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Storie di donne, letteratura di genere/ 303 – Di Luciana Grillo

Allegra Salvini, «Cartoline da Lesbo» – Grazie, Allegra, qualcuno di noi, dopo averti letto, forse capirà…

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Titolo: Cartoline da Lesbo
Autrice: Allegra Salvini
 
Editore: Edizioni Clichy 2019
Genere: Immigrazioni
 
Pagine: 141, Brossura
Prezzo di copertina: € 15
 
A Natale suggeriamo ai bambini di essere buoni, ma noi adulti spesso ce ne dimentichiamo e trasformiamo una festività religiosa nella fiera delle vanità e del consumismo sfrenato.
Questo piccolo libro ci riporta con i piedi a terra, sull’isola dove nacque Saffo, dove si respira un’aria poetica e romantica, dove distratti turisti si riposano tra mare e cielo.
Eppure, in una parte di questo paradiso terrestre, Allegra Salvini ha trovato un inferno, lavorando per cinque mesi per conto di una ONG nel campo profughi di Moria, dove sono ammassati i profughi che sognando l’Europa si sono mossi dai loro Paesi.
 
Per loro l’isola di Lesbo, che dista poche miglia dalla Turchia, doveva essere solo luogo di passaggio; si è trasformata invece in un vero e proprio luogo di permanenza: il campo di Moria era stato pensato per ospitare circa tremila persone; in certi periodi i richiedenti asilo sono stati anche novemila.
Allegra Salvini ha vissuto con loro, li ha conosciuti, ha parlato dei loro problemi, ha cercato di assisterli e di rendere meno penosa la loro condizione.
E per far sapere a tutti cosa sia davvero il campo ha scritto le sue Cartoline da Lesbo «con l’intento di ridare umanità a coloro che sono stati eclissati dalla percezione generale di un’enorme crisi che ha stravolto l’Unione Europea…».
 
Forte della sua laurea in Scienze Politiche, informata perfettamente sui migranti grazie alle ricerche fatte per la sua tesi in Diritto Internazionale sull’accordo del 2016 tra l’Europa e la Turchia, Allegra ha accolto migranti infreddoliti sulla spiaggia, ben sapendo che, per loro, «il peggio non è mica passato», li ha guardati negli occhi, ha parlato con loro, ha sorriso a Samer, un ragazzo iracheno che «se ne sta fuori dalla sua (tenda), con sguardo perso nel vuoto, a sgranocchiare semi di girasole», ha assistito allo spettacolo dal nome impronunciabile «Mahabharabbit» realizzato da «bambini e adulti,… rifugiati, locali, migranti e volontari…», ha riso e applaudito,… «eppure io continuo chiedermi… Possibile che per vedere situazioni di umanità condivisa come questa, si debba aspettare di ritrovarci in realtà di estrema sofferenza e incertezza come quella di oggi su quest’isola?».
 
Le cartoline ci rivelano situazioni complesse, spesso difficili da capire per chi vive a chilometri di distanza in case confortevoli: Allegra soccorre i migranti che scendono da un barcone, afferra «minuscoli pacchi. Mi accorgo nel momento i cui tocco i pacchi che sono bambini piccolissimi, di neanche due mesi… No, basta, non si può. Continuiamo a offrire braccia, mani e spalle a uomini, donne e tanti, tanti bambini».
E dopo aver affidato i migranti alla Guardia Costiera, i volontari tornano alla loro postazione abituale «e chissà cosa si porta dietro, oltre allo zainetto con cui è arrivato a inizio turno – pensa Allegra – affranta testimone di questa nottata interminabile».
 
Un amico di Allegra si chiama Yusuf, è un siriano di ventisette anni che ha lasciato casa, famiglia e università in cerca di una vita migliore per sé, per sua moglie, per i loro tre bambini.
Per dieci volte ha cercato di lasciare la Siria, poi una volta raggiunta la Turchia ha pensato di attendere la sua famiglia rimasta in Siria, senza successo.
Un’altra cartolina parla di Dino, maestro di yoga, che riunisce intorno a sé tanta gente, «non c’è lezione in cui ci siano meno di dieci nazionalità», dopo il maestro bostoniano vede che «le persone si sentono più forti, scoprono una via per superare le difficoltà… credo che la comunità che si è formata per molti di noi, soli su quest’isola, stia pian piano diventando una sorta di grande famiglia».
 
Proviene dall’Iran Imam, che da dieci mesi è arrivato sull’isola e ha presentato la domanda di asilo.
Vive su una spiaggia, in tenda e sacco a pelo dopo aver corso tanti pericoli, dopo il passaggio in Turchia dove ha subito furti e violenza.
Lesbo «è oggi per Imam un luogo dove, nonostante le pessime condizioni dei campi e l’attesa snervante per avere una risposta alla domanda di asilo, la libertà di espressione è consentita e soltanto questo lo ha riportato in vita».
 
In nove cartoline, Allegra Salvini ha raccontato Lesbo, anche offrendoci testimonianze di greci che su quest’isola sono nati e vivono, accettando i cambiamenti, modificando la loro vita, come Niki, prima proprietaria di un bar sempre affollato, «punto di incontro per gli studenti universitari», ora frequentatrice dei corsi di yoga e antiquaria.
«Dopo tutto – dice – su quest’isola siamo tutti figli o nipoti di rifugiati… dai tempi delle Crociate, poi con i genovesi, con i turchi… Siamo sempre stati abituati a convivere con persone di ogni dove».
 
L’ultima cartolina riporta voci dei volontari, che arrivano sull’isola spinti «da un senso di responsabilità condivisa per la nostra Europa», oppure per insegnare ai rifugiati un mestiere, oppure per un senso di colpa nei confronti dei migranti.
La decima cartolina è quella del ritorno a casa, dove Allegra è raggiunta da messaggi e dove a volte è «sopraffatta dai ricordi dei tanti per i quali ho provato a fare da tramite con chi si ostina a non voler sapere».

Grazie, Allegra, qualcuno di noi, dopo averti letto, forse capirà.

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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