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Grande Guerra/ 1 – 90 anni fa la Seconda Battaglia del Piave

Sarebbe passata alla storia come La Battaglia del Solstizio. L'Austria si giocò il tutto per tutto, ma ormai il Sistema Italia era cambiato. Nasce la Leggenda del Piave

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Dal 15 al 23 giugno 1918 ebbe luogo la seconda grande Battaglia del Piave. Era il solstizio di primavera, e venne combattuta nonostante la riluttanza di entrambe le parti.
Da parte sua, il Comando Austro Ungarico sapeva che sarebbe stato quasi impossibile sfondare la linea del Piave, ma sapeva anche di non avere alternative. O sfondava, o perdeva la guerra. L'impero era allo stremo e i rifornimenti difficilissimi da far pervenire sul posto.
Da parte sua, il Comando supremo Italiano si era posto il solo obbiettivo di resistere a qualsiasi costo. Evidentemente non avvertiva lo stato di difficoltà in cui versava il nemico.
Ma nel frattempo tutto il sistema Italia era cambiato. Perdere non significava più tornare a casa, ma cadere sconfitti da un paese nemico feroce e implacabile. L'avevano visto all'opera durante la ritirata.
Dopo tre anni di guerra, le cui ragioni erano poco comprese e del tutto irrilevanti, gli Italiani avevano scoperto qualcosa per cui valeva la pena uccidere, per cui valeva la pena morire.
In quel momento la dura conseguenza di una sconfitta aleggiava nell'aria di tutti, sia di qua che di là del Piave. Dai vertici dei Paesi in guerra agli individui più umili, dagli alti comandi ai semplici soldati di fanteria.
Per questo, quella notte tra il 14 e il 15 giugno 2008, la tensione era alle stelle. Per entrambe le parti, la morte non sarebbe stato il peggior di tutti i mali.


Tra gennaio e marzo del 1918, avvenne il grande miracolo della riorganizzazione morale e materiale del Regio Esercito Italiano.

In due mesi avevamo perso il 47% delle nostre artiglieria. Andavano ricostituite e fu fatto uno specifico piano che prevedeva la costruzione di ben 725 batterie di vario calibro e circa 3.000 pezzi di riserva. Il programma fu addirittura superato, perché vennero costruite 98 batterie in più di quelle previste. Anche nel settore del munizionamento fu fatto un programma di produzione di circa 80.000 proietti di vario calibro al giorno, che venne raggiunto. Entro la fine maggio del 1918 il materiale era già stato consegnato e messo in posizione.
Fu senza dubbio una grandiosa operazione cui partecipò la Nazione intera. L'Austria aveva virtualmente perso la guerra proprio perché in quei cinque mesi non fu in grado di sferrare un ultimo attacco contro quel poco che rimaneva del nostro esercito.
(Nella foto di fianco, un'agendina trentina dell'epoca, aperta al mese di giugno di quell'anno)

L'impiego dell'Artiglieria venne completamente rivisto. Se in passato l'artiglieria era al comando dei Corpi d'Armata, adesso era stato deciso che ogni unità potesse disporre di batterie e controbatterie, in grado cioè di attaccare e difendere con immediatezza ed autonomia.
Per svolgere compiti di «controbatteria», si rese necessario raccogliere informazioni topografiche sulle dislocazioni delle artiglierie nemiche, e questo fu possibile grazie all'uso diffuso di palloni frenati dai quali i nostri spericolati osservatori facevano rilevazioni costanti e accurate.
Vennero emanate direttive anche per le azioni di fuoco di sbarramento e di interdizione vicina, predisponendo su quadranti topografici le direttive di tiro metro per metro.
Per attivare operazioni di controbatterie era necessario anche disporre di accurate informazioni da parte avversaria e il nostro servizio informazioni lavorava molto bene, perché aveva lasciato una sorta di stay-beyond nel corso della ritirata.

La primavera vide l'Esercito Austriaco intento a prepararsi per un decisivo attacco all'Italia da sferrarsi il più presto possibile e comunque nel mese di giugno. Vennero definiti i relativi piani operativi.
Il Gruppo di Armate che presidiava il settore montano, che andava dall'altopiano dei Sette Comuni fino al Piave, era comandato dal generale Conrad, il quale era ancora convinto che bisognasse sferrare l'attacco principale nel suo settore per dilagare poi in pianura e prendere alle spalle la parte del nostro Esercito schierato sul Piave.
Il suo collega Boroevic, che comandava l'Armata della pianura, l'Isonzo Armee, era convinto invece che bisognasse attaccare in pianura per prendere alle spalle i nostri corpi d'armata schierati a fronte del settore montano.
Non sapendo cosa decidere, o magari per non voler fare torti a nessuno, il Comando Supremo optò per quel compromesso che nelle guerre si trasforma quasi sempre in errore strategico: vennero approvate due azioni principali, una dall'altopiano dei Sette Comuni e una in pianura lungo la direttrice Oderzo-Treviso.
Questa soluzione portò a due conseguenze negative. La prima stava nel frazionamento delle riserve e alla conseguente impossibilità di contenere un eventuale contrattacco nemico. La seconda era conseguenza della prima: se un'azione falliva, falliva anche l'altra.


(Cartina ricavata da Viamichelin.it)

Per seguire questo piano, l'Esercito Austriaco schierò 27 divisioni nel settore montano e 23 in quello di pianura. I pezzi di artiglieria erano circa 7.500 di vario calibro e lo schieramento era più intenso lungo le due direttrici principali. Naturalmente venne sviluppato un adeguato addestramento e vi fu anche una preparazione morale.
Per quanto riguarda l'artiglieria, l'Austria aveva una notevole superiorità numerica di circa un quinto in più, ma vi era un'inferiorità tattica e tecnica, soprattutto a seguito dei nuovi procedimenti di tiro e tattici che erano invece stati adottati nel nostro Esercito.
Ed è questo uno dei motivi per cui la nostra artiglieria, come vedremo in seguito, tenne sempre sotto controllo la forza d'attacco austriaca.
Il D-day, dopo varie indecisioni, venne stabilito per il 15 giugno.

L'azione dell'artiglieria austriaca era così stata cadenzata per la battaglia.
Dalle 03.00 alle 04.10: preparazione e interdizione vicina e lontana anche con proiettili caricati con aggressivi chimici. Gli inservienti ai pezzi dovevano indossare maschere antigas.
Dalle 04.10 alle 05.10: controbatteria, neutralizzazione delle nostre prime linee e ancora interdizione.
Dalle 05.10 alle 07.30: ancora controbatteria e interdizione vicina sulle prime linee.
Una precisione teutonica, caricata come un orologio.

Per quanto riguardava il nostro schieramento, in sintesi, si trattava di un dispositivo difensivo, ma con la novità di una difesa scaglionata in profondità, specialmente nel settore di pianura. Le riserve erano di due tipi, riserve d'Armata e riserve generali, cioè a funzione tattica e sgrategica. Questa soluzione si dimostrò appropriata in quanto consentiva una maggiore ela-sticità di operazioni in una pianura tutto sommato facilmen-te percorribile.
(Nella foto a sinistra, una teleferica sul Grappa)
Le artiglierie italiane, come abbiamo visto, erano in numero inferiore a quelle del nemico, schierate con maggiore inten-sità in corrispondenza degli altipiani e del basso Piave, cioè in corrispondenza dei tratti più minacciati.
Fu costituito un parco di 1.800 automezzi, dislocato tra Padova e Vicenza, pronto ad essere impiegato per trasferire riserve e artiglierie a seconda dell'an-damento della battaglia.
Tutte le artiglierie di tutte le Armate erano pronte a scattare per la «contro-preparazione», anche perché si avevano notizie precise sul giorno e sull'ora dell'attacco nemico. Addirittura, per alcuni tratti del fronte, si aveva la certezza del giorno e dell'ora dell'attacco e in questi tratti venne attuata una violenta contro-preparazione preventiva che scombussolò in maniera decisiva i piani del nemico. I nostri servizi d'informazione avevano sempre funzionato benissimo, ma stavolta gli alti comandi ne vollero anche tenere conto. In fase di ritirata venne predisposta dai nostri 007 ante litteram anche una stay-beyond vera e propria.

Il 14 giugno, poiché il comando della VI Armata italiana ebbe la certezza che il nemico avrebbe iniziato i tiri di preparazione dell'artiglieria sull'altopiano dei Sette Comuni alle tre del giorno successivo, autorizzò il generale Serge, comandante dell'Artiglieria, ad effettuare la contro-preparazione anticipata, già accuratamente organizzata in ogni particolare e dettaglio tecnico.
Verso la mezzanotte, e quindi tre ore prima che il nemico iniziasse la sua preparazione, le nostre artiglierie, suddivise in due grosse masse d'azione, aprirono il fuoco con violentissimi e poderosi concentramenti sulle batterie nemiche.
Il nemico fu colto di sorpresa in un momento assai critico, quello del concentramento delle truppe e della preparazione dei mezzi per l'imminenza dell'attacco. Lo scompiglio nelle batterie disseminate di proiettili chimici può essere immaginabile.
Il Comando della VI Armata aveva ordinato che il tiro fosse particolarmente diretto sulle località, note o presunte, di raccolta dei rincalzi e delle riserve austriache, sulle vie di accesso alle prime linee, sulle batterie e sui comandi avversari.

Alle tre di mattina il nemico Austro Ungarico iniziò comunque il tiro di preparazione, ma fu per forza di cose quanto mai incerto e sbandato, e quindi poco efficace.
La sorpresa fu tale che gli austriaci pensarono che gli Italiani avessero progettato un attacco «per coincidenza» insieme al loro, alla stessa ora dello stesso giorno.
Anche le fanterie austriache mossero all'attacco come previsto alle 07.30, ma il loro slancio non poteva che essere scosso e indebolito. La battaglia perse il carattere unitario programmato e si frantumò in una serie di lotte locali, dure ed accanite, ma del tutto inconcludenti.
Solo nel settore del Grappa gli Austriaci, con sforzi immensi e con grandi perdite, ottennero qualche significativo successo. Il comando italiano, giustamente preoccupato da un probabile rincalzo delle riserve austriache, attivò nuovamente l'artiglieria, che ancora una volta divenne protagonista.
Infatti, il violento fuoco di sbarramento scatenato impedì alla brigata di riserva austriaca di portarsi in prima linea, anche durante la notte.
Fermato così il rincalzo nemico, il VI Corpo d'Armata lanciò contrattacchi per riconquistare le posizioni perdute. A sera, le posizioni perdute erano state in gran parte riconquistate.

La reazione «ragionata» dell'artiglieria italiana dominò nettamente quella avversaria e la violenza dei contrattacchi per riconquistare le posizioni inizialmente perdute, annullarono ogni capacità operativa del nemico.
Sul fronte dei Sette Comuni, nel giorno 15 e nella notte tra il 15 ed il 16, la tanto decantata offensiva del Maresciallo Conrad, che avrebbe dovuto essere decisiva per le sorti della battaglia e, quindi, della guerra, era virtualmente esaurita.
Questo successo permise all'Alto Comando Italiano di spostare le riserve, ancora praticamente intatte, dal settore montano a quello della pianura. Cosa che invece non poté fare il Comando Austriaco, perché le riserve di Conrad, pure non utilizzate, non poterono essere spostate sul Piave, data la cattiva situazione orografica del territorio da percorrere tra l'altipiano di Asiago e la pianura veneta.

Sul fronte critico del Montello, aiutandosi con i nebbiogeni, gli Austro Ungarici erano riusciti a far passare il Piave a vari contingenti di truppe. Poi, con una crescente migliore visibilità, contrattacchi e interventi di artiglieria italiani ne arrestarono l'avanzata.
(Nell'immagine a sinistra, il Mon-tello in una cartina dell'epoca)
A sera, nonostante la vigorosa reazione delle nostre fanterie e del tiro di artiglieria, la pres-sione avversaria si manteneva piuttosto forte. Ovviamente, anche gli Austriaci erano fortemente determinati, ma il Piave in piena creava molti problemi ai loro collegamenti e rifornimenti.

Sul basso Piave l'attacco fu violentissimo e gli Austro Tedeschi riuscirono a costituire due teste di ponte. Provarono a riunirle, ma non ci riuscirono grazie ancora una volta all'azione della nostra artiglieria e ai loro osservatori, al contrattacco della nostra fanteria e... alla piena del Piave.
Altre truppe che qua e là riuscirono ad attraversare il Piave furono accerchiate e catturate.
Naturalmente, appena l'attacco si fu delineato, il nostro comando aveva fatto affluire nuove forze, comprese diverse batterie di Artiglieria.

In conclusione, alla fine della prima giornata di battaglia, che avrebbe dovuto vedere secondo le fanterie austriache del Gruppo Boroevic dilagare oltre il Piave verso Treviso e quelle del Conrad precipitare come valanghe dalla zona montana verso Vicenza e Padova la situazione era la seguente.
Il settore montano teneva tranquillamente, mentre l'avanzata in pianura era tenacemente ed efficacemente contrastata. Le cose non erano andate affatto male per gli italiani, anche perché ormai era chiaro che le riserve potevano essere tolte dal settore degli Altipiani.
In pianura, dal Montello al basso Piave, proseguivano con violenza i combattimenti, ma i risultati austriaci non erano apprezzabili. Anzi, le loro perdite erano ingenti e lo spirito del soldato austriaco cominciava a vacillare, non più sicuro della vittoria.
I progressi italiani erano limitati all'arresto del nemico, ma ormai nel comando italiano si andava facendo sempre più strada la convinzione che il peggio era passato e la vittoria non era più un miraggio.
La sera del 16 giugno si riorganizzarono le forze e nuovi reparti, tratti dalle riserve, vennero posizionati nei punti più delicati. Inoltre venne ricostituita parte della riserva strategica.

Nei giorni 17 e 18 non si hanno combattimenti particolarmente importanti, ma gli Austriaci nel basso Piave riescono a congiungere le due teste di ponte. Il contrasto delle nostre forze, sostenute da un'artiglieria ancora pronta precisa ed efficace, è notevole e spegne in ogni momento che passa le velleità nemiche di sfondamento.
Il comando italiano, constatata la situazione tutto sommato favorevole, decide di sferrare il giorno dopo, il 19, una controffensiva nel settore del Montello.
E infatti, alle ore 15.30 del 19 giugno le nostre fanterie mossero all'attacco dopo un potente fuoco di preparazione della nostra artiglieria, finalizzato soprattutto a impedire i rifornimenti delle teste di ponte. Questo contrattacco non fu un grande successo in termini di territorio conquistato, ma fermò definitivamente il nemico e segnò la fine di ogni sua iniziativa, che passò nelle nostre mani. Fece comprendere all'avversario che la partita non poteva essere vinta. Era l'inizio della fine.

Nella giornata del 20 giugno continuò la pressione italiana che metteva in grande difficoltà gli avversari, mentre il Piave si ingrossava ancora di più.
Il 20 fu una giornata molto cruenta, soprattutto per gli austriaci che mandano le loro truppe inutilmente al massacro.
Il 21 e 22 l'artiglieria italiana continuava il suo implacabile martellamento delle forze nemiche al di qua e al di là del Piave e sui ponti, continuando sistematicamente la loro distruzione. Gli ultimi attacchi austriaci servirono solo a mascherare i preparativi della ritirata.
(Nella foto a sinistra, un ponte di barche sul Sile, Treviso)

Si avvicinava la conclusione vittoriosa della Seconda battaglia del Piave, preludio alla controffensiva di ottobre, che porterà l'Italia alla vittoria finale. Fu molto importante non solo per l'Italia, ma anche per gli alleati, in quanto segnò l'inizio del disfacimento della coalizione degli Imperi centrali.
In questa vittoria, gran parte del merito fu dell'Artiglieria. Lo riconobbero anche i comandi austriaci.
Soprattutto gli importantissimi risultati conseguiti sul Montello furono possibili grazie l'instancabile attività degli artiglieri che, per otto giornate continue, rimasero attorno ai loro pezzi facendo fuoco ininterrottamente, portando sempre il tiro con prontezza e perizia sui punti dove la sua azione poteva essere più utile.

«La Battaglia del Solstizio - ama precisare il giudice dott. Carlo Ancona, quando parla della Seconda Battaglia del Piave - fu l'unica grande battaglia combattuta e vinta dall'Italia.»

GdM
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