Storie di donne, letteratura di genere/ 336 – Di Luciana Grillo
Francesca Sifola, «Connessioni» – Una storia intensa e vibrante che dimostra quanto il pensiero e la volontà possano indirizzare la nostra vita
Titolo: Connessioni
Autrice: Francesca Sifola
Editore: Europa Edizioni 2020
Genere: Letteratura contemporanea
Pagine: 236, Brossura
Prezzo di copertina: € 15,90
La protagonista di questo romanzo è una donna forte, libera, che lavora tra Napoli e Roma, è figlia unica, ha avuto un rapporto difficile con sua madre.
Racconta in prima persona la sua vita, la sua storia d’amore con un uomo conosciuto dieci anni prima e frequentato per lavoro, infelicemente sposato.
Non sono due ragazzini, ma persone mature, «due personaggi da fumetto, malgrado le reciproche venerande età. Chi ha detto che l’età allontana quella freschezza di comportamento e di pulsioni…? Noi ne eravamo la prova: lì, pronti per essere cotti e mangiati dall’amore. Per pudore non lo scrivo con la a maiuscola… e poi perché Liala potrebbe sentirsi troppo lusingata».
Coraggio, sentimenti intensi, ironia e autoironia caratterizzano questa protagonista che sa di dover essere forte anche per lui che «stava andando a impantanarsi nelle sabbie mobili, gridando aiuto con un filo di voce».
Cresciuta in una famiglia in cui «tutto doveva essere taciuto, la felicità come la sofferenza», lei vuole ridere a squarciagola, esprimere con vigore sentimenti di gioia, perché capisce che sta «cominciando a navigare in un mare di felicità. A grandi bracciate…Il mare! Lo ritenevo una specie di estensione dell’anima…».
Questa donna ama «stare lontana dagli esseri umani… perché in totale solitudine mi si apre un’altra vita… pur di essere lucida, nella razionalità come nel romanticismo più sfrenato, ho sempre afferrato il toro per le corna», mentre lui «ha sempre negato l’evidenza pur di non affrontare se stesso».
Dunque, esseri diversi, eppure amanti appassionati, lui si difende mentendo, indossando una maschera di normalità e perbenismo.
La narrazione di questo amore procede con ordine, date precise indicano luoghi e incontri, dal 2001 – quando inizia la relazione – al 2003, quando trascorrono due giorni a Bellagio, giorni vibranti ma problematici, mentre lui si pone domande che invano attendono una risposta («Come faremo? Non potrò mai lasciare la mia famiglia, farei del male a troppe persone!»); nel 2005 si ritrovano a Siena, poi ancora se ne vanno a Innsbruck a trovare un amico ammalato, in una clinica dove «tutto sembrava immutato e sospeso»; nel 2006 sono a Matera, nell’incanto dei «Sassi addobbati per le feste di Natale» e ancora seguono le vicende di Claudio, fino alla primavera 2007, quando l’amico muore.
Lei, non volendo «recitare una parte che non era la mia, ma quella di un’estranea qualunque», non va al funerale; lui sì, «lui e la sua famiglia erano bellissimi, lei (la moglie) c’era e aveva fatto la sua parte come aveva desiderato…».
Ancora al suo cinquantesimo compleanno, sono insieme, e quell’occasione è – forse per entrambi – uno splendido intervallo contro il dolore, ma poi un orecchino che si rompe è un segnale nefasto: «da quel momento cominciai a sentirmi inquieta e insicura e su quell’orecchino ridotto in frantumi… proiettai la paura che qualcosa di insopportabile fosse in arrivo».
Correva l’anno 2008. 11 settembre 2008: con una telefonata la storia si chiude.
Con ardite metafore l’autrice parla di ustioni di terzo grado, di un «chiuso per ferie che significava assumermi la responsabilità solo di ogni azione che potesse alleviarmi il peso di quella sofferenza… chiuso per ferie e buio pesto!».
Non anticipo la conclusione, mi piace pensare a questa donna indomita che sa proiettarsi anche in un altrove, che ama il cinema, che cita con naturalezza «Il favoloso modo di Amélie» e «La finestra sul cortile», che trova nello scrivere una dimensione liberatoria. Infatti dice di sé: «scrivere è per me un rito… Alla capacità di scrivere sono infinitamente grata, perché, dopo il baldanzoso rifiuto di lui a continuare il nostro percorso insieme, anche lei mi ha permesso di non restare imbrigliata in un suicidio emozionale senza via d’uscita… sono certa che, grazie alla scrittura, non finirò mai nello studio di uno psicanalista».
Ancora una volta il valore terapeutico della scrittura è confermato.
E questa storia, che avrebbe potuto essere semplicemente banale, diventa invece intensa e vibrante e dimostra quanto il pensiero e la volontà possano indirizzare la nostra vita.
Luciana Grillo – [email protected]
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