110 anni fa l’anno di sangue per l’Italia: il 1915 – Quarta parte
I costi della guerra e il ridicolo Patto di Londra: si va verso il disastro

Il Patto di Londra.
Come abbiamo visto nella
puntata dedicata alla situazione del Regio Esercito Italiano, il paese
si trovava nell’impossibilità di sostenere una guerra.
Abbiamo visto
che, comunque, da una parte o dall’altra l’Italia sarebbe dovuta
scendere in campo. Ne abbiamo parlato: oggi nessuno di noi approverebbe
l’entrata in guerra, ma allora il destino era segnato. Agli inizi del
1915 non si profilavano né vinti né vincitori, ma il Paese si stava
orientando in maniera sempre più decisa verso l’intervento a fianco
dell’Intesa.
Gli scioperi organizzati dai pacifisti e dal Partito socialista raccoglievano sempre meno adesioni.
Cadorna
e il ministro della difesa si dovettero quindi adoperare per
rammodernare l’esercito nel più breve tempo possibile, cercando di
riempire il Gap che ci separava dalle forze armate delle altre nazioni.
In quelle condizioni poteva contare solo sul milione di uomini che
offriva il Paese, sui loro fucili e sulle loro baionette
Il Re aveva
lanciato un prestito di un miliardo il 19 dicembre e l’11 gennaio era
già stato coperto. Ma l’Italia avrebbe avuto bisogno di almeno un anno
per portarsi a livello europeo.
A partire dalle strutture e infrastrutture capaci di contenere un eventuale attacco austro ungarico.
L’Austria,
nonostante il patto della Triplice, aveva da tempo costruito una linea
formidabile di fortini che andavano dal Trentino al Friuli. Sia pure in
ritardo, anche i nostri comandi cominciarono ad adeguarsi costruendo dei
forti dirimpettai a quelli austriaci. Alla faccia della reciproca
fiducia.
Ma a ben vedere gli studi militari fatti dagli osservatori militari italiani, un piano B
lo avevamo anche noi. Le linee difensive furono dapprima concentrate in
funzione del fiume Adige e della capacità di concentrare in breve tempo
truppe numerose, ma poi la costruzione di nuove linee ferroviarie e
nuove strade alpine consentì di formulare piani di difesa che
consentissero la riduzione del sacrificio territoriale.
Un forte costruito dagli austriaci in Trentino.
Trasferendo
le linee strategiche al Piave e al Livenza, tuttavia, le popolazioni del
Friuli e del Bellunese protestarono per l’ipotesi di abbandono al
nemico. Ma il tempo concesse di migliorare ancora la situazione e
avanzare ancora la linea al Tagliamento.
Il generale Pollio avviò la costruzione di opportune linee di difesa in prossimità del Friuli e del Trentino.
Sul
Tagliamento predispose una difesa attiva a tenaglia, con i due bracci
disposti a monte e a valle del fiume, costruendo fortificazioni fisse
per il primo e predisponendo eventuali teste di ponte a Codroipo e a
Latisana per il secondo. La linea del Tagliamento era collegata con la
linea difensiva nel Cadore (12 forti).
La linea montana, invece,
consolidava la linea di difesa con le piazzeforti dello Stelvio (un
forte), del Tonale (2 forti), delle Giudicarie (due forti), del Garda
(due forti), dell’Adige (nove forti) e degli altipiani con 12 forti tra
Posina, i fiumi Astico e Brenta.
Parliamo dell’Italia, sia ben
chiaro: l’Austria aveva da tempo realizzato le strutture necessarie a
proteggere la piazzaforte di Trento.
Se le nostre costruzioni
avvennero in modo da non far sospettare l’alleato, alla fine si dovette
abbandonate la prudenza, perché Cadorna trovò 13 opere corazzate non
ancora finite. Allo scoppio della guerra diede ordini affinché venissero
completate alla svelta. Alcune fortificazioni, troppo indietro con i
lavori, vennero abbandonate.
Quando sarà il momento, cadorna
trasferì artiglierie fisse dalle piazzeforti del Tagliamento per
metterle a disposizione dell’esercito in movimento.
Il suo
obbiettivo si portava più in là: sull’Isonzo. La sua idea di guerra di
movimento consisteva nello sfondare a oriente e congiungersi con
l’esercito serbo. L’idea era buona, ma cozzava contro due ostacoli, la
solida difesa austriaca e l’impossibilità oggettiva di trasportare in
fretta masse di militari così gigantesche.
Come avevano dimostrato i
tedeschi nella guerra Austro-Prussiana prima e in quella
Franco-Prussiana poi, i successi erano dovuti alla capacità logistica di
trasportare i soldati secondo piani prestabiliti. Una buona capacità di
movimento poteva risultare strategica anche in Italia nei rinforzi del
caso.
Cadorna allora studiò la rete ferroviaria a ridosso delle linee di
frontiera delle Tre Venezie.
Nel Friuli c’erano solo due linee
ferroviarie, la Udine-Gorizia e la Cervignano-Trieste. Portavano
entrambe all’Isonzo ma erano a un solo binario. Più indietro c’erano tre
linee a doppio binario che portavano al Tagliamento: Codroipo, San Vito
e Latisana.
Le condizioni erano di poco migliori a ridosso del Piave e dell’Adige.
Era
necessario dunque disporre di autocarri. Con l’Italia già grande
produttrice di automobili, l’esercito disponeva solo di pochi automezzi.
Da dallo scoppio della guerra del 28 luglio 1914 al 24 maggio 1915,
Cadorna acquisì 3.500 autocarri, in parte costruiti dalla FIAT, in parte
requisiti ai privati nell’ultimo mese di pace.
Un maggio radioso a Londra nel 1915.
Ed ora vediamo cosa stava accadendo a livello diplomatico e politico del Paese.
L’Intesa
era estremamente interessata all’entrata in guerra dell’Italia.
L’apertura di un fronte meridionale dell'Austria Ungheria poteva far
impegnare di più l’esercito tedesco che già era costretto a soccorrere
quello austriaco. Quindi anche Inghilterra e Francia fecero le loro
proposte.
Ovviamente non si parlava più di Nizza, Corsica e Tunisia.
Quest’ultima poteva essere argomento di trattativa, ma anche per gli
alleati non si parlava di cessioni immediate ma solo a fine guerra e
sempre che fosse stata vinta.
L’Italia accettò l’idea di non ricevere
compensi immediati Ma fu un errore, perché – passata l’emozione del
momento – nessuno avrebbe voluto poi mantenere i propri impegni. Impegni
che, sulla carta, erano indicati in 16 capoversi del Patto che veniva
proposto al nostro paese.
Eccone alcuni.
- La Russia doveva mantenere il proprio impegno in termini di risorse umane militari contro gli Imperi Centrali.
- Le forze navali della Francia e della Gran Bretagna avrebbero sostenuto l’attività contro la flotta austriaca.
- L’Italia avrebbe ricevuto un eventuale contributo militare adeguato alle necessità del caso.
-
L’Inghilterra avrebbe creato le condizioni favorevoli per ottenere un
prestito sui mercati finanziari londinesi (un prestito, si badi bene,
non un finanziamento. Cioè soldi che avremmo comunque dovuto
restituire).
- In forza al trattato di pace l’Italia avrebbe ricevuto tutto il Tirolo meridionale, cioè al di qua del Brennero.
-
Avrebbe ottenuto la città di Trieste «e dintorni», le contee di Gorizia
e di Gradisca, tutta l’Istria fino al Quarnaro, incluse Voloska e le
isole di kerso e Lussin, altre 8tto isole comprensive delle loro
isolette di pertinenza.
- La Dalmazia nella sua estensione di allora.
-
Tutte le isole a nord e a ovest delle coste della Dalmazia, inclusa
Pelagosa ma escluse le isole di Zirona, Buja, Solta e Brazza.
- Il
pieno dominio di Valona (avevamo già occupato l’Albania) con
l’aggiustamento delle frontiere a favore di una migliore protezione
militare.
- Una parte della Turchia, confinante con la provincia di Adalia.
-
Nella spartizione delle colonie tedesche in Africa, l’Italia avrebbe
potuto solo allargare i propri territori di Libia, Eritrea e Somalia.
Per
contro, l’Italia da parte sua si obbligava a «condurre la guerra con
tutti i mezzi a sua disposizione, d’accordo con Francia Inghilterra e
Russia, e contro gli stati in guerra contro di esse».
In altre
parole, non si entrava in guerra solo contro l’Austria ma anche contro
paesi con i quali l’Italia non aveva nulla da recriminare.
Insomma, a
ben vedere, il patto che il nostro ambasciatore a Londra, marchese
Imperiali, avrebbe firmato, portava al Paese impegni immediati
onerosissimi, a fronte di compensi futuri e aiuti inconsistenti. E
soprattutto con nessuna garanzia.
Ci avevano appiccicato la patacca.
Da
una parte la resistenza della Russia era già appesa a un filo,
dall’altra non avevamo le risorse finanziare per sostenere la guerra.
I costi della quale erano stati così quantificati dai ragionieri di stato:
All’Intesa
il costo della guerra era stato preventivato in un costo giornaliero di
280 milioni di franchi al giorno, pari a 102 miliardi di franchi
al’anno.
In Austria la guerra costava un miliardo al mese, in Germania 1,5 miliardi.
In
Italia era stata preventivata una necessità di cassa da un miliardo di
Lire al mese, cioè ogni 30 giorni era necessaria una cifra pari al
prestito lanciato dal Governo a Dicembre per adeguare l’esercito. Londra
si era adoperata per collocare sui mercati finanziari 50 milioni di
sterline per l'Italia, pari a 1,25 miliardi di lire.
E poi?
Indubbiamente gli alleati ci avrebbero prestato altri quattrini, però si trattava a tutti gli effetti di un salto nel buio.
Gli
osservatori di allora parlarono di «generosità di Salandra», e non
avevano torto: prima ancora di scendere in campo, il Governo italiano si
era impegnato a una guerra lunghissima, asprissima, cruenta e costosa
in termini di perdite umane e di risorse, a fronte di compensi
assolutamente ridicoli e aleatori.
Il patto di Londra, assurdo agli
occhi di oggi, sarebbe stato firmato il 26 aprile, con l’obbligo di
scendere in guerra entro un mese da quella data.
Ma ne parleremo nella prossima puntata, quella della dichiarazione di guerra dell’Italia.
Guido de Mozzi
Domani continua con la quinta parte: arriva il fatidico 24 maggio
(Link alla puntata precedente)