San Vigilio non è solo una festa laica – Di Maurizio Bornancin
L'«Aldilà» nella lettera alla comunità Trentina di Vescovo Lauro in occasione della Festa del Patrono di Trento

>
La festa del Patrono della città, S. Vigilio, crea interesse, fortifica il valore della comunità per l’ambiente culturale, folcloristico, storico e religioso che ne scaturisce.
Le sfilate in costume e la storica sfida tra i Ciusi e i Gobi, sono considerati momenti di divertimento per la popolazione e per i turisti.
Una manifestazione, una tradizione che parla della storia e del ricordo, sia pure simbolico, della stazione di sosta che S.Vigilio fece costruire a Trento, proprio per i pellegrini di passaggio da una regione all’altra e dove per l’occasione era offerto loro un semplice pezzo di pane.
Circostanza da anni rievocata dall’Associazione dei Panificatori Trentini, per ricordare il santo e per qualificare il pane, bene essenziale, prodotto artigianalmente e con fatica dai fornai presenti con il loro lavoro in tutto il territorio trentino.
In questo momento celebrativo il Vescovo Tisi consegna come dono ai partecipanti alla funzione religiosa in Cattedrale una «Lettera alla comunità Trentina».
Questo rito si ripete ogni anno, con argomenti nuovi e di attualità che rappresentano considerazioni del percorso sociale del momento, o meglio delle vicende e degli avvenimenti particolari che hanno interessato ogni singolo anno.
Una forma di collegamento con la gente trentina, che affronta i tempi attuali del vivere quotidiano, delle trasformazioni in atto delle nuove tecnologie che toccano non solo il sistema produttivo, ma anche la vita di ognuno di noi, oltre alle difficoltà delle famiglie e delle imprese, delle innovazioni tecnologiche e dell’intelligenza artificiale che in questo tempo creano un metodo di accelerazione, che sfocia in casi sin troppo frequenti di solitudine, soprattutto nei giovani.
Per memoria citiamo alcuni titoli delle precedenti lettere partendo dall’inizio del mandato del vescovo: «Silenzio e attesa», «La Vita è bella», «Come goccia», «Noi restiamo vulnerabili», «Occhi», «la Scommessa», «La Strada», «Lievito e sale».
Questi strumenti, rivolti ai credenti, ma anche alle persone di religioni diverse o ai miscredenti, hanno un filo che unisce, o meglio spinge a una riflessione personale sulla propria esistenza, è un portarsi a casa qualcosa per poi riscoprire e ripensare al modo di essere di ognuno.
Il Vescovo, nella lettera per questo 2025 segnato da guerre, situazioni difficili sia economiche che sociali, aumento della povertà anche nelle comunità trentine, ha messo in chiaro alcuni aspetti della vita della chiesa, e della questione essenziale dell’umano che è data dalla fraternità.
Come per gli anni precedenti, cercherò qui di interpretare il pensiero contenuto in questo opuscolo, o meglio un tentativo per riflettere su ciò che ha più colpito e destato un certo interesse, non solo a chi scrive, ma alle diverse persone che hanno avuto tra le mani questo libretto; sono argomenti certamente interessanti, ma possono essere trattati solo con la massima attenzione, proprio per l’importanza e la delicatezza dei contenuti.
Uno dei punti centrali del pensiero e della visione del Vescovo Lauro è il capire che non c’è alternativa alla realtà attuale: o fraternità intesa come unità o solitudine. La fraternità è la questione oggi essenziale dell’umano, altrimenti si resta soli null’altro che soli e sempre più soli. Un appello alla fraternità che è anteposta da un’amara constatazione dove il futuro immaginato come opportunità, come novità, sembra non essere più una vera esperienza. Una delle ultime volte in cui l’umanità ha gustato il futuro, come nuova vita, forza e capacità, è stata il momento in cui l’uomo ha scoperto la luna; ma quella grande emozione è durata il tempo dell’avvenimento.
La minaccia è data dalla sfiducia che abbiamo nei confronti della persona dove, per paura o per convinzione, ognuno deve guardarsi alle spalle. Da ciò l’assenza di speranza per il futuro, perché una persona emancipata invece di portare liberà, sogno, fiducia e partecipazione, alimenta sospetti, angoscia, solitudine.
Nel commentare le parole di San Paolo agli Efesini, Lauro ha evidenziato che l’incontrare uomini e donne diventa il terreno fertile del fidarsi, del perdonare, dell’abbracciarsi, questo deve diventare la persona nuova.
Porta anche alcuni esempi reali che possono impegnare a cercare di capire personalmente o anche insieme, in gruppo, la realtà per ricavare qualche traccia che possa restare nel tempo.
A dimostrazione di ciò racconta l’esempio di una donna che ha incontrato durante la Visita pastorale nella diocesi trentina, una madre vicina alla morte per un male incurabile, con marito e quattro figli oltre ad un’attività a gestione familiare. Questa donna chiese di conferirle l’unzione degli infermi davanti ai figli, per far capire loro come si può compiere l’ultimo passo da credenti, nella fiducia che non potrà essere l’ultimo. Ecco nella sofferenza, una visione concreta di speranza e di coraggio.
L’ispirazione a scrivere dell’Al-di-là, contenuto nel testo in cui si affronta il tema tanto discusso della morte, è emersa con forza dall’esperienza vissuta con don Mauro Leonardelli, che riteneva che la morte noi la vediamo ogni giorno. Il fine vita resta per credenti e per non credenti, una grande domanda. Anche la vita eterna non la dobbiamo immaginare come qualcosa che inizia solo dopo la morte, ma c’è una vita eterna che è già qui, viva e presente ed è quella del Vangelo, è quel fidarsi degli altri.
La vita eterna non è un’attesa passiva, ma una relazione dinamica, personale, concreta e presente.
In questa analisi si è presentata la lezione di fede di don Mauro che, pur toccato da una malattia improvvisa, ha continuato a credere che la vita eterna deve essere considerata una realtà viva e presente.
Il titolo di questa decima lettera dall’avvio dell’episcopato del Vescovo di Trento ci trasferisce nella riflessione del pensiero e del cuore, di andare oltre alla semplice visione lontana della vita eterna, ma si realizza ogni giorno grazie alla fede. Altri temi sono stati trattati in questo messaggio e nominati come: Scintilla, Giudizio, Desiderio, Perdono, con esperienze vissute dalle persone.
In questi concetti sono stati descritti come importanti per la vita, l’ascolto, il dialogo, il perdono che sono considerate come l’anticipo della vita stessa. Nelle citare Sant’Agostino, don Lauro ha messo in chiaro che per questo santo il desiderio era apertura, attesa, chiamata a una pienezza di un cammino condiviso. Altri riferimenti sono stati presi in considerazione dai messaggi di personalità come: Milena Mariani, del Teologo Karl Rahner, di Franco Manzi.
Sulla chiesa di oggi, ha sostenuto che è necessaria una scossa anche verso le persone che non credono, non deve essere temuta questa chiesa, non fa paura, non deve temerla nemmeno un non credente, perché come si possono temere uomini e donne che invertono la rotta e al posto di dire io dicono noi?
La via del perdono è una sfida, non è più l’opzione debole di chi è senza personalità, ma è l’alternativa coraggiosa alla logica della vendetta e della ritorsione. Non esistono uomini sbagliati, ma persone che nel loro vivere hanno sbagliato e questo è una cosa diversa.
La conclusione, quasi un invito all’importanza di tornare alla sorgente e al mettere al centro l’umanità. Un’esortazione ad avere fiducia in noi stessi e negli altri, dove le persone forti non sono quelle che s’impongono sugli altri, ma lasciano esistere gli altri per quello che sono e per quello che rappresentano nella loro azione quotidiana.
La ventunesima pagina di questa narrazione è un riconoscimento alla persona e alla vita di Sara Piffer, giovane ciclista di diciannove anni di Palù di Giovo, travolta da un’auto, i cui genitori non hanno esitato a perdonare l’autista. Dagli appunti dei quaderni di scuola di questa ragazza, dai suoi scritti, il coro di S. Valentino di Palù ha dedicato un canto che mette in luce le caratteristiche di questa giovane credente e impegnata.
Un ricordo sincero, che invita a leggere la vita come dono e a credere, anche nei tempi più bui, senza paura.
Questo interessante documento, che insieme a quelli degli anni precedenti è diventato una buona e profonda consuetudine, rappresenta la consapevolezza di una chiesa che in questi particolari e difficili periodi è ancora capace di portare una nuova speranza, di dialogare e d’incontrare con fiducia gli altri.
Queste caratteristiche, sono per noi uno stimolo al pensare, al fare, al seguire il cambiamento, una sorta di aiuto originale alla crescita umana e interiore.
A cura di Maurizio Bornancin - [email protected]