Storie di donne, letteratura di genere/ 590 – Di Luciana Grillo
Valentina Rocca, «Tutto il resto è polvere» – Una donna infila perle nella collana dei ricordi mentre una malattia le sta portando via la persona più importante della sua vita

Titolo: Tutto il resto è polvere
Autrice: Valentina Rocca
Genere: Narrativa femminile contemporanea
Editore: Apogeo Editore, 2023
Pagine: 300, Brossura
Prezzo di copertina: € 15
Una giovane donna che diventa madre presto, una figlia che cresce e vive la quotidianità con una madre che è anche sorella e amica: complicità, qualche malumore, tanto comune amore per la natura, risate, sorrisi e lacrime.
Questo è «Tutto il resto è polvere», una specie di lettera, una testimonianza lacerante, un atto di amore di Mia, la figlia, quando una malattia ribelle a ogni cura le ruba sua madre Alida.
Chi ha provato il dolore di una perdita grave, sa che è un’esperienza indicibile, senza conforto.
Mia ricorda sua madre, pagina dopo pagina, ne descrive la vita complicata, un po’ dai nonni materni, un po’ dai nonni paterni… eppure sapevano essere felici, fin quando il «mostro» si è rivelato: «Era come se fossi già entrata in un film scontato, e di infima categoria: una parte di me già sapeva la fine sin dalla prima battuta».
Dopo la diagnosi, l’intervento, «in quel tempo sospeso, mi ero sentita sola per la prima volta nella mia vita: avevo capito davvero cosa avrebbe significato l’assenza di te».
Il ricovero a Santa Tecla, i pomeriggi trascorsi con la mamma in un ambiente sereno, a volte in giardino, i ricordi che affiorano, le litigate furibonde – quando «uscivano parole dalla nostra bocca che nessuno voleva pronunciare né tantomeno sentire, e soprattutto che nessuno di noi due pensava davvero», – quel lungo broncio che rendeva sua madre «irragionevole come una bambina capricciosa», gli scontri sulla scelta di Mia di andare a vivere con Stefano a cento chilometri da casa, le bugie… tutto passato, «ora, vorrei solo tornare a discutere con te. Vorrei litigare, urlare, piangere dalla frustrazione e dalla rabbia. Vorrei sentirti gridare il mio nome».
Sui ragazzi erano spesso in disaccordo, a mamma Alida non piaceva Stefano, né Federico, né Giovanni. Riccardo, sì.
Ma per Mia non era l’uomo adatto, non le piaceva il suo odore, era «poco dinamico, troppo pigro, troppo poco sognatore… pur di evitare qualsiasi confronto, cedeva subito ad ogni mia richiesta».
E così, nel momento terribile della malattia di sua madre,
Mia si è trovata di nuovo sola. Ma libera, in lunghe giornate «in cui tu dormi sempre di più, sei persa nel labirinto della tua mente».
Il mostro avanza, la mamma parla con gli occhi, le stringe le mani, Mia non aveva la forza di occuparsi «del dolore di papà e delle zie quella sera… ho cercato parole di conforto per me, più che per te. Tu eri già da un’altra parte».
Mia cerca di sopravvivere, va a cavalcare, scambia qualche parola con Tancredi, ma «il dolore non passa mai di moda… diviene una presenza familiare… Sorrido a tutti, la quotidianità vuole persone solari, che dimostrino di passare oltre, di farcela: la vita è un palcoscenico, spesso».
E mentre lentamente il cuore di Mia si orienta verso nuovi orizzonti, grazie alla gamba di un tavolo, la giovane donna sorride davvero, ripensando a sua madre: «alla fine, volevi solo che io fossi felice» e dando ascolto a Tancredi, anche lui bastonato dalla vita, ma consapevole che «le cicatrici restano, a volte basta accettare che ci sono».
Luciana Grillo - [email protected]
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