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Storie di donne, letteratura di genere/ 321 – Di Luciana Grillo

Irene Salvatori: «Non è vero che non siamo stati felici – Lettura dolorosa ma coinvolgente, penetrante e affascinante

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Titolo: Non è vero che non siamo stati felici
Autrice: Irene Salvatori
 
Editore: Bollati Boringhieri 2019
Genere: Narrativa moderna
 
Pagine: 266, Brossura
Prezzo di copertina: € 16,50
 
Irene Salvatori ha lo straordinario dono di rendere lievi argomenti dolorosi, come fa in ogni pagina di questo romanzo in cui, scrivendo su un’agenda, parla ininterrottamente con la madre perduta e mai pensata morta, solo assente, mai dimenticata.
Attraversa l’Europa con due cani e tre figli, nella ricerca struggente di un luogo in cui fermarsi, un luogo in cui sentirsi a casa, la Heimat dove ritrovare affetti e persone del suo passato.
E soprattutto sua madre… «Heimat per me era ancora tornare a casa da scuola e trovare la padella sul fornello coperta, era il gesto di alzare il coperchio e trovare la mia metà di pranzo di quello che avevi cucinato per noi, era saperti su, in camera tua, era alzare la voce e dirti Son tornata».
 
Alla mamma racconta che non stava bene in Italia, si sentiva fuori posto e allora «me ne andai dentro un’altra lingua… dentro una lingua che nessuno di voi aveva mai conosciuto… tutto quello che mi ricordava la nostra lingua eri te ed ero già piena di te… la sola salvezza era darmi in adozione».
Poi le dice che ha tre bambini, che la chiamano mamma, e davanti a questa parola sa di non dover fuggire: «nel momento in cui mi hanno dato un regalo chiamandomi Mamma, mi sono smontata e sono venuta giù come una torre dei lego».
 
Strani i nomi dei bambini, Gauguin, Scoiattola e Caravaggio; la bimba somiglia alla nonna, «gli stessi movimenti, il viso, i colori. Ha il tuo sguardo», ha tredici anni, fa un po’ fatica a scuola, ma deve imparare a farcela senza di me, perché soffocavo di paura all’idea che sarebbe capitato all’improvviso, come era successo a me e che non sarebbe stata pronta, come non lo ero stata io».
Dispiace a questa figlia che sua madre non possa conoscere i bambini, che non possa «vedere come crescono diversamente questi tuoi nipoti abeti in un bosco di palme… Dove sei mamma… dove sei andata… e quanto dura ancora questo tuo viaggio…».
 
Salvatori, diventata madre quando si sentiva ancora figlia, cerca di costruire pensieri e parole che le riportino la madre, scrive poesie, trova conforto e forza nella lettura: «I libri sono come gli alberi, aiutano sempre, anzi, nei libri ci entri dentro e il silenzio per un attimo rimane fuori», ripensa ai suoi studi, a quel Foscolo che la mamma le chiedeva di studiare, anche quando da ragazza avrebbe preferito Stephen King: «Alla fine, comunque hai avuto la meglio, perché il tuo Foscolo mi si è radicato dentro e sempre fuggendo di gente in gente ci sono andata eccome».
Ai figli, che non hanno conosciuto la nonna, ma che la guardano in foto e la considerano mamma della mamma, l’autrice vuol far capire quanto sia importante il loro legame, e glielo ripete, «viviamolo come un miracolo lo stare insieme, perché questo è e quanto dura non lo sappiamo».
 
E comunque, da mamma si sente fragile, si muove «tra i cristalli delle emozioni e dei sentimenti, delle meraviglie dell’amore e degli incontri… Dovrei fare da esempio ai miei figlioli? Cosa sono in grado di dire loro? Devo aiutarli a crescere e mi par di camminare gattoni sulla sabbia…».
Come la sua mamma le proponeva di leggere Foscolo, così lei elenca le Bronte, Emily Dickinson, Simenon… e tra una citazione di Kafka e del suo scarafaggio, di Gadda e di Dickens, di Musil, Allan Poe ed Elsa Morante questa mamma alla continua ricerca della sua mamma lavora, traduce, scrive: «Perché scrivere… che cos’è scrivere?... Per darsi un buon voto al riassunto della vita, senza aver dimenticato qualcosa di importante, che poi si perde. O per farsi compagnia raccontando una storia».
 
Dunque, scrive per lavoro e scrive (alla sua mamma) per amore, «le pagine di questa tua agenda stanno finendo…spero di averti raccontato questi quindici anni…spero che dopo aver letto tutto questo potrai tornare senza sentirti spaesata…»
Finite le pagine dell’agenda, la figlia finalmente si sente sicura, nella sua Heimat.
Lettura dolorosa, ma coinvolgente, penetrante: credo che ogni lettrice e ogni lettore non possa sfuggire al fascino di queste pagine.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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