiche» – L'autrice ripercorre le fasi dal pensiero femminista e postfemminista

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Titolo: La comunicazione di genere.
            Prospettive teoriche e buone pratiche
 
Autrice: Saveria Capecchi
Editore: Carocci 2018
 
Pagine: 160, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
L’autrice, nell’affrontare la tematica complessa e drammaticamente attuale del genere, distingue il concetto di sesso da quello di genere e fa riferimento a due grandi intellettuali le cui teorie sulla condizione femminile sono utili e citate ancora oggi: Virginia Woolf e Simone de Beauvoir, che hanno evidenziato con chiarezza la discriminazione che la donna subisce sia nella sfera pubblica che in quella privata, quando è vista in una condizione di subalternità nei confronti del maschio.
Tanto docile e remissiva lei, quanto forte e virile lui.
Aggressivo, rude, competitivo il maschio, remissiva, passiva, insicura la femmina, più adatta alla cura, più portata alle discipline letterarie e artistiche, sempre bisognosa di protezione.
 
E questi sono solo alcuni degli stereotipi che circolano ai nostri giorni, che guidano scelte commerciali e pubblicitarie.
Per fortuna, contro la pubblicità lesiva della dignità femminile si po’ intervenire, segnalando gli spot all’Istituto di autodisciplina pubblicitaria.
Il femminismo ha combattuto varie battaglie nel secolo scorso, a partire addirittura dalla metà del XIX, per cui oggi possiamo parlare di un femminismo di seconda (o terza) ondata che si muove contro «la mascolinizzazione della donna emancipata, ovvero contro l’assimilazione femminile ai modelli di comportamento e di pensiero maschili», che considera «il lavoro domestico e di cura non retribuito delle donne… uno sfruttamento da parte dello Stato».
 
Se, dunque, il modello della parità ha caratterizzato la prima fase del femminismo, successivamente si è capito quanto fosse necessario valorizzare la cultura femminile.
Luce Irigaray nel 1987 ha parlato di una cultura a due «che riequilibri il potere tra uomini e donne, dando valore al genere femminile, dando voce alle donne».
E naturalmente emerge anche il problema delle differenze fra donne, diverse per istruzione, razza, religione, ecc.
 
Capecchi elenca i movimenti nati negli ultimi anni, da Non una di meno a One Billion Rising, da #MeeToo a Qellavoltache e sottolinea il passaggio da donne-oggetto a donne-soggetto «che scelgono liberamente di oggettivare il proprio corpo… al fine di avere successo in ogni ambito della vita: lavoro, sesso, figli, relazioni sociali», per arrivare a trattare il tema donna/politica citando come esempi alcune politiche che «rispetto a uno stile austero, rigido, maschile che mortifica la bellezza femminile… cercano di mostrarsi belle, eleganti, intelligenti e brave» e ricordando che, «diversamente da quanto avviene per gli uomini politici, i riflettori si accendono spesso sulla dimensione privata e in particolare viene maggiormente spettacolarizzato e giudicato il loro corpo, abbigliamento compreso».
 
Molto interessanti sono i riferimenti al mondo della pubblicità, dell’economia, dello spettacolo, dove compaiono personaggi femminili attuali e complessi «che mirano a veicolare principi e valori femministi», della storia e della filosofia, del lavoro al quale le donne sono costrette ad avvicinarsi a partire dalla prima guerra mondiale, ma sempre «in una condizione provvisoria di cittadinanza», cioè solo e sempre in sostituzione temporanea degli uomini impegnati in quel periodo al fronte.
Unico risultato tangibile fu la concessione del diritto di voto. Nel secondo dopoguerra, «con l’entrata nel mercato del lavoro ufficiale, le donne non hanno abbandonato il loro coinvolgimento nell’area della riproduzione, ma hanno svolto due lavori, quello familiare e quello extradomestico… doppio ruolo, un doppio lavoro di cui uno soltanto è pagato e riconosciuto socialmente.»
 
Capecchi va avanti, arriva al concetto di pari opportunità fra uomo e donna sottolineato sia dal trattato di Maastricht nel 1993 che dalle Conferenze mondiali delle donne (Città del Messico 1975, Nairobi 1985, Pechino 1995…), sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) che dalla Carta delle Donne del 2010 e fornisce un elenco delle regioni italiane attente alla comunicazione istituzionale in ottica di genere.
E non poteva mancare, in un testo così rigoroso e completo, un settore dedicato alla violenza di genere di cui, come ci insegna quotidianamente la cronaca, non si parla mai abbastanza.
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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