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Il monito di don Giulio Viviani nel giorno di S. Francesco di Sales

Benedetto XVI: «Attenzione al relativismo morale: La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri»

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Nell'Omelia di Don Giulio Viviani, tenuta oggi alla chiesa di Santa Maria del Suffragio a Trento, un invito a ricordare nei suoi insegnamenti che la coscienza gioca un ruolo fondamentale nella professione del giornalismo.
Questo il testo.
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In questi mesi viene consegnato a tutti i giornalisti iscritti all'ordine un testo intitolato La deontologia del Giornalista. Un argomento di cui si parla molto in questi tempi, e quando di una l cosa si parla molto vuol dire che è in crisi e che si è in ricerca di nuova identità e di nuove modalità per esprimerla.
Sono numerosi e da varie parti i richiami a interrogarci su come oggi esercitare una professione e un servizio alla società compiendolo in modo etico, nel rispetto della dignità di ogni persona umana.

Michele Partipilo scrive nel testo citato parole quanto mai attuali, anche in questi giorni:
«Proprio una forte coscienza etica e la condivisione di alcuni principi potrebbero (dovrebbero) essere allo stesso tempo l'elemento unificante della categoria e lo strumento per fronteggiare le pretese del mondo politico.
«Al contrario, si assiste oggi a una progressiva atrofizzazione della sensibilità etica, spesso nascosta dietro la richiesta di più esplicite e cogenti norme deontologiche, che sta minando la complessiva credibilità dell'intero sistema dell'informazione.» (p. 17).

Proprio oggi, nella memoria di San Francesco di Sales, nostro patrono, mi pare opportuno ricordare che tale argomento interessa particolarmente noi giornalisti cattolici, chiamati a coniugare e a confrontarci continuamente anche con la Parola di Dio e con il Magistero della Chiesa, oltre che con una realtà sociale in continua e a volte non chiara evoluzione.
Ci piacerebbe tanto che il Vangelo o la Bibbia fossero un manuale di facile consultazione con tante belle e chiare risposte ai più diversi interrogativi e ai tanti casi della vita.
San Paolo (I lettura) scrivendo ai cristiani di Efeso diceva che in Cristo Gesù «abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in I lui» (3, 11-12).

Ma non è sempre così facile capire e vivere questa libertà e allora entra in campo i anche la coscienza, la nostra personale coscienza.
Una coscienza che ha necessità però di essere formata consapevolmente, educata seriamente.
Qui occorrerebbe rifarsi ad un nuovo beato che per la sua fecondità di pensatore, scrittore e divulgatore potrebbe essere dichiarato o almeno riconosciuto compatrono dei giornalisti: il Cardinale John Henry Newmann, beatificato nel settembre scorso da Papa Benedetto XVI.

«Newman intendeva la coscienza sia come senso morale, ossia ciò che ci fa distinguere il bene dal male, che senso del dovere, ossia ciò che ci spinge a fare il bene. In diverse sue opere egli descrive con insuperabile suggestione la voce del foro interiore che ci guida, ci induce a scegliere alcune cose e ad evitane altre.
«Newman era così convinto del potere autorevole della coscienza da considerarla la migliore prova ell'esistenza di Dio poiché una legge in tema testimonia un legislatore esterno. In uno dei sermoni predicati a Dublino egli afferma: Questa Parola a noi I interna, non solo ci istruisce fino ad un certo punto, ma fa sorgere necessariamente nei nostri animi l'idea di un Maestro, un Maestro invisibile e nella misura in cui ascoltiamo quella Parola, e la utilizziamo, non solo impariamo di più da essa, non solo i suoi dettati ci appaiono più chiari e le sue lezioni più ampie e i suoi principi più coerenti, ma il suo stesso tono diventa più forte e più autorevole ed obbligante

Quel Maestro interiore che è Gesù stesso, che è l'altro Paraclito, lo Spirito Santo.
«Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 11); la gioia di chi è consapevole di poter credere, di poter stare con Dio.
Newman accenna anche a quello che oggi più volte Benedetto XVI definisce relativismo morale.
«La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri; ma al giorno d'oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza, nell'ignorare il Legislatore e Giudice, nell'essere indipendenti da obblighi che non si vedono.
«La coscienza è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati I ingannare: è il diritto ad agire a proprio piacimento.»

Newman mostra poi che secondo l'insegnamento tradizionale della Chiesa nessuno può essere obbligato ad agire contro la propria Coscienza. Risponderà a Dio chi è colpevole dell'errore che avrebbe potuto evitare ma, se ritiene sinceramente che quella sia la verità, deve operare di conseguenza.
«La coscienza però non è una semplice opinione personale ma la doverosa obbedienza alla voce divina che parla in noi. In tal senso va interpretata un'espressione tanto celebre quanto fraintesa che appare alla fine della Lettera al duca di Norfolk: Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo - cosa che non è molto indicato fare - allora io brinderei per il papa. Ma prima per la coscienza e poi per il papa

Lo scorso 20 dicembre, in occasione degli auguri natalizia alla Curia romana, ricordando il suo Viaggio in Gran Bretagna, lo stesso Benedetto XVI affermava su questa tematica.
«Per poter asserire l'identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli - nel caso avesse dovuto fare un brindisi - avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa.
«Ma in questa affermazione, coscienza non significa l'ultima obbligatorietà dell'intuizione soggettiva. È espressione dell'accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l'obbedienza nei l confronti della verità.»

E continuava il Papa: «La forza motrice che spingeva sul cammino della p conversione era in Newman la coscienza. Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola coscienza significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l'individuo, costituisce l'ultima istanza della decisione.
«Il mondo viene diviso negli ambiti dell'oggettivo e del soggettivo. All'oggettivo appartengono le cose che si possono calcolare e verificare mediante l'esperimento. La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei criteri oggettivi.
«L'ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo il soggetto, e con la parola coscienza si esprime, appunto, questo: in questo ambito può decidere solo il singolo, l'individuo ( con le sue intuizioni ed esperienze. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta.
«Per lui coscienza significa la capacità di verità dell'uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza - religione e morale - una verità, la verità. La coscienza, la capacità dell'uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra.
«Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all'uomo che cerca col cuore aperto.»

Si tratta di calare questo stile, queste esigenze nel nostro lavoro, nel vostro lavoro quotidiano, come ricorda Franco Abruzzo nel libro sulla deontologia.
«La libertà di informazione e di critica, insopprimibile, quindi, ha due confini invalicabili: il rispetto della persona e quello della verità sostanziale dei fatti» (p. 59), secondo il dettato dell'articolo 2 della legge professionale «osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede» (cit. p. 61), che ogni giornalista deve possedere come patrimonio personale ineliminabile.»

«Quello che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15): entriamo in questa logica di effettiva e affettiva comunione con Dio mediante Gesù Cristo. Ci sta oggi davanti la figura elevatissima, per il suo cammino interiore, di San Francesco di Sales, che arrivava ad affermare.
«Il nostro libero arbitrio non è mai tanto libero che quando è schiavo di Dio, e non è mai tanto schiavo che quando serve alla nostra volontà!»

Fu anche l'esperienza del Beato Newmann, che in occasione di un viaggio in Sicilia, prima della sua adesione al cattolicesimo nel 1832, compose questa bella poesia, che è preghiera anche per noi oggi, in questa libera traduzione:

Conducimi tu, luce gentile, conducimi nel buio che mi stringe;
la notte è scura, la casa è lontana, conducimi tu, luce gentile.
Tu guida i miei passi, luce gentile, non chiedo di vedere assai lontano,
mi basta un passo solo il primo passo, conducimi avanti luce gentile.
Non sempre fu cosi, te ne pregai, perché tu mi guidassi e conducessi,
da me la mia strada io volli vedere, adesso tu mi guidi luce gentile.
Io volli certezze, dimentica quei giorni, purché l'amore tuo non m'abbandoni,
finché la notte passi, tu mi guiderai, sicuramente a te, luce gentile.

Nella foto che segue: Il San Francesco di Sales della chiesa di Santa Maria del Suffragio.

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