Home | Letteratura | I due presidenti | «I due presidenti» – Primo Capitolo

«I due presidenti» – Primo Capitolo

Spy story di Guido de Mozzi

Il racconto è pura opera della fantasia, ed ogni riferimento a cose fatti o persone è da ritenersi assolutamente casuale.

I riferimenti a cose, fatti o persone esistenti sono da ritenersi puramente strumentali o funzionali ad una maggiore aderenza del romanzo alla realtà in cui viene articolato.


IL PERIODO
DEI DUE PRESIDENTI

PERSONAGGI


MARCO BARBINI
IMPRENDITORE ITALIANO

GINA BARBINI
MOGLIE DI MARCO

SAOUL GROWE
AGENTE SPECIALE DELL'FBI

JILL MOORE
AGENTE NSA

JEFF FLIT
CAPO OPERAZIONI NSA

A. CHITTUM E P. VINERY
AGENTI NSA

ROLAND GARCIA
VICEDIRETTORE AIR & SPACE SMITHSONIAN ISTITUTION

GREGORY LEVITAN
DIRETTORE DEL MUSEO DI DAYTON

MANNY LARSEN
CAPO DELL'UFFICIO STORICO DELL'USAF

COLONNELO KENNETT, MRS DOLAN, MR JACOBS
DELL'ARCHIVIO STORICO DEL PENTAGONO

GEORGE BUSH
PRESIDENTE USA USCENTE

BILL CLINTON
NUOVO PRESIDENTE USA

A mia Madre
che mi ha insegnato ad amare,
a mio Padre
che mi ha insegnato a scrivere.




IL PERIODO DEI DUE PRESIDENTI





1. Washington, gennaio 1993.


Da oltre 50 minuti avevo lasciato New York, dove avevo fatto dogana provenendo da Milano Malpensa, ed ora il nostro DC9 stava effettuando le manovre per l'atterraggio all'aeroporto Nazionale di Washington.
Guardavo dal finestrino di destra la città Distretto di Columbia. La ferrovia sopraelevata, il Pentagono, il Potomac. Immaginando di individuare il palazzo dove mi sarei recato l'indomani, vidi l'Obelisco e quindi alzai la vista verso il Campidoglio, soddisfatto di essermi orientato bene. Una rapida ricerca della Casa Bianca prima che l'aereo, virando a babordo, togliesse la panoramica di destra per darla a chi stava seduto a sinistra. Dopo un po' toccavamo il suolo della Capitol City.
Dall'aeroporto Nazionale conviene sempre il taxi. L'autista, un uomo di colore di mezza età, brontolava tra il rassegnato e l'incazzato che Washington è una città di negri.
"Anche il sindaco è negro!" - Parlava da solo.
"Un drogato."
Amen.
"E non sopporta i bianchi."
"Ma allora il sindaco è razzista?" - Chiesi automaticamente.
"Per forza, è un negro..."
Passando da Piazza Lafayette, ormai vicino al mio Hotel, lo feci rallentare ed accostare un po' al marciapiede esterno. Era un freddo cane, e anche i barboni residenti vicino alla Casa Bianca cercavano, come gli altri, di sopravvivere in qualche modo in una città che aveva decretato per legge il divieto ad essere barboni. Ne vidi uno nero con la sola giacca che spingeva a mani nude il carrello da supermercato contenente tutti i suoi averi.
Feci accostare il taxi. Il barbone mi vide, spostò da destra a sinistra lo stuzzicadenti che aveva in bocca e venne a ritirare il suo dollaro. Quando mi vedono, capiscono sempre chi ha un dollaro per loro. Abbassai il finestrino.
"Vedo che hai mangiato." - Mi riferivo allo stuzzicadenti.
"Ma non ho bevuto." - Rispose prendendo il dollaro e strizzandomi l'occhio.
"Freddo?"
"Ma no. Solo quando mi fermo." - E se ne andò.
Quando arrivai allo Sheraton Carlton sulla Sedicesima, si vedeva che il tassista era incazzato nero. Scesi per scaricare i bagagli.
"Almeno lasci fare a loro, J. Fuck!"
Infatti, stavano accorrendo due negri in livrea grigia e bombetta nera i quali, sbuffando alito caldo nel freddo del tardo pomeriggio, vollero prendere la mia valigia, la sacca da golf e il mio beauty per accompagnarmi alla reception. Lasciai al tassista meno di un dollaro di mancia e seguii i porters.
Attendendo che mi venisse data una stanza, guardavo quel grande salottone che è la reception del Carlton: quattro salotti virtualmente divisi da stili diversi, con gruppi di signore perfettamente inserite per abbigliamento, età e classe nei diversi arredamenti, intente a prendere il tè in toilette da mezza sera secondo lo stile dei propri segmenti di appartenenza. Così è la Washington politica. Un mondo che ha molte analogie a quello della mia città di provincia, Trento, anche se la leadership della capitale è pronta a scommettere che la loro città è sì più grande di questa, ma spudoratamente più provinciale. D'altronde, Trento non è poi molto lontana dai 40.000 dipendenti pubblici della capitale americana.
Un'arpa suonava gelida, indifferente e bellamente inascoltata nell'angolo di sinistra mentre le signore mi seguivano con lo sguardo, un po' perché ero un uomo solo, un po' perché dovevo sembrare un provinciale. Una classica turbativa in quell'insieme annoiato di mogli di politici, di burocrati, di faccendieri e professionisti di varia natura, che per diverse ragioni si trovavano a frequentare il salotto più virtuale e più sfacciato del mondo. Non nego di scegliere il Carlton per via dell'atmosfera di noia femminile che vi si respira. Ma anche qui sarebbe meglio stare lontani da donne specializzate a riempire il vuoto di niente e che confondono il ludico con il reale.
"Mr. Barbini, un messaggio per lei." - Il portiere mi diede un biglietto mentre compilavo il modulo del chek-in.
"Di già?" - Mi chiesi sorpreso e ironico. In realtà, non mi dovevo aspettare messaggi. L'appuntamento del giorno dopo allo Smithsonian era stato preso genericamente con l'ufficio Relazioni Esterne del museo.
Lessi, in inglese scritto a mano, che Mr. Davison mi avrebbe incontrato volentieri alle 6 del pomeriggio al Cocktail Lounge dell'Hotel. Mi girai intorno automaticamente, come se questo Mr. Davison stesse osservandomi tra i presenti. Nessuno. Voglio dire, nessun uomo in sala. Presi il mio beauty e seguii il boy verso camera mia.
Volevo chiedere al ragazzo se conosceva un certo Davison, ma entrò in ascensore con noi una signora sulla cinquantina e lasciai perdere. Anzi, fu lei a parlare non appena l'ascensore finì di riprodurre la frase metallica programmata "going up".
"Ottima l'idea del beauty come ventiquattrore." - Disse indicandomelo. - "Nessuno penserebbe a scipparlo."
"Infatti." - Risposi, ma non era così. Uso un beauty proprio come beauty. Mi servono un sacco di cose personali, che non mi nego mai, neppure in viaggio.
"Fifth floor." - Informò la voce metallica dell'ascensore.
"Thank you very much." - Risposi in direzione dell'ascensore. La signora pensò che fossi balordo, o venuto da molto lontano. Di sicuro, venivo da molto lontano.
Entrai in camera. Diedi tre dollari al Lift che fingeva di sistemarmi le cose in attesa della mancia. Accesi la televisione per sentire un po' di vita americana. Mi lavai le mani e mi versai una coca. Poi andai a vedere perché la televisione pareva essere rimasta spenta e lessi la scritta d'uso al Carlton: "Mr. Barbini, benvenuto. Sul canale 3 c'è un messaggio per lei."
Chiamai il terzo canale col telecomando e lessi il messaggio: "Mr. Barbini, nessun messaggio per Lei". Ovvio. E' il sistema americano per abituare i clienti a valersi della telematica per dare o ricevere messaggi. Poi però mi venne in mente il messaggio scritto sul biglietto. Lo cercai e lo rilessi. Mr. Davison mi stava cercando, ma la TV non lo sapeva. Telefonai in reception per avere conferma, ma mi risposero che tutti i messaggi per me erano a monitor. Eventuali altre notizie poteva darmele il portiere. Lo chiamai, ma quello che rispose non era lo stesso che mi aveva dato il messaggio e non sapeva niente. Chiuso, anche se naturalmente il portiere era lieto di potermi essere utile per altre cose, ecc. ecc.
Sistemai tutto nell'armadio, diedi l'ultimo sorso alla coca ed entrai in doccia.
Alle 6 e un quarto, vestito di scuro e con il montone sulle spalle, entravo in ascensore, il quale mi assicurò con la sua voce artificiale che si stava scendendo. - "Going down."
Giunto al piano terra, mentre si aprivano le porte gli chiesi allora dove eravamo arrivati.
"First floor." - Mi rispose sicuro.
"Thank you." - Ed uscii. Un cliente più serio di me, che attendeva l'ascensore vestito da sera, vi entrò cercando la persona che avevo ringraziato.
Entrai poco dopo al Cocktail Lounge dell'Hotel. Mi venne in mente l'appuntamento misterioso e chiesi al barman, che già stava mettendo un sottobicchiere davanti a me, se conosceva un certo Mr. Davison. Mi rispose di no, ma credo che non avesse neanche ascoltato il nome. La Riservatezza in persona. Chiesi un Martini dry con del gin Bombay.
"Molto freddo, ma senza ghiaccio" - In America bisogna sempre dirlo quando non si vuole il ghiaccio.
"Raffinato, eh?". - Commentò il vicino.
Mi girai verso di lui cercando di evitare un discorso.
"Il gin, il Bombay Sapphire". - Precisò.
"A dir la verità," - dissi candidamente - "scelgo il gin Bombay perché ha una bottiglia stupenda."
Mi girai per assicurarmi che il barman non mettesse l'oliva nel Martini, quando il vicino riprese a parlare.
"C'è un ottimo ristorante qui fuori, verso la Casa Bianca. Lo conosce?"
Risposi automaticamente di no ed iniziai a seccarmi, perché non era da Sheraton Carlton essere disturbati. Avevo alle spalle un viaggio intercontinentale ed ero stanco. Conoscevo la zona del mio albergo, sapevo che la Casa Bianca stava a duecento metri, non sapevo dove andare a cena, ma non avevo voglia di parlare a sconosciuti.
"Piacere." - Insisté. - "Sono Mr. Davison."
Ora lo conoscevo.

Non mi presentai. Evidentemente non ce n'era bisogno e neanche gli allungai la mano. Avrei voluto lasciar seguire un silenzio imbarazzante, ma ci pensò lui a condurre il dialogo e la situazione.
Mi fece vedere un distintivo con una rapidità tale che pareva un giocatore di poker professionista.
"Non ho visto nulla." - Dissi, tornando a guardare il barman che strofinava la scorza di limone suo bordo del bicchiere.
"FBI." - Disse. - "Vuole rivederlo?"
"Per carità!" - Dissi, facendomi vedere indifferente. Ma non lo ero per niente. - "Cioè, sì." - Mi corressi. Me lo mostrò di nuovo con calma e lo guardai.
"Mi conosce?" - Poi, dato che la risposta era evidente, domandai: - "E' sicuro di voler parlare proprio con me?" - Ma era evidente anche questo. Lo guardai attentamente. Era un bell'uomo, sui trentacinque o un po' di più, camicia bianca e cravatta come tutti gli agenti FBI, tanto che il loro abbigliamento vale più del distintivo. Sotto il suo sorriso di circostanza, era molto sicuro di sè.
"Non ha cenato, non ha prenotato da nessuna parte, non attende nessuno. La prego di cenare con noi."
"Motivo?" - Nell'immaginario collettivo, l'incontro con un FBI può sembrare affascinante. Ma dato che nella realtà, semmai, sono loro a cercare te, quando ti trovi a parlare con uno di loro il fascino scompare. Anzi, ti viene spontaneo di toccarti le palle. Misi una mano in tasca.
"Ne parleremo a tavola.". - Disse, dando un ultimo sorso a quello che stava bevendo e non si fece problemi per il mio bicchiere ancora pieno. Si alzò e si allontanò per mettersi il cappotto. Io iniziai tranquillamente il mio Martini, ma poi chiesi al Barman di firmare il conto. Lo aveva già battuto alla cassa. Lo lessi. Mi girai verso l'ospite.
"Lei cos'ha preso?"
"Non si preoccupi, grazie. Ho pagato."
Infilai il montone ed attraversammo insieme il salone della reception, provocando l'eloquente silenzio delle signore presenti, perplesse della nostra uscita di scena. I neri di servizio ci aprirono le porte senza i soliti sorrisi ruffiani. Gli stronzi, come li avrebbe chiamati il tassista di prima, sapevano dove stavamo andando, o quantomeno sapevano da chi ero accompagnato, perché non accennarono neppure a chiamare un taxi.
Andammo a sinistra, verso la Casa Bianca appunto.
Mi prese sotto braccio come per combattere il freddo e acquistare una certa familiarità, ma comprese che la cosa mi dava fastidio e lasciò il braccio, poi cercò di riempire quei due passi imbarazzati introducendo il discorso.
"Deve sapere che in questo momento il nostro Paese ha due presidenti..."
"Cosa diavolo sta dicendo?"
"Il nuovo Presidente, Bill Clinton, è presidente dallo scorso 3 novembre 1992, giorno delle elezioni. Ma il Presidente uscente, George Bush, rimane presidente a tutti gli effetti fino al prossimo 20 gennaio 1993, quando ci sarà l'insediamento ufficiale di Clinton."
"OK. Ho capito. In questo momento avete due presidenti."
"Uno di questi abita là..."
Era così ovvio che feci fatica a capire che si riferiva alla Casa Bianca che stava là dove indicava. La si intravvedeva attraverso gli alberi di Parco Lafayette. Forse dovevo sentirmi preso in giro. Era ridicolo. Volevo cancellare tutto e tornare in albergo.
"E l'altro sta qui..."
Non si riferiva alla Casa Bianca stavolta, ma impiegai meno a capire. Indicava col pollice il mio albergo. Quello che avevamo appena lasciato.
"Mi sta dicendo che Clinton è qui nel mio albergo?" - Confesso che lì per lì la cosa mi avrebbe emozionato.
"Non in questo momento." - Sorrise. - "Se fosse qui se ne sarebbe accorto da solo, mi creda."
Avevo l'impressione di essere stato allontanato di proposito dal Carlton perché indesiderato. Un trucco per farmi uscire.
"Basta." - Dissi fermandomi. - "Ora deve dirmi che cosa vuole, oppure torno in Hotel."
"Si calmi, siamo arrivati."
"Sono calmo."
"E' una frase fatta."
"Quale?"
"Si calmi."
"Sono calmo."
"Mi sta prendendo in giro?"
Avevo ancora voglia di scherzare.
"Vuol dire che devo cercarmi un avvocato?"
Non rispose.
"Siamo arrivati." - Mi indicò la porta di un locale almeno all'apparenza elegante, in un seminterrato. Una piccola scritta rossa luminosa sopra la porta indicava il nome, Chez Moriarty. La preposizione francese davanti ad un nome inglese così cacofonico per un latino, mi fece ridere. A Bolzano c'è un locale il cui nome inizia con il Chez. E così, la maggior parte dei Bolzanini di lingua tedesca dice di andare a cena dal Chez, pronunziato alla tedesca.
"Conosce il Ceez?" - Mi chiese l'amico pronunziando in inglese il nome per rispondere al mio sorriso. La sua pronuncia di Chez aveva reso onore ai Bolzanini. Il sorriso si allargò in una breve risata. Mi fece entrare guardandosi alle spalle, come se qualcuno potesse aver notato la mia reazione.
«Prima di sedere, prego, aspetta qui», detta la scritta all'ingresso dei locali americani. Ma l'amico mi spinse avanti senza complimenti, e l'addetta alla reception ci vide ma fece finta di nulla e si girò dall'altra. Così, mentre Davison mi accompagnava ad un separé d'angolo, mi girai a guardare il fondoschiena della receptionista indifferente.
Nell'angolo stava seduto un altro tipo intento a non leggere il giornale. Quando ci vide alzò gli occhi, piegò il giornale e ci fece cenno di sedere. Restai volutamente in piedi.
"Mr. Barbini," - iniziò, dimostrando che sapeva chi ero e facendo vedere discretamente il suo distintivo in modo che il menù del locale nascondesse il gesto. - "Sono l'Agente Speciale Growe."
Era un uomo sui quarantacinque anni, con i capelli castano chiari tendenti al rossiccio. Non era bello come Davison perché aveva una testa più grande del normale. Giacca blu, pantaloni grigi, camicia bianca e cravatta rossa come il Segretario di Stato americano di Bush. Dagli occhi anglosassoni si capiva che era un uomo abituato a comandare, a dare ordini. La sua voce era sicura e appartenente a qualcuno che non gradisce essere interrotto.
"Deve sapere che la stiamo sorvegliando da quando si è imbarcato a Milano."
"Che cosa?" - Mi sedetti subito.
"Calma. Vedrà che in breve comprenderà tutto. OK?"
"OK." - Sapeva farsi obbedire. Mi alzai, mi tolsi il montone e lo consegnai al cameriere. Tornai a sedermi.
"In due parole. Eravamo informati che una persona sarebbe venuta a Washington dall'Italia per fare una certa cosa. Questa persona non la conoscevamo. Sapevamo però che si trattava di un bianco, con la barba, sui quarant'anni, alto all'incirca 6 piedi, che viaggiava in business class, con Sansonite fissata con cinghia blu, una sacca da golf..."
"Ehi! Io gioco a golf, ma la mia sacca è vuota e..." - Mi trovai a sussurrare. Avevo anche provato stipidamente a trasformare in centimetri i 6 piedi per vedere se avevano centrato la mia altezza, senza riuscirci.
"E diretto allo Sheraton Carlton".
"Ma porca..." - La coincidenza iniziava a stupirmi, ma qualcosa mi invitava a tenermi sulla prudenza.
"Quindi," - proseguì, - "lei capirà... Scusi, ma ha detto che porta con sè una sacca da golf... vuota?"
"Sì, io ho già l'attrezzatura qui in America, ma..."
"E allora si porta in giro una sacca vuota?"
"Ma no, c'è sempre un amico che ti chiede di comperare un set. Qui costano meno..." - Mi sentivo uno stupido.
"Beh, son fatti suoi. Insomma, un individuo proprio uguale a lei. Salvo un particolare, che ci ha fatto capire che avevamo sbagliato persona. Un particolare che ha colpito il nostro agente a bordo..."
"A bordo? Dio mio, ma da quando mi stavate pedinando? Chi diavolo era questo sconosciuto?"
"La prego, non interrompa..." - Nessuno doveva averlo mai seccato così. Ma giunse il cameriere a prendere le ordinazioni e dovette interrompersi suo malgrado.
"Suggerisco il catfish." - Disse il cameriere.
"Per me va bene. E una Perrier." - Rispose Growe senza guardarlo.
"Prime beef e patatine fritte." - Dissi io. - "In America mi piace la bistecca. E una Budweiser. Grazie."
"Bud Light?"
"No, regular."
"Bistecca king-size?"
"No, regular."
"Underdone?"
"No, medium."
Ci portarono le bevande prima che potessimo riprendere il discorso da dove l'avevamo lasciato.
"Dunque?" - Chiesi dopo un sorso di birra.
"Dunque." - Rispose dopo un sorso di acqua minerale. - "Un particolare schiarì le idee al nostro agente che capì che non era lei la persona che stavamo aspettando."
"Vi siete accorti che sono un gay..." - Mi sentivo meglio.
"Capisco che lei sia stanco e irritato e che voglia buttare tutto in vacca, ma in un modo o nell'altro mi starà a sentire! Quindi, meno rompe le balle e prima potrà tornare in albergo. OK?"
Beh, per lo meno sapevo che in albergo ci sarei tornato. Mi scusai e mi disposi ad ascoltare.
"Lei viaggia con un beauty come bagaglio a mano."
"Vero. E'..."
"Un uomo che vuole passare inosservato non viaggia con un beauty."
"Questa è buona. E perché?"
"Perché i beauty li usano generalmente le donne."
"Ve l'ho detto, sono un gay."
"La pianti. Sta di fatto che grazie al beauty ci siamo accorti che si trattava solo di una singolare coincidenza. Abbiamo diretto l'attenzione altrove ed abbiamo individuato la persona che ragionevolmente poteva essere quella giusta."
"Bene." - Forse la storia stava per finire, anche se mi aveva indubbiamente incuriosito.
"Stesso volo. Ma viaggiava in Prima classe."
"Il bastardo!"
"I ragazzi stanno seguendo le sue mosse, ora."
"E io che c'entro, allora?" - E' comprensibile che non dicano neanche una parola in più di quello che devono, ma ci provai lo stesso. - "C'era bisogno di raccontarmi dello scambio di persona? Non bastava spostare le attenzioni sull'altro ed evitare di avvisarmi del vostro errore?"
"Questo è il punto. Anche loro l'hanno scambiata per l'altro."
"Loro?"
"Quelli che hanno ingaggiato questa persona."
"Ah. E chi sarebbero?"
"Non possiamo dirglielo." - Vide che mi stavo seccando, ma arrivarono le portate e ne approfittò per stemperare la situazione. - "Si calmi." - Disse sottovoce. Attendemmo che il cameriere ci augurasse buon appetito, quindi riprese a parlare.
"Loro prenderanno contatto con lei domattina. Non sappiamo esattamente quando e dove, ma abbiamo un'idea quasi precisa in proposito."
Temevo di aver compreso il motivo del loro interesse nei miei confronti.
"Incontreranno anche l'altro," - suggerii, - "perché sarà lui a farsi vivo con loro, non le pare?"
"Non si farà vivo. Lo abbiamo fermato."
"E con quale scusa?"
"Non possiamo dirglielo."
"Mi ascolti." - Dissi seriamente. - "Sento che sta per chiedermi qualcosa, e le posso assicurare che collaborerò con la stessa fiducia che mi sta concedendo. Lei continui a non dirmi nulla e vedrà..."
"Collaborerà. Lo so. Per il profilo che siamo riusciti a recuperare di lei in poche ore dall'Italia, sono quasi certo che collaborerà con la giustizia."
"Saprà allora che per collaborare devo conoscere bene i fatti, altrimenti..."
"Domattina lei andrà dal barbiere, che si trova nell'interrato dell'Hotel. E' un hair-stylist famoso perché taglia i capelli anche a Bush." - Aspettò un mio commento, che non venne. Riprese a parlare guardandomi la testa. - "Si farà fare solo uno shampo perché mi pare siano a posto sia la barba che i capelli, ed attenderà la loro mossa. Non deve temere nulla. A parte il barbiere, tutti gli altri saranno dei nostri." - Doveva essere talmente abituato a studiare i dettagli che aveva sentito il dovere di dirmi anche che cosa fare dal barbiere.
"Meno... loro, naturalmente, no?"
"Esatto." - Diede una forchettata al catfish automaticamente, ma non sembrava dovesse entusiasmarlo molto.
"E quando vuole una risposta?"
"Non attendo risposta." - Tolse dalla tasca interna della giacca alcuni fogli piegati in quattro. Li aprì e finse di leggere qua e là. - "Lei è un giornalista, esperto in comunicazione sociale e aziendale. Parla 5 lingue, tedesco, francese, inglese, spagnolo e portoghese..." - Alzò gli occhi per guardarmi. - "Anzi, qual'è la lingua che parla meglio, perché non è che l'inglese lei lo..."
"L'italiano."
"Fucking! Ha la patente C, brevetto da pilota di secondo grado, abilitazione al comando di rimorchiatore a spinta..."
Leggeva automaticamente saltando di palo in frasca, aspettando che lo fermassi. - "Sa cavalcare, anche se ora non le piace più..." - Alzò un attimo lo sguardo compiaciuto di farmi un complimento. - "Le piace correre in macchina e si deve ammettere che evidentemente è abile, dato che non ha mai preso multe per eccesso di velocità... Neanche in America.
"Ama essere il protagonista..." - Sollevò di nuovo gli occhi come se questo dettaglio fosse negativo, poi proseguì. - "Ama sua moglie... Voglio dire che sappiamo che non è un gay. Da militare è stato decorato. Alla fine le hanno offerto di entrare nei Servizi, ma non ha accettato. Tuttavia, 15 anni dopo ha accettato di lavorare per il Ministero degli Esteri del Governo Italiano attorno ad un delicato progetto di formazione a distanza per gli Incaricati d'Affari delle Ambasciate italiane della CEE, nientemeno! Ma ora viene il bello. Ha elaborato per i servizi del Ministero degli Interni Italiano un'ipotesi di «implosione dell'immagine», come l'ha definita lei, delle finanziarie in odore di Mafia. In entrambi i casi, correttamente, non ha mai fatto parola con nessuno, anche se siamo certi che i suoi collaboratori ne sappiano di più di quello che dovrebbero. Da allora ha il porto d'armi ma non porta mai un'arma con sè. E', o almeno lo è stato, un ottimo tiratore. E' un appassionato di storia, Europea, Americana e Russa. Ama la cultura perché possiede almeno 20 mila libri..."
"Gran parte me li ha lasciati mio padre, ma che relazione ci sarebbe tra la cultura e la quantità di libri posseduti?"
Fece un gesto come per dimostrare quanto poco importasse la cultura. "Non nasconde le sue simpatie per Clinton..." - Dannazione, avevo scritto qualcosa del genere da qualche parte, forse in una recente relazione sullo Stato di Haiti. Ma cosa c'entrava?
"Cos'altro devo aspettarmi da uno come lei?" - Forse aveva concluso la premessa.
Clinton... Pensai ancora. L'agente aveva commesso un errore? Finii di masticare, passai le labbra con il tovagliolo, bevvi un sorso di birra e lo guardai. Si accorse che mi ero preso il tempo di pensare.
"Riguardo il curriculum che lei ha tracciato di me, devo farle tre appunti." - Risposi lentamente.
"E sarebbero?" - Ma non credo che lo interessassero davvero.
"Primo, ha dimenticato che sono un aristocratico." - Già che gli americani dimostrano una certa invidia per i titoli nobiliari...
"Lo so." - Mi interruppe. - "Solo che mi risultava anche che lei non gradisse essere chiamato con il titolo che ha..." - Si guardò le unghie con noncuranza.
"Toccato." - Dissi arrossendo, cercando maldestramente di passare subito ai punti successivi. - "Però non ha accennato ad un solo lato negativo della mia vita o del mio carattere. La sua versione suona molto di adulazione."
"Beh, potevo dire ad esempio che è un pubblicitario? O che il servizio militare l'aveva fatto malvolentieri? Ma era il '68 e non si può certo negare che... Oppure quando ho detto che ama sua moglie, forse dovevo precisare anche che lei è molto sensibile al fascino femminile?"
"Ah, questa poi... E allora perché non l'ha fatto?"
"Perché nel vostro paese chiudete più di un occhio su questo."
"Tutti qua i miei difetti?"
"Non è mai stato un seguace fedelissimo, non ha mai cercato una causa da servire, mai accettato qualcosa o qualcuno per cui morire o per cui uccidere. Ma, per scendere in dettagli più concreti, la laurea l'ha ottenuta senza summa cum laude, non ha mai finito i master che aveva intrapreso, neanche quello di politica e struttura governativa americana..., il Paese che dice di amare di più. Ah, ecco qua: conoscendo il tedesco, ha frequentato un master sulle minoranze linguistiche austriache, che naturalmente non ha portato a termine. A proposito, perché ha imparato il tedesco che non serve a niente, e non conosce piuttosto il russo?"
"Serve, serve il tedesco, Mr. Growe. Vui kalielaska pavinniei peragliaziet vasciu informaziu!"
"Cosa ha detto?"
"Ho detto che «dovete aggiornare le vostre informazioni, prego». In belorusso per la precisione."
"Parla il russo?"
"Sì, ma questo era belorusso. Ho seguito, ma non terminato, un master sulla letteratura belorussa. Il lessico belorusso è ricco di prestiti del polacco che, a loro volta, comprendono termini latini e germanici... In russo avrei dovuto dire "Vi pasialusta..."
"Fuck-off!" - Tagliò corto. - "E il terzo appunto?"
"Riguarda la mia simpatia per Clinton... Anche questo sarebbe un difetto?"
"Non mi permetterei mai. Anzi, ritiro il riferimento a Clinton. Ma torniamo alla mia richiesta."
"Accetto solo se mi dice qual'è il ruolo di Clinton nella faccenda."
"Starà scherzando, spero! Non vorrà insinuare che il nostro Presidente..."
"Uno dei vostri Due Presidenti." - Precisai.
"Non vorrà pensare che Clinton c'entri in qualche modo!"
"Guardi che ha accennato lei a Clinton. Mi scusi, forse non mi sono spiegato bene. Sono stanco e forse il mio inglese va per i fatti suoi anche se è la lingua che parlo meglio, come lei sa." - Accennai un sorriso. Poi tornai serio. - "Voglio dire che certamente l'uomo che cercate era diretto al mio albergo perché di solito ospita Clinton. E', così, vero?"
"Non posso dirglielo. Se lei conoscesse i fatti saremmo costretti a tenerla lontana dall'Hotel."
"Dannazione! Odio i segreti."
"Lo sappiamo. Ma la sua collaborazione è un aspetto chiave di una faccenda piccola piccola. Dovrà fare esattamente quel poco poco che le diciamo di fare, e tutto finisce lì. E, dato che nelle sue note caratteristiche si legge che lei riesce meglio quando deve improvvisare, o quando ha pochi attimi a disposizione per decidere, mi creda, è meglio che sappia poco."
"Domattina ho un appuntamento con qualcuno dell'ufficio Relazioni Esterne dello Air & Space Smithsonian Istitution." - Sorrisi. - "Dovreste far avere loro il mio curriculum così come lo avete descritto a me. A proposito, non posso mancare all'appuntamento."
"Sappiamo dell'incontro. Domani sarà a pranzo con il Vice Direttore del Museo."
"No. So che non ci sono né il Direttore né il Vice Direttore. Per questo mi incontro con qualcuno delle Relazioni Esterne."
"Mi creda. Le abbiamo combinato un appuntamento con il Vice Direttore. A pranzo al ristorante L'Enfant, vicino allo Smithsonian".
"Ah! Questo sarebbe un bel colpo. E dov'è questo locale?"
"La porteremo noi. Se accetta, maturalmente."
Perbacco! Bastava dire questo, invece che fare tanti discorsi.
Iniziai a pensare che era davvero al corrente dei miei difetti nascosti.

(Successivo)

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande